giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

“False malattie, water, bombole del gas” per il direttore del carcere di Bergamo

“Lunedì vado all’ospedale militare e mi dici i sintomi che devo accusare. Qual è la sindrome ansioso depressiva che devo accusare”. In effetti un po’ d’ansia l’allora direttore del carcere di Bergamo Antonino Porcino sembra manifestarla  al telefono col dirigente sanitario della struttura, Francesco Berté. Un’agitazione che, secondo la Procura, è legata alla volontà di non andare a lavorare tra il 29 gennaio e il maggio del 2018, giusto il tempo di raggiungere la pensione.  “Mi volevano mettere in ferie e allora mi metto in malattia… – suona preoccupato Porcino in un’altra conversazione intercettata -  mi hanno fatto girare i coglioni ma se mi chiedono che sintomi ho non li so”. “Eh – gli spiega un interlocutore a cui si rivolge in un’altra telefonata – che hai poco interesse durante la giornata…che sei stanco…ti si chiude ogni tanto lo stomaco…in un modo che non è grave …solo un po’ di sintomi depressivi”. Ma a Porcino pare non bastare: “Devo essere grave invece…devo essere grave”.   Con la complicità di quattro indagati, tre medici e un dirigente sanitario, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare a carico anche dell’ex direttore, “la dolosa e inveritiera attestazione di sindrome ansioso depressiva  comportava l’esonero del Porcino per la durata  di 205 giorni determinando il diritto al trattamento economico spettante per le residue ferie non dovute  col correlato illecito arricchimento”. Con “possibili riflessi economici positivi” sulla pensione.

Quasi surreali alcune delle contestazioni mosse a Porcino, dall’aver chiesto a un agente della polizia penitenziaria di andare in orario di servizio a prelevare due bombole del gas a casa sua, ricaricarle e poi riportarle nella sua abitazione, all’essersi “appropriato” assieme a un altro indagato di “almeno due water nuovi appena imballati”, portati via dal carcere. Addirittura gli viene addebitato di essersi impossessato di una risma di carta della struttura. Infine, avrebbe pure ricevuto “scatoloni di medie dimensioni contenenti presumibilmente macchinette di caffé” per avere favorita un’azienda ‘amica’nella procedura per l’installazione di distributori di cibi, bevande e tabacchi.  Gli arresti nascono da un’inchiesta coordinata dai pm Maria Cristina Rota ed Emanuele Marchisio che era nata per far luce sul trattamento carcerario “di favore” garantito a un imprenditore arrestato, nell’aprile 2017, dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia, nell’ambito di indagini sulla realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’uomo, detenuto a Bergamo, aveva usufruito di un lungo ricovero all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, grazie a certificazioni mediche che attestavano un grave shock emotivo che invece non aveva subito.

Le indagini hanno fatto emergere il coinvolgimento nella vicenda dell’attuale comandante della Polizia Penitenziaria di Bergamo, Antonio Ricciardelli,  e hanno accertato false attestazioni sanitarie per far ottenere benefici economici (pagamento licenza non fruita all’atto del pensionamento, trattamenti privilegiati di quiescenza, riposo medico per patologie inesistenti e concordate) all’ex direttore del carcere di via Gleno, da pochi giorni, in pensione. Dalle intercettazioni, spunta anche un presunto falso sulla durata di un colloquio  che il procuratore di Brescia, Tommaso Buonanno ebbe il 29 marzo  scorso con il figlio Gianmarco, detenuto per rapina. L’incontro era durato un’ora e mezza ma Ricciardelli e un agente annotarono sul registro la durata di un’ora. (manuela d’alessandro)

“Ciao Pino, eri il nostro porto nella bolgia delle direttissime”

Legali e frequentatori del Palazzo di Giustizia piangono la scomparsa di Giuseppe Di Donato, da tutti conosciuto come Pino, il dirigente delle direttissime andato in pensione da poco e scomparso nei giorni scorsi (nella foto con l’avvocato Debora Piazza). Riceviamo e pubblichiamo un ricordo dell’avvocato Mauro Straini.

