giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il capo degli scontrini al Pirellone: “Se avessi controllato, sarei finito in giardino”

 

Chi controllava le spese dei consiglieri regionali, in epoca di scontrini pazzi? Un signore, ora serenamente in pensione, il quale sentito come testimone nel processo a carico di qualche dozzina di consiglieri delle passate edizioni del Pirellone-show esordisce così: “Se avessi detto che non andava bene una singola spesa, mi sarei trovato il giorno dopo in giardino, ecco. Mi piace dire la verità”.

Il presidente della corte, Gaetano La Rocca, perplesso, pare chiedere conferma a se stesso di quanto ha appena udito: “Mi sarei trovato in giardino”, gli fa eco.

(Uhm).

Torniamo indietro. Alvaro Scattolin, per trent’anni dirigente regionale, vincolato al giuramento di testimone, da felice giubilato si sente libero di parlare. E così spiega il suo ruolo: “Premetto che la dirigente non superiore non faceva in questa materia nulla. Pertanto io con un’impiegata, Patrizia…mi sfugge il nome adesso, facevamo il controllo delle somme che ci venivano date, che il regolamento diceva che si potevano controllare le somme se erano giuste e se corrispondevano alle voci, non so biblioteca. E questo fatto noi lo facevamo e alla fine, se tornavano il conto, mettevamo che i conti andavano bene”. Continua a leggere

Indovinello: in quale città il segretario M.S. organizzerà la protesta pro – pm?

 

 

Corso di Comunicazione politica, modulo avanzato. Crediti formativi universitari, 12.
Esercitazione:
Caso 1.
Un presidente di Regione in carica (soggetto R. M.), esponente del partito L, è imputato in un processo giunto alla sua fase dibattimentale per un reato che prevede l’applicazione, in caso di condanna, della ‘legge Severino’. Un suo coimputato ha patteggiato, un altro è stato condannato con rito abbreviato. Nel corso del dibattimento, il politico si candida come capolista in un capoluogo di provincia della stessa Regione. In ragione di ciò, chiede al Tribunale di sospendere il processo a suo carico per la durata della campagna elettorale.
Caso 2.
Nella stessa Regione, un sindaco di capoluogo (soggetto U), esponente del partito D (Democratico) viene attinto da ordinanza di custodia cautelare per un reato di pubblica amministrazione. Nell’ipotesi accusatoria, avrebbe  truccato una gara d’appalto nella città di Lodi al fine di perseguire illecitamente il principio politico “la città ai suoi cittadini”.
Quesiti:
A) Indichi il candidato, e argomenti, in quale città, il segretario (soggetto M. S.) del partito L  dovrà organizzare, nella prima domenica utile, una manifestazione di protesta contro le ruberie degli amministratori locali, a sostegno al lavoro della magistratura.
B) Indichi altresì, su una scala da 1 a 10, l’aggressività linguistica da utilizzare.
C) Indichi infine quale sia la risposta più efficace per respingere le domande dei cronisti che chiederanno conto al soggetto M.S. del processo a carico del soggetto R. M., esponente del partito L.
La risposta corretta a questo link:

Lodi–Salvini–Renzi-faccia.html

L’impiegata comunale di Lodi, “Io, in panico di fronte al sindaco che truccava il bando”

 

La scena che racconta con toni drammatici è questa: lei entra nell’ufficio del sindaco di Lodi Simone Uggetti (Pd) e si trova di fronte Cristiano Marini, legale rappresentante della principale società interessata all’aggiudicazione del bando per la gestione delle piscine scoperte. I due stanno correggendo la bozza che lei aveva trasmesso giorni prima a Uggetti. Lei, se le sue dichiarazioni dovessero essere confermate dai giudici, è la funzionaria che avrebbe sventato l’ennesino caso di malaffare concepito in un’amministrazione comunale. Whistleblower, la gola profonda si diceva un tempo.

E’ il 29 febbraio ed ecco quello che sarebbe successo nel palazzo del Broletto: “La scena che mi si presenta mi è subito chiara. Questa volta l’incontro non sarà come al solito a due, ma a tre. Il terzo interlocutore mi viene presentato come l’avvocato Marini, consigliere di Astem e di Sporting Lodi. Vorrei andarmene, ma non trovo il coraggio. Vedo sulla scrivania le copie del mio bando riguardante l’offerta economica e il sindaco mi invita a spiegare meglio quanto ho scritto, riesco solo a chiedere che Marini esca dall’ufficio. Capisco che la mia reazione ha infastidito il sindaco  e questo atteggiamento mi mette in una condizione di vulnerabilità ancora più forte. Cerco di reggere alle insistenze del sindaco che mi chiede un cambiamento dopo l’altro alternando dinieghi a rassegnate accettazioni. (…) Fingo di essere disposta a rimettere ancora in discussione tutto, per paura della reazione, sapendo ormai dentro di me che quel bando non l’avrei mai più firmato perché veniva totalmente snaturato nel suo equilibrio, perché chissà da quante mani era già passato quel procedimento di cui dovevo essere l’unica responsabile. (…). Il sindaco mi spiega che la società di mia sorella, la Sportime, potrebbe collaborare con Sporting Lodi. Capisco il tentativo di coinvolgimento della società di mia sorella per farmi sentire parte della partita.  Quel bando da me non verrà mai più firmato e, come insegnatoci nei recenti corsi dell’anti – corruzione, decide di andare a segnalare quanto accaduto…”.

