giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Fame di case? Pista anarchica tutti condannati

C’è fame di case a Milano come in tutte le grandi città dove abbondano invece gli appartamenti sfitti e per studenti lavoratori famiglie non c’è niente da fare. Per chi occupa stabili va malissimo. Oggi sono stati condannati al temine di un processo con rito abbreviato a otto mesi pena sospesa una trentina  di anarchici che nell’ottobre del 2020 avevano occupato uno stabile in via dei Mille. Disabitato e in disuso da tempo.

I protagonisti sono gli anarchici del Corvetto così definiti nella relazione con cui la Digos li aveva denunciati alla magistratura.

“È opportuno sottolineare come esiste un modus operandi che caratterizza le modalità con cui avvengono le occupazioni e la difesa degli spazi delle aree e degli edifici da parte di questo collettivo anarchico – è la prosa della polizia nella denuncia – una chiara dimostrazione dell’esistenza di un gruppo omogeneo e ben organizzato che mutuando ideologicamente dal passato alcune delle battaglie del movimento anarchico sceglie modalità di lotta politica e sociale che passano attraverso il rifiuto di qualsiasi forma di controllo sociale delle regole e delle leggi in generale esprimendo un dissensò che si manifesta spesso in uno scontro aperto con le istituzioni”.

La Digos parlava anche di “blitz occupativo a ridosso dei weekend è chiamata solidaristica a sostegno delle occupazioni attraverso la rete internet utilizzando il profilo Facebook Galipettes Occupato”.

(frank cimini)

Undici giorni a San Vittore da minorenne
In attesa del trasferimento nonostante le istanze

C’è un minorenne a San Vittore. Ok, che sia minorenne lo si sa per certo “solo” da 11 giorni. Il sospetto che avesse meno di 18 anni invece c’è da più di un mese. L’8 giugno lo hanno certificato i periti del tribunale, ma ancora stamattina, 19 giugno, all’ufficio matricola del “2″, rispondevano: è ancora qui.
Y.D. è marocchino. E ha almeno due alias, oltre al suo vero nome. Stando alle carte, è nato nel 2003, se si prendono per buone due delle sue tre identità. Per la terza, risulta nato il 6 maggio 2007. Insomma, senza una perizia non si capisce quanti anni ha. Si sa invece che è dentro da due mesi per una rapina commessa con un complice ai danni di un giovane bulgaro: gli hanno portato via un orologio da 3.800 euro in via Vittor Pisani.
L’11 maggio Y.D. parla con la sua legale, Federica Liparoti: non so dire esattamente quando sono nato, ma l’anno è il 2007.
L’incidente probatorio con l’escussione dei periti si svolge l’8 giugno davanti al gip Domenico Santoro. “E’ stato sottoposto a visita medica, è stata fatta un’intervista sulla vita pregressa per identificare delle situazioni che possano inficiare il risultato. Non è emerso nulla di rilevante – mette a verbale uno dei due – Alla prima radiografia del polso è risultato maturo, che vuol dire che ha un’età minima di 16 anni. Dopo il polso si passa ai denti e qui è emerso che i denti inferiori sono ancora lontani dallo sviluppo e questo ci permette di dare un margine superiore di 19 anni e uno inferiore di 15 anni e mezzo. Alla fine l’età biologica identifica un’età che si colloca tra i 15 anni e mezzo e i 19 anni“. L’altro specialista conferma.
A San Vittore Y.D. non ci può stare. Istanza urgente, ma per ora niente da fare. Poi nuova misura di arresto emessa dal gip per i minori, con indicazione di un carcere minorile. Interessamento del direttore del carcere di San Vittore. Ma a stamattina, niente.
Eh ma potrebbe averne 19, di anni. E se ne avesse 16?

 

(aggiornamento del 22 giugno)

Scrivere questa storia forse ha aiutato. Si è mossa meritoriamente la Camera penale e le istituzioni hanno recepito il senso di urgenza. Oggi pomeriggio, tre giorni dopo aver raccontato la vicenda, abbiamo appreso che Y.D. è stato trasferito in un istituto penitenziario minorile.