Nella parte più buia dei gironi infernali del palazzo di giustizia, piano terra, sezione direttissime, dove la durezza dei processi penali quotidianamente si celebra nel modo più drammatico, la tua cancelleria, per me, per noi avvocati, è sempre stato un porto sicuro. 

Gente simpatica, intelligente. E tu più di ogni altro, Pino. 

Una questione di stile.

 - Ciao Pino, per quel ’299′ ci sono novità, il giudice ha deciso se dare dare gli arresti domicliari? 

E quasi sempre le novità erano negative.

 - E’ un rigetto. Resta in carcere.

Anzi, lo dicevi con due g: un riggetto, con il tuo indimenticabile accento romano. 

Ma lo dicevi in un modo che saperlo da te era un po’ meno peggio: lo dicevi come uno che sa che forse di tutto questo potrebbe anche farsene a meno, però c’è, e allora tocca fassene ‘na ragione, perché così è la vita.

Così è la vita, caro Pino. 

Professionale, competente, intelligente, serio, umano, simpatico sempre. 

Ciao Pino, ci mancherai. Con te se ne va un pezzo di storia del Palazzo.

Cyberbullismo, dall’idea di un pm la pagina Fb per genitori e scuole

L’idea è venuta al pubblico ministero esperto di reati informatici Francesco Cajani. Una pagina Facebook in cui  magistrati, forze dell’ordine, avvocati, docenti universitari, criminologi si mettono a disposizione di genitori e insegnanti per aiutarli ad affrontare episodi di cyberbullismo e le questioni sollevate dal rapporto tra la  tecnologia e i ragazzi. Molti di questi professionisti, per ora una sessantina, sono soci o simpatizzanti di Ilsfa, la principale associazione di informatica forense in Italia, che da un paio di settimane ha lanciato il gruppo chiuso su Fb (Ilsfa Educ@tional Response Team) a cui le scuole di ogni ordine e grado e le famiglie possono rivolgersi scrivendo un messaggio. “Vogliamo dar vita a uno spazio protetto che ha lo scopo di trovare soluzioni, idee e proposte – spiegano i promotori  - Garantiremo il nostro tempo libero e un sostegno qualificato, ma senza andare di persona nelle scuole perché spetta a genitori e insegnanti risolvere i problemi”. Tra gli strumenti offerti a chi è in difficoltà, si pensa anche a dei video da proporre nelle scuole, il cui contenuto verrà calibrato  a partire dalle sollecitazioni di chi chiede aiuto. In un recente incontro promosso da Ilsfa, Cajani, già pm in uno dei primi processi sul bullismo via web (Vividown contro Google) e punto di riferimento italiano per Eurojust, ha raccontato di avere messo “nello zainetto che mi porto in giro per l’Europa, tra Strasburgo e Bruxelles, anche il telefono di Peppa Pig sottratto ai miei figli. Trovo che sia un efficace simbolo del nostro tempo. E’ un giocattolo che, per essere venduto, deve avere necessariamente il marchio CE, un marchio che impone alle imprese ben precise regole di produzione e commercializzazione, ai fini di una sicurezza del consumatore finale in quanto minore e, per definizione, vulnerabile. Possibile invece che per i nostri telefoni che giocattoli non sono, e con i quali i nostri figli intrattengono spesso la maggior parte della loro vita di relazione, tutto questo non sia ancora previsto?”. Il rischio per il magistrato milanese “è che si posso realizzare una libertà intesa come assenza di leggi e, quale pendant culturale, uno sviluppo relazionale – tecnologico dei nostri figli anche qui caratterizzato da un’assenza di leggi”.

(manuela d’alessandro)

Tutti i dubbi del processo Uva

Perché è morto Giuseppe Uva? Di sicuro a causa di un’aritmia cardiaca. Per il resto, la narrazione della fine del manovale, deceduto in una caserma dei carabinieri di Varese il 15 giugno del 2008, prende strade incompatibili nelle parole del sostituto pg Massimo Gaballo e degli avvocati dei due carabinieri e dei sei poliziotti imputati per omicidio preterintenzionale e sequestro di persona.  Per loro, assolti in primo grado, sono state chieste pene fino a 13 anni.

