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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Sole 24 Ore, i pm studiano anche i finanziamenti milionari per il Mudec

Potrebbero esserci anche i finanziamenti per il Mudec, l’ambizioso Museo delle Culture ricoperto di cristallo inaugurato nel 2015, tra le “operazioni straordinarie” meritevoli di “adeguato approfondimento” indicate dai pm milanesi nel decreto di perquisizione che ha segnato il cambio di passo dell’indagine sul gruppo editoriale.

I magistrati fanno riferimento a “finanziamenti intercompany a 24 Ore cultura srl” ed è impossibile non pensare ai prestiti milionari concessi dalla società capogruppo Sole 24 Ore spa alla sua controllata per sostenere il progetto del nuovo polo espositivo milanese in collaborazione col Comune.

La società che si occupa di mostre e pubblicazioni con la griffe del Sole ha puntato forte sul Mudec per risollevarsi ma i risultati, almeno per adesso, appaiono sconfortanti. Impietosi i numeri nel  bilancio al 31 dicembre 2015 (presidente del cda era Donatella Treu, indagata con l’ex direttore Roberto Napoletano per false comunicazioni in relazione alle copie digitali ‘gonfiate’) : perdite per oltre 7,1 milioni di euro con un debito di 14, 5 milioni con la controllante e oltre 8,7 milioni di debiti verso i fornitori. Vincendo nel 2014 una gara pubblica in cui era unico partecipante, il Sole si è assicurato  per 12 anni consecutivi la realizzazione dei progetti espositivi e la gestione dei servizi, tra cui caffetteria e ristorante, lasciando a Palazzo Marino la tutela delle collezioni permanenti. Sempre dal bilancio apprendiamo che Food 24, costituita per la gestione del ristorante del Mudec, ha chiuso il 2015 con “una perdita di 419mila euro” perché “nella fase di avvio il Museo ha avuto un numero di visitatori inferiori alle attese” (solo “50mila visitatori nei primi sette mesi”, poi balzati a 120mila all’inizio del 2016). Alla fine del 2015, Sole 24 Ore Cultura srl aveva verso la sua controllante “debiti per finanziamenti” per oltre 14 milioni di euro. Una cifra enorme se pensiamo alle dimensioni ridotte della società.

(manuela d’alessandro)

decreto perquisizione Sole 24

Ecco il decreto che accusa Napoletano. Se non viene rimosso oggi, Sole a rischio commissariamento

Alle cinque della sera di oggi il ‘Sole 24 Ore’ rischia di sprofondare nel buio senza fine. Se il cda straordinario convocato dopo il blitz dell Procura non dovesse revocare il direttore Roberto Napoletano, strappandolo dal limbo dell’autosospensione, il gruppo editoriale potrebbe essere commissariato.

A quanto apprendiamo da fonti interne, il cda si presenta spaccato in due all’appuntamento decisivo. Da una parte ci sono Luigi Abete e Marcella Panucci che chiedono di congelare la situazione in attesa, forse, che un’ eventuale cordata guidata dal primo prenda in mano il giornale. Entrambi facevano parte del cda le cui operazioni sono al centro dell’inchiesta della Procura di Milano.

Sull’altro fronte, il presidente del cda Giorgio Fossa, l’amministratore delegato Franco Moscetti (in carica da novembre), il presidente dell’organismo di Vigilanza Gherardo Colombo e tutto il nuovo management premono affinché Napoletano esca del tutto dal gruppo, superando l’autosospensione che viene considerata un’ipocrita forma di continuità col passato.

Se dovvesse prevalere la volontà di Abete, tutto il nuovo corso del ‘Sole’ è pronto a dimettersi aprendo così la strada alla catastrofe. A quel punto, con il gruppo senza guida e con un default in atto, la Procura potrebbe chiedere addirittura il commissariamento.

Le accuse per Napoletano, ovviamente tutte da provare ma che comunque imporrebbero un passo indietro in attesa degli sviluppi dell’indagine, sono gravissime.

Il direttore, come potete leggere nel decreto di perquizioni che vi proponiamo,  avrebbe contribuito a gonfiare 109mila copie digitali vendute alla società anonima inglese Di Source controllata da una fiduciaria dietro la quale si nascondevano dei manager del gruppo che avrebbero guadagnato 3 milioni di euro dalle vendite fittizie. (manuela d’alessandro)

decreto perquisizione Sole

“Botte a mia sorella”, Cristiano De André querela la figlia Francesca

 

Prima le botte evocate in televisione, da verificare, poi quelle legali, per carte bollate depositate in Procura. Alla prima intervista della figlia Francesca a Domenica Live, Cristiano De André si è adirato. Alla seconda, sette giorni dopo, è passato alla controffensiva, querelando – a quanto apprende Giustiziami -  la figlia Francesca e diffidando Canale 5 dal mandarla ancora in onda.