Corriere della Sera condannato diffamò giovane anarchico

Il “Corriere della Sera” è stato condannato per aver diffamato l’anarchico Marco Re Cecconi in occasione del suo arresto in Francia. Il giornalista Andrera Galli dovrà pagare una multa di 1.800 euro, il direttore Luciano Fontana per omesso controllo di 2.000 euro. Entrambi, in solido,  dovranno risarcire la parte offesa con 20.000 euro.

”Gli avvenimenti ricostruiti dal giornalista non corrispondono a quanto realmente accaduto e vengono illustrati con modalità espositive prive di obiettività – scrive il giudice nel motivare la sentenza -. Re Cecconi viene definito quale devastatore del Primo Maggio, pregiudicato soggetto noto alle Forze dell’Ordine per un passato di furti, occupazioni, ed è probabile che dall’Italia l’abbiano foraggiato con i soldi, che contava sulla storica ospitalità concessa dalla Francia a fuggiaschi italiani di ogni sorta di crimine, balordi che ancora oggi dopo anche aver ucciso vivono la‘ in pace è serenità “.

”Si denota dalle espressioni terminologiche usate dal giornalista l’uso di un tono sproporzionalmente sdegnato, il riferimento a insinuazioni nonché a sollecitazioni emotive, espedienti che compromettono la leale chiarezza a cui l’informazione deve essere improntata – continua il giudice -; emerge che la persona offesa ha partecipato alla manifestazione del Primo Maggio 2015 contro l’Expo. Al momento della pubblicazione dell’articolo la persona offesa non poteva essere definita né devastatrice n tantomeno pregiudicata e nota per i reati indicati dal giornalista in quanto Re Cecconi è stato giudicato con sentenza del gip di Milano solo nel 2021 e tra l’altro risultando poi assolto dai reati di devastazione e incendio “.

Quanto ai riferimenti all’ ospitalità ricevuta dalla Francia e al fatto che sia stato foraggiato con i soldi sono solo “insinuazioni”, è la posizione del giudice. La richiesta di rettifica dell’articolo fu ignorata dal “Corriere”, anche se la pubblicazione non fa venir meno la diffamazione. Il giudice scrive di non ritenere possibile la concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Procur di Milano aveva chiesto l’archiviazione.

(frank cimini)

Difesa Cospito: visionare in aula filmato dell’attentato

Visionare in aula nel contraddittorio tra le parti e non solo in camera di consiglio il filmato dell’attentato alla scuola carabinieri di Fossano in modo da rendersi conto della scarsa entità dei danni. È questa la richiesta che l’avvocato Flavio Rossi Albertini farà in aula davanti alla corte di assise di appello di Torino dove riprenderà il processo a carico di Alfredo Cospito e Anna Beniamino dopo l’interruzione in attesa che la Corte Costituzionale decidesse sulla possibilità di concedere le attenuanti.

Il procuratore generale di Torino Piero Saluzzo aveva chiesto per Cospito l’ergastolo dopo che la Cassazione aveva aggravato l’imputazione contestando l’attentato alla sicurezza dello Stato.

”Il filmato assume valore dirimente in ottica difensiva ai fini della quantificazione della pena – scrivono nell’istanza gli avvocati Flavio Rossi Albertini, Gian,una Vitale e Caterina Calia – in modo da tenere conto dell’effettiva entità e delle specifiche esigenze dei singoli casi. Si pone come naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali tanto di ordine generale, principio di uguaglianza, quanti attinenti direttamente alla materia penale”.

”La necessità che l’elemento obiettivo del fatto, ovvero la gravità che lo stesso ha integrato per la sicurezza dello Stato va mostrato in aula anziché visionato in camera di consiglio. Questo appare irrinunciabile anche e soprattutto in ossequio al principio di pubblicità dell’udienza e della funzione che tale garanzia e’ diretta ad assolvere” continuano i legali.

La pubblicità della procedura tutela le persone sottoposte a giudizio tutelandole da una giustizia segreta che si sottragga al pubblico. La pubblicità interessa la cittadinanza affinché sia consapevole delle modalità con cui viene esercitata l’azione penale soprattutto nei confronti di coloro che vengono tacciati di essere nemici dell’assetto costituito del Paese, è il ragionamento della difesa.Affinché l’atteggiamento sanzionatorio statale venga praticato in coerenza con l’assetto normativo.

