giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Non operabile per sovrappeso, ok da giudici al cambio di sesso

L’intervento per il cambio di sesso sarebbe stato rischioso a causa della sua obesità ma il Tribunale di Pavia, sulla scia  di una pronuncia della Cassazione, ha riconosciuto a una ragazza in un corpo da uomo il mutamento di genere  anche per la carta d’identità. Nella sentenza, che risale al 17 gennaio scorso, il collegio della seconda sezione civile riconosce che “la liberta’ di autodeterminazione dell’individuo nel decidere di avvalersi di tale intervento rappresenta un diritto inviolabile della persona, che non mette in discussione la serietà del percorso soggettivo intrapreso, qualora la persona decida di non sottoporsi al trattamento medico – chirurgico”. Nato uomo ma da sempre, come spiega il suo legale Francesco Langiu, “con indole femminile”, si era rivolto nel 2011 a un chirurgo per l’operazione ma il medico, sottolineano i giudici, “esprimeva parere negativo all’effettuazione dell’intervento e, successivamente, nel 2016, perdurando la problematica dell’obesità, ne certificava l’assoluta controindicazione, onde evitare di esporlo a elevati rischi per la propria incolumita’ nel corso dell’intervento, oltre a complicanze post – operatorie”. Da tempo, asssumeva ormoni, condizione necessaria, “anche in assenza di un intervento”, per chiedere che lo Stato riconosca come concluso il percorso di transizione. Con la sentenza, Il tribunale ha ordinato al Comune di origine della 29enne di modicare l’atto di nascita con l’assunzione del nome da lei prescelto. (manuela d’alessandro)

Bichi ai giudici, “errori fatali” e “atti dispersi” per il crac del processo digitale

“Allo stato non sembra possa escludersi l’eventualita’ di ‘atti dispersi‘”, “si sta lavorando per il recupero degli errori fatali”.

Una forza cieca e malevola accompagna il Processo Civile Telematico che vive l’ennesima empasse  perché dal 15 settembre, come spiega il presidente del Tribunale Roberto Bichi in una lettera mandata ai giudici, si sono verificati “gravi malfunzionamenti” nell’invio e nella ricezione degli atti.

Quasi apocalittiche le conclusioni: “Allo stato sembra non possa escludersi l’eventualità di atti dispersi” e “si pone il problema dell’individuazione della data di deposito per gli atti inviati dagli avvocati e rimasti in situzione di non conoscibilità da parte delle cancellerie e del giudice”.

Di fronte a questa “situazione”, “tutti noi siamo chiamati ad una valutazione prudente e che agevoli, anche sotto il profilo del valido recupero processuale, la
ricostruzione della serie degli atti processuali, là dove siano
proposte istanze di remissione in termini o comunque volte a
sanare la situazione, giacché l’inadempimento non può  certo
essere imputato alla parte”. E meno male. Il processo civile telematico del resto la comunità l’ha già pagato abbastanza, con i milioni di fondi Expo investiti per agevolare il primato milanese sulla via del digitale.  Con modalità all’attenzione dell’Anac e di due Procure (Milano e Venezia) dopo le inchieste di Giustiziami, del ‘Giornale’ e del ‘Fatto’ tre anni fa.

(manuela d’alessandro)

Per i giudici non è ‘colpevole’ la moglie che se ne va in preda a ossessioni spirituali

 

Il Diavolo entra in una sentenza di separazione tra coniugi (potete leggerla qui) anche se i giudici, tra molti imbarazzi, non gli credono. Ha suscitato un certo turbamento la vicenda raccontata oggi dal Corriere della Sera col titolo: ‘La moglie è posseduta: per i giudici la colpa del divorzio è del Demonio’. In una causa di separazione, un marito chiede di addebitare la colpa della separazione alla moglie che ha lasciato il tetto coniugale perché, a suo dire, è posseduta dal Maligno.  Ai magistrati dice che la “signora avrebbe inscenato devastanti comportamenti compulsivi, frutto di ossessione religiosa caratterizzati da violenta convulsione motoria, ore e ore di preghiera, frequentazione sistematica di un frate cappuccino, uso di un saio per le occupazioni domestiche” e “avrebbe preso il triplice voto di castità, povertà e obbedienza”.