Il bando verrà aggiudicato “con la modifica dei criteri di assegnazione dei punteggi” predisposti dalla funzionaria alla società di Marini, arrestato con Uggetti per turbata libertà degli incanti. A firmarlo sarà il dirigente indicato nel piano anti – corruzione comunale al quale si era rivolta, ricevendone rassicurazioni, la denunciante.  (manuela d’alessandro)

La verità, 30 anni dopo: il ‘nuovo’ codice ha fallito

Alla fine del 1989 veniva introdotto in Italia il “nuovo” Codice di Procedura penale che, dopo lunga gestazione e il contributo di alcuni tra i maggiori giuristi del tempo, mandava definitivamente in cantina quello “glorioso” del 1930. Si disse, con certa enfasi, che il “nuovo” processo, costruito secondo il modello accusatorio di matrice anglosassone e non più inquisitorio, vetusto retaggio del vecchio regime, sarebbe stato più “garantista”. Bizzarro neologismo posto che, riferendosi al rispetto delle garanzie di legge dell’imputato, sembrerebbe accreditare l’esistenza di qualcuno che altrettanto legittimamente non lo fa.

Il nuovo processo penale prevedeva alcuni capisaldi destinati, sulla carta, a rivoluzionare quello precedente. Una fase inziale di ricerca della prova da parte dell’accusa dalla durata massima di sei mesi e sotto il rigido controllo dell’Autorità Giudiziaria sulle indagini di Polizia prima di dare accesso alla difesa. Una seconda fase di preventiva verifica, da parte di un Giudice terzo, della effettiva necessità o meno di celebrare un processo sulla base del materiale raccolto da entrambe le parti. Una terza fase di verifica dell’effettiva fondatezza dell’accusa da parte di un Tribunale del tutto ignaro di quanto in precedenza avvenuto, previa l’acquisizione orale delle prove presentate a dibattimento dalle parti in contraddittorio in condizione di assoluta parità.

I due successivi gradi di impugnazione invece non differivano troppo dal rito abrogato, il primo restava una rivalutazione di merito di quanto acquisito in primo grado ed il secondo un controllo di legittimità sulla sentenza ricorsa. A latere del “modello” base furono introdotte alcune significative “novità”, le tre principali erano: 1) la previsione di riti alternativi “snellenti” che introducevano incentivi in punto di pena (ma non solo) per l’imputato che rinunciava al pubblico dibattimento, 2) la rivisitazione del regime cautelare previgente per circoscrivere allo stretto necessario la limitazione della libertà di un cittadino non ancora condannato e 3) l’abolizione della vecchia formula assolutoria per “insufficienza di prove” secondo il principio che la responsabilità penale dell’imputato deve essere provata dall’accusa “al di là di ogni ragionevole dubbio” dovendo lo stesso, in caso contrario, essere assolto. La “ratio” alla base della scelta del legislatore era quella di ridurre il numero dei processi penali ai soli casi veramente meritevoli di un compiuto accertamento dibattimentale e non solo per velocizzare i tempi della giustizia ma anche per non sottoporre a lunghi, costosi e logoranti processi cittadini che magari dopo anni di sofferenze risultavano innocenti.

A distanza di quasi 30 anni possiamo dire che di quell’idea inziale è rimasto ben poco. Le indagini “segrete” del PM si protraggono ben oltre il limite di legge, essendosi nel tempo trasformata, la prevista facoltà di chiedere al Giudice una proroga, da eccezione a regola, e l’abuso della “delega di PG” da parte dei PM ha fatto sì che le indagini si risolvano molto spesso in accertamenti di Polizia Giudiziaria cui il PM mette solo il proprio finale avallo. Nei procedimenti costruiti per lo più sull’esito di intercettazioni, di cui viene fatto largo uso e per un numero sempre maggiore di reati, l’iniziale brogliaccio di PG che ricostruisce il contenuto di mesi di ascolto finisce con l’essere il fulcro del “file” sul quale viene formulata dal PM la richiesta di provvedimenti cautelari al GIP che a sua volta li trafonde nell’Ordinanza applicativa che molto spesso diventa a sua volta il tessuto motivazionale di una Sentenza in sede di Giudizio abbreviato di altro GIP poi confermata dalla Corte d’Appello e ratificata dalla Corte di Cassazione. Continua a leggere