giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

No alle attenuanti ai No Tav “perché non hanno il consenso generale”

“I valori espressi dai NoTav non sono avvertiti come tali dalla maggioranza della collettività”. Lo scrive la corte d’appello di Torino nel  motivare la condanna di 38 imputati per le manifestazioni durante le proteste contro le opere dell’alta velocità rigettando la richiesta di concedere le attenuanti per aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale.

Per i giudici “non è corretto ritenere che l’opinione di chi è disposto a manifestare con ogni mezzo anche violento debba prevalere rispetto all’opinione della maggioranza silenziosa”.

Le parole dimostrano ancora una volta che i magistrati fanno politica con le sentenze e con il deposito delle motivazioni, arrogandosi il diritto di misurare e quantificare il consenso. Parliamo di quella magistratura torinese che ha chiuso un occhio e l’altro pure sugli appalti dell’alta velocità evidentemente gli unici onesti e trasparenti. Infatti avevano scelto di concentrarsi esclusivamente su un compressore bruciacchiato contestando l’accusa di terrorismo già annullata in diverse occasioni dalla Cassazione. Ma la procura generale non demorde e ha presentato l’ennesimo ricorso che davanti alla Suprema Corte sarà discusso il prossimo 28 marzo.

Una dedizione e un accanimento degno davvero di miglior causa che emula il comportamento dei colleghi della procura di Milano che hanno impugnato le assoluzioni dei militanti NoExpo dall’accusa di devastazione e saccheggio. A Torino e Milano i magistrati tutelano il sistema paese, il partito degli affari, facendo politica in prima persona. E non si vedono né si sentono in giro garantisti pronti a indignarsi, perché a lor signori la giustizia di classe non va bene ma benissimo. (frank cimini)

La sentenza dei giudici di Trento: per essere buoni genitori non contano né il seme né il sesso

Nei paesi civili di regola, ma sarebbe anche previsto dalla nostra Costituzione, il potere legislativo scrive le leggi e quello giudiziario le applica. Per numerose ragioni, che qui è inutile ricordare, da molti anni in Italia non funziona così, e ormai ci siamo abituati alla “supplenza” del magistrato alle lacune del legislatore. Per cultura e indole personale questo andazzo mi piace molto poco quando si manifesta in materie come il diritto penale, però vanno riconosciuti, ai giudici nostrani, molti meriti nel campo invece dei cosiddetti diritti civili.

Del resto, di fronte ad un legislatore che su tali tematiche sembra arenato su logiche medievali, e basti pensare alla recente e sconcertante vicenda di Fabiano Antoniani, ben vengano anche pronunce giudiziarie più “creative”, se utili a rimuovere discriminazioni a dir poco incomprensibili. E’ di ieri la notizia di una decisione della Corte di appello di Trento, diventata in breve virale su tutti i media come “La sentenza dei due papà”. In realtà la Corte ha semplicemente riconosciuto ad una coppia omosessuale, formata da due uomini, la possibilità di trascrivere anche in Italia un provvedimento estero che riconosceva a entrambi un legame genitoriale con due gemelli, nati mediante maternità surrogata. Perché sia chiaro, i giudici di Trento non hanno affatto introdotto anche in Italia la pratica, da noi vietata, dell’utero in affitto, secondo quella definizione un po’ becera ieri riportata da molti, ma si sono limitati a riconoscere validità ad un provvedimento di uno Stato estero, che statuiva secondo legislazione locale.

In pratica, preso atto di un fatto storico accaduto altrove, dove tale pratica è consentita, si doveva unicamente decidere se la conseguente attribuzione di paternità a entrambi, sempre avvenuta altrove, fosse in contrasto o meno con l’ordinamento italiano. E sul punto la Corte ha giustamente osservato che “nel nostro ordinamento il modello di genitorialità non è esclusivamente fondato sul legame biologico” come dimostra, si legge: “la favorevole considerazione al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, con l’istituto dell’adozione”. Ragion per cui, scrivono i giudici di Trento, se “il concetto di responsabilità genitoriale si manifesta nella consapevole decisione di allevare e accudire il nato”, non vi è ragione per non riconoscere efficacia di genitorialità anche “in assenza di un legame genetico”. Applicando pertanto il principio stabilito da una sentenza della Corte di Cassazione del 2016, la Corte ha dichiarato trascrivibile anche in Italia l’atto di nascita redatto all’estero.