Il testimone chiave

Alberto Bigioggero, quella sera era con Giuseppe Uva. Bevevano e facevano casino in strada. Ha raccontato che uno dei carabinieri, quando li vide, disse al suo amico: “Proprio te cercavo, questa notte non te la faccio passare liscia”. Una lezione che, secondo Bigioggero, Uva si sarebbe ‘meritato’ perché si vantava di avere avuto una relazione con la moglie del carabiniere. Ha raccontato, poi, di aver visto i carabinieri percuoterlo prima di caricarlo in macchina e di averlo sentito urlare ‘ahia’ in caserma.  Per il pg “nonostante i problemi psichiatrici e l’abuso di alcol, era perfettamente capace di intendere e di volere, come ha riferito in aula un consulente. Nel corso dei vari interrogatori, ha sempre mantenuto fermo il nucleo fondamentale delle sue dichiarazioni, nonostante le modalità degradanti con le quali è stato sentito da accusa e difesa durante le indagini e il processo di primo grado”. L’avvocato Duilio Mancini sintetizza così la posizione espressa dalle difese: “Fa rabbrividire che la vita degli imputati rischi di essere distrutta dalle farneticazioni di questo personaggio, parricida reo confesso (ieri è stato condannato a 14 anni di carcere per l’omicidio del padre, ndr). Questo testimone ha avuto una serie impressionante di ricoveri per problemi psichiatrici, è tossicodipendente e facilmente suggestionabile. Si è calato nel ruolo di protagonista principale partecipando a numerose trasmissioni televisive e alimentando con le sua calunnie il processo mediatico”.

Il trasferimento in caserma 

Per l’accusa, fu “totalmente illegittimo”. “Si può trattenere una persona in caserma, se non c’è un arresto in flagranza, solo se la persona si rifiuti di declinare le proprie generalità – argomenta il pg Gaballo – e non c’è prova del rifiuto di Uva. D’altra parte i carabinieri conoscevano molto bene la sua identità perché ci avevano già avuto a che fare.” Di tutt’altro avviso l’avvocato Mancini: “Nessun arresto, né legale, né illegale, ma un semplice accompagnamento in caserma. Come hanno spiegato gli imputati, Uva era pericoloso e e doveva essere neutralizzato perché era una fonte di disturbo per gli altri. L’unico modo di farlo era toglierlo dalla strada. Mettetevi nei panni dei cittadini che stavano alla finestra, disturbati dal rumore, e pretendevano che le forze dell’ordine rimuovessero questa situazione perché non ne potevano più del trambusto. La migliore prova della loro innocenza è che non lo hanno arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, a conferma della buona fede e che non avevano nessun parafulmine da crearsi”.

Il movente 

La presunta liason con  la moglie del carabiniere, secondo il pg. O, almeno, la vanteria. “Non abbiamo prova che questa relazione ci fosse, ma nemmeno che non ci fosse – sostiene il pg – E’ certo invece che Bigioggero ha messo a verbale che Uva si vantava di questa relazione. Una vanteria che era più che sufficiente per una punizione. Stiamo parlando dii persone che non si fanno nessuno scrupolo a piegare i propri doveri istituzionali a interessi privati”. “Nessuna prova” su questo flirt, è la tesi dell’avvocato Ignazio La Russa, che assiste un poliziotto. “Lo sforzo del pg è arrivato addirittura a disonorare la moglie del carabiniere, e uso un termine che in certi ambienti ha ancora un significato”.

Le lesioni

Per il rappresentante dell’accusa, le lesioni sulla sommità del cranio e alla base del naso “sono lievi e non idonee a provocarne la morte” ma vanno inserite nell’esplodere di quella “tempesta emotiva” che avrebbe fermato per sempre il cuore di Uva. Secondo l’avvocato Mancini, “Uva si ferì con atti di autolesionismo”, ma per lil pg “non poteva sbattere la testa dappertutto, come sostenuto dagli imputati, e provocarsi solo piccole lesioni, Uva non era di gomma”.