Per diversi anni la donna viene seguita, senza grandi miglioramenti, da sacerdoti investiti della funzione di esorcista. Tutti i testimoni chiamati dal Tribunale confermano “i comportamenti parossistici da parte della signora che l’hanno indotta a orientare la propria vita quotidiana quasi esclusivamente attorno all’elemento catalizzatore della religione”. Il parroco riferisce addirittura di averla vista in preda a “fenomeni di irrigidimento e scuotimenti” tali da richiedere l’intervento di terze persone per placarla. Tutti comportamenti che, ammette il Tribunale, “hanno compromesso indubbiamente l’armonia spirituale” dell’unione.

Eppure, la separazione non le può essere addebitata perché difetta il requisito chiesto dalla Cassazione dell’imputabilità del coniuge, cioé di un comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio. Qui invece la donna “è agita, non agisce consapevolmente”. Il che non significa che sia il Demonio a guidarla, a questo i giudici non arrivano.  Perché allora non è in sé? I magistrati non sono in grado di spiegarlo. Si limitano a scrivere che “da una valutazione psichiatrica accurata non risulta affetta da alcuna conclamata patologia tale da poter spiegare i fenomeni da lei riferiti” e a condividere  la versione del marito secondo il quale “il malessere spirituale ha sicuramente provocato atroci sofferenze alla signora, tormenti da lei non direttamente voluti come conseguenza diretta delle proprie scelta di vita”.  (manuela d’alessandro)

sentenza separazione coniugi

La sentenza dei giudici di Trento: per essere buoni genitori non contano né il seme né il sesso

Nei paesi civili di regola, ma sarebbe anche previsto dalla nostra Costituzione, il potere legislativo scrive le leggi e quello giudiziario le applica. Per numerose ragioni, che qui è inutile ricordare, da molti anni in Italia non funziona così, e ormai ci siamo abituati alla “supplenza” del magistrato alle lacune del legislatore. Per cultura e indole personale questo andazzo mi piace molto poco quando si manifesta in materie come il diritto penale, però vanno riconosciuti, ai giudici nostrani, molti meriti nel campo invece dei cosiddetti diritti civili.

Del resto, di fronte ad un legislatore che su tali tematiche sembra arenato su logiche medievali, e basti pensare alla recente e sconcertante vicenda di Fabiano Antoniani, ben vengano anche pronunce giudiziarie più “creative”, se utili a rimuovere discriminazioni a dir poco incomprensibili. E’ di ieri la notizia di una decisione della Corte di appello di Trento, diventata in breve virale su tutti i media come “La sentenza dei due papà”. In realtà la Corte ha semplicemente riconosciuto ad una coppia omosessuale, formata da due uomini, la possibilità di trascrivere anche in Italia un provvedimento estero che riconosceva a entrambi un legame genitoriale con due gemelli, nati mediante maternità surrogata. Perché sia chiaro, i giudici di Trento non hanno affatto introdotto anche in Italia la pratica, da noi vietata, dell’utero in affitto, secondo quella definizione un po’ becera ieri riportata da molti, ma si sono limitati a riconoscere validità ad un provvedimento di uno Stato estero, che statuiva secondo legislazione locale.

In pratica, preso atto di un fatto storico accaduto altrove, dove tale pratica è consentita, si doveva unicamente decidere se la conseguente attribuzione di paternità a entrambi, sempre avvenuta altrove, fosse in contrasto o meno con l’ordinamento italiano. E sul punto la Corte ha giustamente osservato che “nel nostro ordinamento il modello di genitorialità non è esclusivamente fondato sul legame biologico” come dimostra, si legge: “la favorevole considerazione al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, con l’istituto dell’adozione”. Ragion per cui, scrivono i giudici di Trento, se “il concetto di responsabilità genitoriale si manifesta nella consapevole decisione di allevare e accudire il nato”, non vi è ragione per non riconoscere efficacia di genitorialità anche “in assenza di un legame genetico”. Applicando pertanto il principio stabilito da una sentenza della Corte di Cassazione del 2016, la Corte ha dichiarato trascrivibile anche in Italia l’atto di nascita redatto all’estero.