Il ragionamento non fa una grinza. Posto che il partner di quella coppia avrebbe potuto tranquillamente diventare padre adottivo dei due gemelli sposando la madre surrogata, non vi è ragione per ritenere che non lo possa diventare sposando invece l’altro genitore biologico, sol perché di sesso maschile. Ma quello che a mio parere riveste grande importanza è il principio per cui non basta generare un figlio per essere buoni genitori.

L’effettiva idoneità a quello che è forse il “mestiere” più difficile del mondo, infatti, si misura dopo, ossia nella effettiva capacità di crescere e allevare quel figlio. Questo dovrebbe fare riflettere anche tutti quei “benpensanti” nostrani, che puntualmente, come in occasione della mancata approvazione della stepchild, soloneggiano sulla necessità che ad allevare un bambino siano per forza un uomo e una donna. Se il compito di un genitore è quello di fare crescere un figlio con amore e attitudine educativa, così come non conta il seme di provenienza, non dovrebbe contare neppure il sesso. Fatto peraltro, dato da anni per pacificamente assodato in molta parte di mondo, e soprattutto in quella che ci piace molto spesso copiare, ma evidentemente per la Coca Cola e i Mac Donald gli americani vanno bene, ma, come si diceva una volta: “non toccatemi la famiglia”.

avvocato Davide Steccanella

 

Abu Omar, quarta grazia a un agente della Cia e offesa alla memoria di Giulio Regeni

 

A poche ore arrivo dal previsto arrivo in Italia per scontare la pena in carcere, l’agente della Cia Sabrina De Sousa riceve la grazia da Sergio Mattarella.

Il Paese che chiede (in modo blando) giustizia per Giulio Regeni, il giovane ricercatore torturato e ucciso al Cairo, per la quarta volta s’inchina agli Stati Uniti. Dopo Robert Seldon Lady, Joseph Romano e Betnie Medero,  un altro 007  colpevole in via definitiva di avere sequestrato l’imam milanese Abu Omar e averlo torturato proprio in Egitto, evita il carcere. E con modalità, stavolta, ancor più sconcertanti. Fermata a Lisbona nell’ottobre del 2015 in seguito al mandato di estradizione firmato a Milano dopo la condanna a 7 anni (di cui 3 abbonati dall’indulto), De Sousa in teoria avrebbe dovuto essere estradata dai portoghesi già nella primavera del 2016 quando si vide respingere un appello per evitare di essere consegnata all’Italia. Ma, da allora, con De Sousa libera, nulla si è mosso. Nessuna premura dall’Italia di averla e nemmeno dal Portogallo di eseguire il mandato. Per un bizzarro caso, è stata arrestata nelle ore in cui è emersa l’incredibile vicenda di Pippo De Cristofaro, condannato all’ergastolo in Italia per avere ucciso la skipper Annarita Curina per rubarle un catamarano e scomparso dopo la mancata estradizione da parte delle autorità portoghesi.

Ora, prima dell’annunciato arrivo a Roma di domani, ecco la grazia parziale ‘su misura’ per evitare anche un solo giorno di carcere. Riduzione di un anno della pena con automatica revoca dell’ordine di esecuzione della condanna.

(manuela d’alessandro)

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Fondi Expo per monitor e giustizia: gaffe di Sala, sono venuti in Comune? Ah….

“Sindaco, cosa ne pensa delle acquisizioni della Guardia di Finanza sull’utilizzo dei fondi Expo per la giustizia  milanese?”. Risposta: “E’ una cosa che non ci riguarda, non sono venuti da noi”. “Veramente si, l’Anac ha mandato la Finanza in Comune e in Tribunale..”. Sguardo smarrito: “Ah…”.