Gli insabbiamenti 

Sono quelli di cui, per l’accusa, si sarebbe reso responsabile il procuratore di Varese Agostino Abate, che per questa vicenda è stato sanzionato in primo grado dalla sezione disciplinare del Csm. Inoltre, “Bigioggero è stato interrogato in primo grado con modalità barbare in violazione della legge che proibisce metodi che influiscano sulla libertà di autodeterminazione. Andatevi a vedere il suo esame durato due udienze – così il pg ha esortato i giudici – e verificate se davvero i pm volessero accertare la verità. Vedrete che il presidente della Corte ha perso il controllo del dibattimento”. “Il pg – ribatte La Russa  -  è stato costretto a creare uno scenario con argomenti che non ho quasi mai trovato nei processi. Ha avuto il coraggio di arrivare a denigrare tutti i pm che hanno operato in questo processo: Abate, Arduini, Borgonovo, Isnardi. Se è vero che Abate ha sempre avuto comportamenti sopra le righe (il pm Agostino Abate che condusse le prime indagini ed è stato sottoposto a procedimento disciplinare per omissioni e ritardi in questa vicenda, ndr), la Arduini (il pm Sara Arduini che affiancò Abate, ndr) mi dicono essere una tranquilla signora ed è inimmaginabile che Borgonovo (Daniela Borgonovo, pm varesino che chiese l’assoluzione, ndr) e Isnardi (il pg Felice Isnardi che riaprì le indagini, ndr) facciano parte di un complotto. Gaballo ha dovuto costruire un complotto per la debolezza degli strumenti accusatori a sua disposizione.

Di cosa è morto Uva?

Dicono le difese: solo per un attacco di cuore, determinato anche da una patologia cardiaca di cui soffriva. A ucciderlo, secondo la Procura Generale, sarebbe invece stata la “tempesta emotiva originata dal suo illegittimo trasferimento in caserma”.

(manuela d’alessandro)

 

Fondi giustizia Expo: inchiesta da Milano a Brescia, possibili reati toghe

I monitor sono sempre lì, forse qualcuno sta pensando di trasmetterci i mondiali di calcio anche se l’assenza dell’Italia non aggiungerebbe molto pathos alla loro muta presenza. Ma c’è una piccola novità nelle indagini sull’utilizzo dei fondi Expo per la giustizia milanese in cui viene ipotizzato anche lo spreco di denaro pubblico per comprare le decine di schermi Samsung appesi nel palazzo destinati, in teoria, a rendere più facile l’orientamento del cittadino. Il procuratore aggiunto Eugenio Fusco e il pm Paolo Filippini hanno trasferito le carte alla Procura di Brescia per valutare possibili ipotesi di reato a carico delle toghe meneghine coinvolte nella gestione del denaro. Nei mesi scorsi, i magistrati hanno iscritto una persona nel registro degli indagati (non un magistrato) e poi si sono resi conto che non avrebbe avuto senso trattenere un fascicolo che, prima o poi, li avrebbe chiamati a valutare una possibile responsabilità dei magistrati. Gli accertamenti compiuti a Milano entrano nel fascicolo già aperto a Brescia da mesi, dopo che, nel novembre del 2017, l’Anac aveva chiuso la sua indagine ipotizzando colpe sia del Comune di Milano che della magistratura milanese “per un improprio ricorso alle procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando di gara” in relazione all’utilizzo di dieci dei quindici milioni di euro arrivati alla giustizia milanese in nome di Expo. Somme utilizzate per lo più per svecchiare la giustizia milanese attraverso il processo digitale.  In conclusione della sua delibera, l’autorità presieduta da Raffaele Cantone aveva annunciato l’invio del report alle Procure di Milano, Brescia e Venezia, quest’ultima competente sui reati del magistrati in servizio a Brescia, dove è presidente della Corte d’Appello l’ex giudice milanese Claudio Castelli.  Gli altri nomi dei magistrati fatti da Anac erano quelli dell’ex presidente del Tribunale Livia Pomodoro e del giudice Laura Tragni. Sulla vicenda sono in corso da tempo anche gli accertamenti della Corte dei Conti. In generale, la sensazione è che nessuno abbia troppa voglia di scavare anche perché non è facile fare indagini ‘a freddo’, senza la possibilità di intercettazioni, su fatti che risalgono a molto tempo fa.

(manuela d’alessandro)