Il ragionamento non fa una grinza. Posto che il partner di quella coppia avrebbe potuto tranquillamente diventare padre adottivo dei due gemelli sposando la madre surrogata, non vi è ragione per ritenere che non lo possa diventare sposando invece l’altro genitore biologico, sol perché di sesso maschile. Ma quello che a mio parere riveste grande importanza è il principio per cui non basta generare un figlio per essere buoni genitori.

L’effettiva idoneità a quello che è forse il “mestiere” più difficile del mondo, infatti, si misura dopo, ossia nella effettiva capacità di crescere e allevare quel figlio. Questo dovrebbe fare riflettere anche tutti quei “benpensanti” nostrani, che puntualmente, come in occasione della mancata approvazione della stepchild, soloneggiano sulla necessità che ad allevare un bambino siano per forza un uomo e una donna. Se il compito di un genitore è quello di fare crescere un figlio con amore e attitudine educativa, così come non conta il seme di provenienza, non dovrebbe contare neppure il sesso. Fatto peraltro, dato da anni per pacificamente assodato in molta parte di mondo, e soprattutto in quella che ci piace molto spesso copiare, ma evidentemente per la Coca Cola e i Mac Donald gli americani vanno bene, ma, come si diceva una volta: “non toccatemi la famiglia”.

avvocato Davide Steccanella

 

Il testo della decisione del giudice Dorigo che boccia il prof. Onida sul referendum

 

Nessuna violazione della sacra libertà del voto degli elettori. Il quesito referendario  sul quale dovremo esprimerci, a questo punto con certezza, il 4 dicembre, non fa una piega. Col rigetto dei ricorsi presentati dal professor Valerio Onida e dal pool di avvocati che già avevano fatto cadere il ‘Porcellum’, il giudice civile Loreta Dorigo esclude un intervento della Corte Costituzionale. 

Il referendum riguarda tante materie diverse, che problema c’è? Nessuno, per il magistrato secondo il quale lo ‘spacchettamento’ delle domande snaturerebbe l’essenza del referendum perché “l’elettore, libero di scegliere su ogni singolo quesito, finirebbe in tal caso per intervenire quale organo propulsore dell’innovazione costituzionale”. Invece è la stessa Costituzione ad attribuire alle “maggiori forze politiche del Paese” il compito di riformarla lasciando al popolo  ”un potere d’intervento del tutto eventuale e residuo”. Anzi, per il giudice  la nostra carta fondamentale va sottratta da quelli che definisce “estemporanei interventi diretti del corpo elettorale”.

L’emerito presidente della Consulta Onida si becca pure il rimprovero di non essersi accorto che gli stessi ‘padri costituenti’ si espressero “a favore di un intervento di revisione assai ampio”. Per esempio, il buon Costantino Mortati  “che esclude in radice una possibilita’ di revisione costituzionale consentita solo in relazione ad un singolo, o a pochi articoli per volta, configurando, persino, la possibilita’ di una revisione con un contenuto di totale stravolgimento degli assi portanti dell’ordinamento costituzionale”.

La domanda sull’abolizione del Cnel (sulla quale tutti gli italiani eccetto i componenti del Cnel medesimo sono d’accordo) non c’entra con tutte le altre a cominciare dal bicameralismo disegnato dal ddl Renzi – Boschi? Pazienza. “L’eventuale lateralità di una sola disposizione non pare sufficiente a eradicare l’unitarietà progettuale di revisione”. (manuela d’alessandro)

 

provvedimento giudice su ricorso Onida