giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

In esclusiva l’audio della telefonata Berlusconi – Mantovani: lavoro – sesso – segretarie

Raccomandazioni, posti di lavoro da trovare a fratelli, compagni, ex mogli. E poi nomine per i vertici Aler da spartire in quote prestabilite tra Forza Italia, Lega, Ncd, Lista Maroni. Tra i criteri per sostenere un candidato “l’essere un bell’uomo”. E poi un’inedita battuta (sesso-lavoro-segretarie) in tipico stile di Arcore. “Non mettete quella famosa clausola che dice che la segretaria deve fare l’amore ameno una volta alla settimana”.

Berlusconi Mantovani (file .wav)

C’è tutto questo nella breve telefonata del 22 dicembre 2013 – pubblicata in esclusiva da Giustiziami – tra Silvio Berlusconi e Mario Mantovani. La conversazione è intercettata dalla Guardia di Finanza di Milano nel corso delle indagini che hanno portato l’ex senatore ed ex assessore regionale prima in carcere e poi ai domiciliari con accuse di corruzione, turbativa d’asta e altro. Nell’inchiesta condotta dal pm Giovanni Polizzi è indagato anche l’ex assessore regionale leghista Massimo Garavaglia, con l’accusa di aver dato il suo contributo a quella che gli inquirenti ritengono una turbativa d’asta: una gara per il servizio trasporto dializzati i cui effetti vengono vanificati, stando alle accuse, grazie all’intervento della catena Garavaglia-Di Capua-Scivoletto, ovvero l’assessore all’economia, il suo braccio destro e il direttore della Asl1 di Milano. Viene così favorita una onlus, la Croce Azzurra Ticino, facendo arrabbiare chi quella gara se la era regolarmente aggiudicata. Garavaglia, indagato per questo unico episodio, ha presentato una memoria difensiva. L’8 marzo, davanti al gup Gennaro Mastrangelo, inizierà l’udienza preliminare per 15 imputati, tra cui i due politici Mantovani e Garavaglia.

Berlusconi, intercettato indirettamente mentre parla con il fedelissimo Mantovani, non è indagato. Tra gli episodi citati nella conversazione che pubblichiamo, uno merita una spiegazione. E’ quello che riguarda Alan Rizzi, capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale a Milano. Il quale, a dicembre 2013, decide di passare a Ncd, ‘tradendo’ l’ex Cavaliere. Pochi giorni dopo, però, fa marcia indietro. Con una mossa imprevista e apparentemente inspiegabile. Che cosa ci sia dietro, lo chiariscono le parole di Silvio Berlusconi.

Due processi, tre versioni sulle spese della Lega: a casa Bossi non si parla

 

A casa Bossi si parla poco. Non si spiegherebbe altrimenti come sia possibile che in due processi distinti, ma con lo stesso tema, le versioni di papà Umberto e dei figli risultino così diverse. Il punto è quello delle spese personali per false lauree in Albania, multe e altro che sarebbero state sostenute coi soldi del partito. Accusa per la quale Riccardo Bossi, il figlio maggiore di Umberto, ha scelto di essere processato col rito abbreviato, mentre il senatur e Renzo ‘Trota’ Bossi sono a giudizio con rito ordinario.

