Due settimane fa la Corte d’Appello di Milano ha detto che i vertici di Finmeccanica, gigantesca macchina di denaro e potere, hanno corrotto i funzionari pubblici indiani con una tangente da 51 milioni di euro per la fornitura di 12 elicotteri al governo di New Dehli. Oggi vengono rese note le motivazioni della sentenza che fanno a pezzi la ricostruzione definita “carente e lacunosa” del Tribunale di Busto Arsizio dal quale era arrivata l’assoluzione dal reato di corruzione per Giuseppe Orsi e Bruno Spagnolini, ex numeri uno di Finmeccanica e della controllata Agusta Westland. Qui leggete tutta un’altra storia rispetto al primo grado in cui i leader di una delle più importanti società italiane avrebbero “avallato” una potente corruzione attraverso intermediari e giri di fatture false così da meritarsi le condanne a 4 anni e mezzo (Orsi) e 4 anni (Spagnolini) di carcere. (m.d’a.)
Categoria: Pubblica Amministrazione
I lettori lo criticano, il giudice s’arrabbia e chiede rispetto su Facebook
Sopra, la notizia del ‘Piccolo’ di Trieste postata su Facebook dell’assoluzione di 18 su 22 consiglieri regionali del Friuli Venezia Giulia accusati di aver dilapidato soldi pubblici in una delle tante inchieste sparse in Italia sulle ‘spese pazze’. Sotto, la sequela di commenti inviperiti di molti lettori che non se ne fanno una ragione. “L’ennesima sentenza di un paese senza né capo né coda”. “Allora i soldi per i cittadini si possono spendere per i fatti propri, che regole ha la giustizia?” “Il più pulito ha la rogna”. All’ennesima critica, il gup di Trieste Giorgio Nicoli si ribella e gli viene voglia di spiegarla. “Non nel merito – premette – che poi ci sarà una breve motivazione”, però si lascia andare a una quarantina di righe in cui, con tono un po’ piccato, chiede rispetto.
Il pm aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati per peculato a pene comprese tra un anno e otto mesi e due anni e tre mesi, ma il giudice si è limitato a rinviare a giudizio solo un indagato, ad accogliere le richieste di patteggiamento di altri due e a rimandare davanti al gup la posizione di un quarto. “Ho fatto il pm per 8 anni – spiega ai lettori del social network – il pm ha il ruolo di mettere in luce le tesi che possono confermare l’accusa e la difesa deve far valere in tutti i modi la tesi dell’innocenza e il giudice è solo davanti alla scelta di cui si deve assumere la responsabilità”. Par di capire che per il gup i giornalisti debbano assumersi invece la responsabilità di rimandare una visione distorta della giustizia: “In oltre 25 anni che mi occupo con ruoli diversi di giudizi penali non ho mai visto un caso in cui il resoconto della stampa sia corrispondente a quello in cui si è chiamati a decidere in un processo”. Sarà, ma il puntuale resoconto del ‘Piccolo’ da’ conto soltanto di chi è stato rinviato a giudizio e chi no, nulla più. Sembra invece che il giudice, ferito nell’orgoglio, si sia difeso attaccando, col classico riflesso pavloviano di qualsiasi mortale criticato su Facebook. (manuela d’alessandro)
spese-pazze-18-assolti-e-un-rinvio-a-giudizio-1.13319154?ref=fbfpi&refresh_ce
Greco avanti, ma Nobili non è molto lontano: gara apertissima per la Procura
E’ apertissima la gara per la Procura di Milano dopo che oggi la quinta commissione del Csm ha proposto i nomi dei candidati alla successione di Bruti Liberati: il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco ha ottenuto tre voti (due da consiglieri di Area, uno da Sel); una preferenza, del togato di Mi, è andata al pm milanese Alberto Nobili e un’altra, quella della consigliera laica del Pdl, a Giovanni Melillo, capo di gabinetto del Ministro Orlando. Si è astenuto il togato di Unicost e proprio da questa non scelta bisogna partire per provare a immaginare quello che accadrà nel plenum.
Unicost sembra più che mai decisiva, i cinque voti a sua disposizione possono cambiare l’esito della partita. Cosa ha voluto comunicare con la sua astensione il togato Massimo Forciniti? A quanto apprendiamo, la corrente è spaccata: da una parte Luca Palamara insisterebbe per Greco, scelta non gradita ad altri che invece punterebbero su Nobili.
Greco è il candidato di Area, che ha un pacchetto di 7 voti tra i togati ed è corrente alla quale sarebbe vicino anche Melillo che oggi però è stata proposto dall’incertissima, fino all’ultimo, laica di centrodestra Elisabetta Casellati. Pare che il suo voto sia stato ispirato dal Presidente della Cassazione Giovanni Canzio al quale risulterebbe indigesta la nomina del capo del pool economico milanese. L’obbiettivo: sparigliare le carte, non far andare Greco contro Nobili allo scontro finale perché in un ‘uno contro uno’ avrebbe prevalso con molta facilità il primo.