A Beppe Sala questa storia dei 16 milioni di euro spesi in nome di Expo con criteri poco chiari non riesce a conficcarsi nella mente. Sappiamo che il nostro sindaco, riconosciuto manager di alto livello, non ha una memoria prodigiosa, vedi proprietà non dichiarate e presunti verbali falsi di cui non ricorda l’esistenza.

Per la seconda volta, il primo cittadino viene in Tribunale per testimoniare al processo a carico di Roberto Maroni e, data la sua affabilità, lo interroghiamo di nuovo sui monitor di Expo, sempre implacabilmente non funzionanti. L’altra volta, prima che si accendesse l’interesse di Cantone, era sembrato alieno al dossier. “A cosa servono questi schermi con la scritta ‘udienza facile”?, ci aveva domandato per poi essere attraversato da un bagliore di memoria: “Ah, sono quelli della Pomodoro…(Livia, ex presidente del Tribunale)”.

Stavolta avrebbe dovuto essere un po’ più informato visto che la Finanza ha fatto messe di documenti proprio a Palazzo Marino il 9 febbraio scorso. Ma forse sono andati in uffici lontani dal suo. Lui, all’epoca, era commissario di Expo.

(manuela d’alessandro)

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Il garante toglie il monopolio del processo telematico alla società che si è presa i fondi Expo

 

Per 10 anni il processo civile telematico è stato regno incontrastato di una sola società, la bolognese Net Service spa, che si era accaparrata senza gara anche una parte consistente dei fondi Expo destinati alla giustizia 2.0. Ora, il Garante della concorrenza e del mercato, chiamato a pronunciarsi su eventuali violazioni da un’associazione di imprenditori ‘ e da Avvocati Telematici srl, prova a tirare una riga. E, indirettamente, conferma che qualcosa è andato storto nella ‘costruzione’ del Pct, anche con riferimento al tesoro di Expo sul quale sta indagando l’Anac di Raffaele Cantone che ha mandato nei giorni scorsi la Guardia di Finanza a prendere documenti nel Comune e nel Tribunale di Milano.

L’autorità di controllo ha accettato quella che potremmo definire con linguaggio poco tecnico una proposta di ‘patteggiamento’ da parte di Net Service. La corazzata ex Finmeccanica incassa lo stop all’istruttoria iniziata a metà 2016 per verificare le possibili condotte contrarie alla concorrenza e, in cambio, si impegna da adesso in avanti ad ‘aprire’ il mercato. “E’ chiaro che qualcosa non è andato nella macchina amministrativa se per 10 anni non è stata fatta una gara – ci spiega l’avvocato Carlo Piana, rappresentante della ricorrente Assogestionali –   Il Pct è nato nel 2004 e io dal 2007 non ho traccia di gare”.  Tutto risolto? Non proprio, stando alle osservazioni degli Avvocati Telematici riportate nella delibera del Garante del 18 gennaio : “Gli impegni assunti da Net Service non sono di per sé sufficienti a scongiurare il protrarsi delle asimmetrie informative ai danni del mercato a valle”.

I ‘giuramenti’ di Net Service davanti a chi deve vigilare sulla concorrenza sono due: 1) Per evitare di sfuttare il fatto di essere al tempo stesso leader del mercato nella produzione dei sistemi informatici e società che fa man bassa degli appalti con gli affidamenti, la società si impegna a individuare due aree azendali separate, una che si occupa di realizzare i prodotti, l’altra di venderli 2) La creazione di un ‘blog del Pct’ nella quale possano dialogare tutte le imprese che offrono servizi legati alla digitalizzazione della giustizia. Le perplessità riguardano soprattutto la separazione delle aree aziendali che “non è sufficiente a evitare che esse interloquiscano tra loro” e inoltre viene evidenziata “l’assenza di trasparenza dei contratti stipulati tra Net Service e il Ministero”. Intanto, questione di poco, il processo telematico sta per arrivare anche nel penale. E’ troppo chiedere che le chiavi per realizzarlo siano affidata con gare pubbliche e criteri limpidi? (manuela d’alessandro)

Il provvedimento del Garante