(frank cimini)

Steccanella: le manette a senso unico dei magistrati

 

In questi giorni infuria la polemica per la netta presa di posizione dell’ANM contro l’annunciata riforma del Ministro Nordio che vorrebbe abolire il reato di abuso d’ufficio. Abolizione discutibile e più che legittimo che una delle categorie di addetti ai lavori ne segnali le criticità, in questo sbaglia Nordio a parlare di “interferenza”, perché in una democrazia chiunque è nel pieno di diritto di criticare qualsiasi provvedimento legislativo che non condivide, e ci mancherebbe altro che uno dei tre poteri, indipendenti, che ne contrassegnano la di lei vita, dovesse zittirsi supino ai voleri dell’altro.

Però, detto questo, il dato che colpisce è che, come accaduto in precedenza quando si è parlato di prescrizione, ergastolo, 41 bis, introduzione di leggi sempre più punitive con nomi talvolta anche grotteschi (femminicidio, omicidio stradale, reati ostativi, spazzacorrotti, trojan et similia) gli strali corporativi degli applicatori della legge si elevano sempre a senso unico nel tutti uniti verso la galera per tutti, manco fosse la riesumazione moderna del siparietto comico di quel tale Giorgio Bracardi, che per qualche annetto proprio su quello slogan ci campò travestendosi da duce (ma erano altri tempi, allora si rideva, oggi si applaudirebbe).

Durante il tragico ministero che non so quanto in “buonafede” introdusse le peggiori nefandezze, non una voce si elevò al cielo da parte di costoro per segnalare la pericolosa deriva giustizialista (temine che rappresenta l’ossimoro della Giustizia con la G maiuscola) che si stava sempre più assecondando, in nome della difesa delle vittime di cui di base, in realtà, non gliene è mai fregato niente a nessuno.

Ora, sul punto assai delicato, proprio perchè attiene ai rapporti istituzionali che dovrebbero intercorrere tra i tre diversi poteri dello Stato, credo che sia venuto il momento da parte di costoro di fare chiarezza una volta per tutte, perché non c’è nulla come l’ipocrisia a generare alla lunga sfiducia e perdita di autorevolezza nei confronti dei cittadini.

In Italia ci sono ancora oggi – oppure mancano ancora, il che è la stessa cosa – leggi fondamentali che diano finalmente attuazione “pratica” alla nostra bella costituzione, tipo il fine pena mai, il diritto di scegliere il proprio fine vita, il riconoscimento di figli incolpevoli di coppie che ricorrono a procedure da anni pienamente applicate in altri paesi, il diritto di campare in condizioni economiche decenti per sostenere le sempre più spregiudicate speculazioni della cinica economia global, e potrei andare avanti per ore.

Gentili signori, operatori primari del diritto, perché in tutti questi casi non dite nulla riparandovi comodamente dietro il principio secondo cui “il testo della norma ce lo impone”, che tutto assolve e in primis la coscienza, mentre ogni qual volta si propone di ridurre il numero spropositato (non lo dico io, ma i numeri) di processi e galere vi elevate a tutori della questione morale?

Qualche tempo fa lessi che un PM, deluso dalla decisione di un GIP di non mettere in galera chi aveva portato in udienza in manette, disse pubblicamente che “non avrebbe più preso un caffè con la collega”.

La domanda è: credete davvero che il vostro delicatissimo mestiere consista nel prendere il caffè solo con chi ingabbia e non con chi libera?

Siete sicuri, domando sommessamente, di avere scelto il mestiere più giusto?

Lo chiedo perché mia madre e la gran parte delle persone che frequento, pensano sempre che ogni condanna sia troppo lieve, che ogni assoluzione sia ingiusta e che bisognerebbe riempire le patrie galere con tutti quelli che per un motivo o per l’altro non ci piacciono, ma loro, per fortuna, hanno scelto di fare un altro lavoro.

Davvero pensate che il vostro compito sia quello di mettere in galera più gente possibile?
avvocato Davide Steccanella