Nobili conta sui tre voti di Magistratura Indipendente e, oltre che sperare di ottenere le preferenze di Unicost, deve cercare consensi tra i laici. Stando a quanto riportato dal Sole24ore, la battuta che sta circolando in queste ore a Palazzo dei Marescialli è: “Davigo alla testa dell’Anm e Greco della Procura di Milano è troppo. Mani Pulite non può prendersi tutto”. Tuttavia, il procuratore aggiunto è molto gradito da Matteo Renzi e, almeno fino al voto della Casellato, sembrava godere anche delle simpatie di Silvio Berlusconi. Area propone Greco ma, se la situazione dovesse pendere a favore di Nobili, a un certo punto potrebbe cambiare cavallo, buttandosi su Melillo. Finora il capo di gabinetto è stato considerato troppo ‘politico’, dimenticando che negli ultimi anni, con la gestione di Bruti, la Procura di Milano è stata di fatto guidata da Quirinale e Palazzo Chigi. (manuela d’alessandro)
Perdere la libertà per un sorriso su Fb, la killer dell’ombrello punita dalla giustizia morale
L’avvocato Nino Marazzita conferma lo scoop del ‘Corriere’ al telefono: “Sì, è andata proprio così. Le hanno tolto la semilibertà solo perché ha pubblicato una foto in costume al mare sul profilo Facebook”. Nessun divieto specifico del giudice della Sorveglianza a utilizzare i social o ad allontanarsi dal luogo di residenza. E allora, cos’è passato nella testa del giudice che ha revocato a Doina Matei la misura alternativa al carcere conquistata con la buona condotta dopo otto anni, la metà della pena per avere ucciso una ragazza colpendola con la punta dell’ombrello nella metropolitana di Roma?
Forse per la rumena di 21 anni era previsto il divieto a sorridere finché non finisce di scontare la condanna per omicidio preterintenzionale. Ma questa è una prescrizione che può essere scritta solo nel codice della giustizia a furor di popolo, non in quello di uno stato di diritto.
Immaginiamo il magistrato sfogliare due giorni fa ‘Il Messaggero’, autore della pubblicazione delle foto di Doina Matei, che aveva deciso di sfuttare un permesso godendosi il primo mare al Lido di Venezia. Ce lo figuriamo travolto dall’indignazione che scorre sui social, al bar. E oppresso dalla sua stessa indignazione di uomo per quella felicità che rinasce e seppellisce ancora una volta il dolore di una famiglia.
Ex baby prostituta, Doina Matei aveva chiesto scusa ai genitori di Vanessa Russo, uccisa da un ombrello dopo una lite in metropolitana:”Ho invocato il perdono, non ho avuto risposta. Tocca a me ora piegarmi a quel silenzio”. In quel silenzio non doveva sorridere, ecco la sua colpa estrema. (manuela d’alessandro)
*In serata, il Ministro Orlando ha spiegato che la concessione della semilibertà era condizionata a un utilizzo limitato del telefono cellulare ed è stata revocata perché l’accesso a Fb consente “di intrattenere rapporti con un numero illimitato di soggetti”. Ribatte l’avvocato Marazzita: “La mia assistita è stata ligia alle prescrizioni che, peraltro, non contemplavano alcun divieto esplicito per i social. Si è limitata a qualche foto postata durante un permesso premio di tre ore. Ne discuteremo in aula e sono certo che la spunteremo”.
*Il 5 maggio il Tribunale di Venezia ha riammesso Doina Matei alla semilibertà stabilendo da questo momento il divieto dell’utilizzo dei social network.
Di Martino e le carriere frenate dei pm che indagarono su Di Pietro
Per protestare contro le correnti, i veti e i controveti dentro la magistratura va in pensione il pm Roberto Di Martino che rappresenta l’accusa al processo per la presunta frode sportiva del ct Antonio Conte. Ma i “guai” di Di Martino che si è visto rigettare dal Csm sia la richiesta di fare il capo della procura di Bergamo sia quella di diventare avvocato generale dello Stato a Brescia non derivano dal pallone. Bisogna tornare indietro di una ventina di anni quando a Brescia Di Martino indagò su Di Pietro per corruzione in atti giudiziari, il famoso caso di Chicchi Pacini Battaglia, l’uomo entrato e uscito come una meteora da Mani pulite, per ricordare le parole dell’avvocato Giuliano Spazzali nel teleprocesso a Cusani.
A coordinare l’indagine sul magistrato simbolo della falsa rivoluzione di Mani pulite c’erano con Di Martino, Fabio Salamone, Francesco Piantoni e Silvio Bonfigli. Salamone si era candidato per la procura di Bergamo. Il Csm ha detto di no. Piantoni aveva chiesto di diventare procuratore aggiunto e non ce l’ha fatta. Bonfigli, confinato in procura generale a Brescia dopo anni di “esilio” in organismi internazionali, per sua fortuna non aveva chiesto nulla. E si è risparmiato un niet, perché quell’inchiesta che vedeva il buio dove tutti vedevano la luce con la notte che era scura davvero pesa ancora. Chi tocca i fili muore. Non si poteva mettere in discussione Mani pulite e infatti gli ineffabili gip bresciani si adeguarono alla ragion di Stato, esemplificata da un comunicato dell’Anm che ai tempi per la prima volta nella sua storia difese l’indagato e non i pm. Ovviamente fu anche l’ultima.
La magistratura non perdona chi canta fuori dal coro. Di Pietro viveva a scrocco degli inquisiti del suo ufficio tra prestiti a babbo morto, telefonini, Mercedes e appartamenti, ma fu prosciolto. La categoria così difese sé stessa, la sua immagine.
Una sorta di legge dell’omertà, che sta nel dna del Csm, come dimostra la recente soluzione della guerra interna alla procura di Milano, dove ha pagato solo l’anello debole Afredo Robledo trasferito a Torino, mentre non ha pagato dazio il capo Bruti Liberati che “dimenticò” per 6 mesi in un cassetto il fascicolo Sea e che dal 16 novembre è tranquillamente in pensione.
Tra meno di un anno ci sarà il 25esimo compleanno di Mani pulite. L’unica celebrazione seria sarebbe quella di mettere al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano una targa con le parole intercettate di Pacini Battaglia: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”. Parole che furono considerate millanterie dai giudici. In un paese in cui si celebrano processi per molto meno, e a ripetizione persino per un pelo di quella lana. Infatti siamo già praticamente al Ruby quater. Quasi come il caso Moro, insomma. (frank cimini)