Tutto inizia domenica 26 febbraio. L’avvenente Francesca, nota per comparsate televisive tra cui spicca la partecipazione a L’isola dei Famosi, figlia di Cristiano De Andrè nonché nipote di ‘Faber’, sotto la fascetta ‘esclusiva’ del programma condotto da Barbara D’Urso massacra mediaticamente il padre con queste frasi: “Mio padre Cristiano ha picchiato mia sorella quest’estate. Alice ha 17 anni e se fosse maggiorenne sarebbe qui a raccontarlo. Quest’estate l’ha letteralmente massacrata di botte. Mia sorella è dovuta scappare di casa alle 6 di mattina. Erano in Sardegna”. Barbara D’Urso prende saggiamente le distanze da quelle certo inattese dichiarazioni, poi però sette giorni dopo ospita di nuovo la giovane De André. E verso la fine dell’intervista, arriva il nuovo colpo di teatro. Chiede l’intervistatrice D’Urso: conosci una certa Dolores? E Francesca: “Non mi aspettavo questo tipo di domanda. Te lo accenno e basta. Dolores è una ragazza che ho conosciuto che ha vissuto un rapporto con mio padre. Lei ha la mia età. Da questo rapporto lei ne è uscita completamente traumatizzata e ha dovuto andare in analisi”.

Il burrascoso Cristiano decide allora di affilare le armi legali. Mandato all’avvocato Marco Marzari, diffida trasmessa a Cologno Monzese per il programma, querela depositata in Procura per la figlia. Documento che contiene una serie di riferimenti alla scelta della rete Mediaset, “inopportuna” a dire del querelante, di invitare nuovamente Francesca in trasmissione dopo le prime dichiarazioni penalmente sensibili rilasciate il 26 febbraio. Il programma ha poi invitato, certo, Cristiano De Andrè a replicare, ma l’offerta è stata declinata, considerando quel contesto televisivo non adattissimo a chiarire questioni così delicate.

Ciò che la vita disunisce, il Tribunale riavvicina. Forse si rivedranno a Palazzo di Giustizia.

Il reato di traffico di influenze, altro autogol del Parlamento

 

Non è la prima volta e non sembra nemmeno possa essere l’ultima. Parliamo delle capacità della politica di fare del male a se stessa e allo stato di diritto quando legifera, approvando provvedimenti che si rivelano inevitabilmente dei boomerang. Manlio Scopigno, il leggendario allenatore del Cagliari scudettato nel 1970, avrebbe parlato di “autogol alla Niccolai”.

E’ il caso del reato di traffico d’influenze illecite, accusa difficile da dimostrare ma nello stesso tempo non facile da affrontare per chi deve difendersi (contestato, tra gli altri, a Tiziano Renzi). Caso classico: non ci sono prove di responsabilità in tema di corruzione e allora si persegue chi per esempio ha messo in contatto tra loro gli attori principali del reato. In questo modo si abbassa la soglia della prova (e anche dell’indizio), aumentando a dismisura la discrezionalità di magistrati e giudici. Bene che vada all’indagato di traffico di influenze con l’assoluzione, nel frattempo è stato sputtanato.

Il reato, introdotto dal legislatore dietro pressioni delle procure che duravano da tempo, è una sorta di concorso esterno in corruzione. Il richiamo è al concorso esterno in associazione mafiosa che in verità non è neanche codificato, ma frutto della giuriprudenza creativa dei pm e sul quale la politica non ha mai trovato la forza di farsi sentire, nonostante ne abbia subito le conseguenze nei tribunali.

La politica troppo spesso ama farsi del male. Del resto nel 1993, il Parlamento impaurito dall’azione di quattro vincitori di concorso, abolì l’immunità sotto la forma dell’autorizzazione a procedere consegnandosi mani e piedi allo strapotere giudiziario.

Lo stesso discorso vale per la legge sui pentiti, pretesa e ottenuta ai tempi della sovversione interna dai magistrati. Quella norma sarà poi usata negli anni per “mascariare” decine di politici molti dei quali assolti dopo anni di gogne e di processi. Ma si continua a legiferare in questo maledetto paese sulla base della cronaca quotidiana, dell’emotività e sotto la dettatura dei magistrati inquirenti. Salvo poi lamentarsi  dell’eccessivo potere delle toghe. Ma si tratta di lacrime di coccodrillo. (frank cimini)