Oggi il pm Paolo Filippini ha chiesto la condanna a un anno di carcere per Riccardo, che avrebbe dilapidato  per scopi privati 160mila euro del Carroccio. “Ma lui non sapeva di prendere denaro del movimento politico – ha affermato nell’arringa l’avvocato Agostino Maiello -  Li chiedeva al segretario Francesco Belsito (ndr il tesoriere, anch’egli a processo) e alle segretarie perché non riusciva a parlare  col senatore. Un po’ perché Umberto era sempre impegnato, un po’ perché con lui aveva rapporti complicati. Come tutti i primogeniti, dopo la separazione ha preso le parti della mamma  e col papà parlava solo di fatti di natura economica. E comunque le spese che lo riguardano erano autorizzate dal padre. Riccardo non è complice di quanto emerso in questa indagine. Ha solo chiesto aiuto in un momento di difficoltà economica, ma non sapeva che il padre quei soldi li prendeva dal partito”. Per il primogenito pilota di rally, quindi, papà sapeva di foraggiarlo tramite i segretari del partito. Ma è lo stesso padre, tramite l’avvocato Matteo Brigandì che lo difende dall’accusa di truffa, a smentirlo: “Bossi non si è mai occupato di soldi ma solo di politica. Non sa neppure quanto costa un chilo di pane”. A confermarlo, sempre in questo processo, è stata anche l’ex contabile della Lega, Nadia Dagrada: “Bossi doveve essere messo al corrente delle spese di famiglia perché ne era all’oscuro e dissi a Belsito che dovevamo parlargliene”. Poi, c’è la terza versione, quella del giovane Renzo, che invece nega di avere mai prelevato euro dalle casse di via Bellerio e precisa di essersi pagato di tasca propria multe e cartelle esattoriali. E la laurea a Tirana? “Di quella non sapevo proprio nulla”.  (manuela d’alessandro)

 

 

 

 

Benedetto dai giudici Mr Expo verso Palazzo Marino

Benedetto dai giudici, tra indagini sospese o mai fatte, un’archiviazione con motivazione tragicomica senza nemmeno interrogare l’indagato (appalto a Eataly), Mister Expo, al secolo Giuseppe Sala veleggia verso Palazzo Marino dove si accomoderà a giugno praticamente da candidato bipartisan, ammesso e non concesso che esistano differenze tra centrodestra e centrosinistra.

E’ questo il risultato delle “primarie più belle del mondo” (la surreale definizione arrivata dal sindaco uscente). I conti di Expo ancora non li conosciamo, ma giornaloni, giornalini e tg in coro continuano a proclamare successo e vittoria, del resto foraggiati dai fondi dell’esposizione universale e non è certo l’unico conflitto di interessi di una vicenda terrificante.

Sala favorì Eataly di Farinetti ma non c’è prova che ne avesse l’intenzione, hanno sentenziato in corso di Porta Vittoria aggiungendo pure che c’era fretta di realizzare l’opera e mancava del tutto il tempo per indire la gara pubblica. Concetti come si può vedere altamente giuridici. Ma le toghe che così hanno deciso lo hanno fatto per autoassolversi. Anche per i fondi Expo della giustizia i vertici del palazzo che fu simbolo della falsa rivoluzione di Mani pulite non fecero gare pubbliche affidando i lavori ad aziende già  sicure interlocutrici nel passato della pubblica amministrazione. “Aziende amiche” insomma. Amiche di chi? Expo è stata una grande abbuffata dove hanno mangiato in tanti. Si attovagliò quanto meno a livello di scambi di potere anche qualche magistrato? A vedere recenti percorsi professionali parrebbe proprio di sì, ma saperlo sarebbe bello e nello stesso tempo è impossibile.

Siamo alle prese con un potere incontrollato e incontrollabile. Il Csm, confermando di avere l’omertà nel Dna, ha rifiutato di aprire una pratica sulla presunta moratoria. Con i comuni mortali si fanno processi per molto meno, soprattutto a Milano poi persino per un pelo di quella lana… Beppe Sala invece favorì Eataly, una sorta di unico ristoratore adeguato alla bisogna, a sua (dello stesso mister Expo) insaputa.

Moratoria infinita ma solo su appalti e affini. Il conto di Expo rischiano fortemente di pagarlo in modo spropositato i militanti antagonisti che il primo maggio lanciarono pietre contro le vetrine delle banche, altre beneficiarie della grande abbuffata. Il 6 aprile inizierà il processo a quattro imputati per devastazione, reato ereditato dal codice fascista e che prevede la reclusione fino a 15 anni. Conterà poco probabilmente che la corte d’appello di Atene rigettando cinque estradizioni ha scritto che le pene previste sono eccessive e che l’accusa fa acqua da diverse parti essendo poco precisa nei confronti dei singoli. Si tratta di indagati che non fanno parte del cosiddetto “sistema paese” il quale, magistratura in testa, ha salvato la patria di Expo e scelto il nuovo inquilino di palazzo Marino (frank cimini)