giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il libro di Iacona, l’ingiustizia nei Tribunali in ‘presa diretta’

“Ricordati che al plenum sei stato nominato aggiunto per un solo voto di scarto, un voto di Magistratura Democratica. Avrei potuto dire a uno dei miei colleghi al Csm che Robledo mi rompeva i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la Gatto che poi avremmo sbattuto alle esecuzioni” disse il procuratore Edmondo Bruti Liberati al suo aggiunto Alfredo Robledo che replicò: “Cosa c’entra la corrente di Md con la funzione giurisdizionale, io sono un magistrato, ho giurato sulla Costituzione. Mi meraviglio che proprio tu dica certe cose”. “Sappiano tutti che il mondo va così” la controreplica…”Il tuo va così, non certo il mio” chiuse Robledo.

“Palazzo d’ingiustizia”, 208 pagine a firma di Riccardo Iacona, giornalista e conduttore tv, dimostra che quando c’è la possibilità di sapere le cose emerge che la magistratura si delegittima da sola con i suoi comportamenti.

E davanti al Csm Bruti poi spiegherà: “Io ho fatto una battuta di spirito… Robledo sembrava lamentare di non essere da me abbastanza amato e dissi che era tanto amato che Md lo aveva entusiasticamente votato. Le frasi in questione è meglio per la dignità di tutti che rimangano dove sono”. Insomma il procuratore, in evidente imbarazzo, invocava gli omissis.

“Io penso che questa storia non sia mai stata raccontata per quello che ha realmente significato. Perché non è solo la storia di Alfredo Robledo (declassato nei giorni scorsi da aggiunto a pm a Torino, ndr), è la storia della giustizia italiana e di come non viene esercitata” spiega  Iacona. “Altro che scontro tra due personalità esuberanti! Lo scontro è stato ed è molto più importante dei due contendenti e ci riguarda molto da vicino. In ballo c’è l’autonomia del magistrato quando amministra la giustizia, e non è cosa da poco”.

Insomma se Robledo non avesse presentato l’esposto al Csm contro il suo capo non avremmo saputo molte cose. Il libro è basato su più incontri tra l’autore e Robledo a partire dai primi di agosto del 2017, da cui sono scaturite decine di ore di registrazione. Ma anche su documenti e  resoconti strenografici resi dai protagonisti nel corso delle audizioni davanti al Csm. “Ho chiesto un’intervista ai colleghi magistrati citati da Robledo nei due esposti – scrive Iacona – entrambi non hanno risposto alle mie email”.  Ha parlato, e tanto, Bruti anche se non ho voluto domande dirette sui contenuti dell’esposto di Robledo. Gliene va dato atto, così come di non avere mai querelato chi l’ha criticato per le sue scelte quando era procuratore.

“L’Expo non doveva esserci, ma si è fatta grazie a Cantone e Sala, grazie a un lavoro istituzionale d’eccezione, al prefetto e alla procura di Milano che ringrazio per aver gestito la vicenda con sensibilità istituzionale” sono parole dette da Matteo Renzi allora capo del governo il 5 agosto 2015 e che saranno poi ripetute a novembre.

Il 24 parile 2015 una settimana prima dell’inaugurazione di Expo questo blog, come si ricorda nel libro, pubblicava un articolo dal titolo: “La moratoria sulle indagini della procura di Milano per Expo”.

A Iacona Bruti dice: “Senza quella impostazione del nostro lavoro tale risultato avrebbe rischiato di non realizzarsi. Se si vuole chiamare questo ‘sensibilità istituzionale’ io sono d’accordo. Abbiamo protetto qualcuno? Aspetto che i giornalisti di inchiesta mi dicano chi avremmo protetto, non con chiacchiere ma con elementi precisi utilizzabili processualmente”. E i ringraziamenti di Renzi? “Io non entro nella testa degli altri. Che cosa volesse dire, dovete chiederlo a Renzi”.

Iacona ricorda pure “l’intervento a gamba tesa” di Giorgio Napolitano Capo dello Stato secondo il quale”non si possono superare gli elementi di di disordine e tensione che si sono creati a Milano senza un pacato riconoscimento delle funzioni ordinatrici e cooordinatrici che spettano al capo dell’ufficio”. Cioè, in parole povere, il capo della procura è il padrone  e nessuno rompa le scatole.

Il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale è stato mandato a farsi benedire perché la magistratura ha scelto di essere parte del sistema paese e di salvaguardare Expo a tutti costi.

Del resto Beppe Sala da amministratore di Expo assegna la ristorazione di due padiglioni a Oscar Farinetti senza gara pubblica. Indagato per abuso d’ufficio viene prosciolto senza nemmeno essere interrogato. Nella motivazione della procura si legge: “Sala favorì di fatto Farinetti ma senza averne l’intenzione, manca il dolo”. Amministratori pubblici, sindaci in testa, vengono processati e anche condannati per molto meno. A prosciogliere Sala provvide uno dei giudici che per i fondi di Expo giustizia contribuì alla scelta di non fare gare pubbliche affidandosi ad aziende “in rapporti di consuetudine con la pubblica amministrazione”.

Nel libro di Iacona si parla anche del famoso fascicolo “dimenticato” per sei mesi in un cassetto e riemerso a bocce tirate quando la gara d’asta per la Sea si era già svolta e in pratica non si potevano più svolgere indagini. Le carte arrivarono sul tavolo di Robledo troppo tardi per responsabilità esclusiva del suo capo. L’inchiesta fatta a tempo debito avrebbe messo in imbarazzo la neonata giunta di centrosinistra di Pisapia. Anche in questo caso “senso di responsabilità istituzionale”, ma stavolta senza ringraziamenti pubblici. Pensiamo a un pm che dimentica nel cassetto per sei mesi un fascicolo su Berlusconi. Buttano via la chiave della cella.

A poche ora dall’uscita del libro, il giudice Andrea Mirenda – che ha denunciato nel libro “il tumore” delle correnti  nella magistratura a Danilo Procaccianti, collaboratore di Iacona – è stato colpito da una richiesta di sanzione disciplinare inviata dall’ex membro laico del Csm e parlamentare Pierantonio Zanettin al Ministro Andrea Orlando. (frank Cimini e manuela d’alessandro)

Un premio speciale per ricordare Cristina Bassetto

“L’uomo che piantava gli alberi” è il fortunato racconto scritto da Jean Giono sull’incontro tra un ragazzo in cerca di acqua e un solitario pastore provenzale che, tutti i giorni, pianta cento ghiande in un terreno arido e disabitato. Una fatica generosa e libera, per uno sforzo che lascerà traccia nei boschi che cresceranno, cambiando la faccia della sua terra.

Cristina Bassetto nei suoi decenni da appassionata cronista giudiziaria ha incontrato tanti ragazzi seminando in silenzio, senza chiedere mai nulla in cambio in un mondo dove tutti chiedono un like. Non c’è persona all’inizio del suo percorso professionale o in un momento di fragilità che non ricordi l’incrocio coi suoi occhi limpidi pronti all’ascolto, al sorriso, al consiglio. E’ per tutti gli alberi piantati da Cristina e per quelli che lo saranno che il presidente del Gruppo Cronisti lombardi Cesare Giuzzi ha deciso di istituire un riconoscimento speciale a lei dedicato nell’ambito del Premio Vergani.  ”Un premio che vuole essere un riconoscimento del suo lavoro e un contributo da parte di tutti i colleghi affinché venga conservata la memoria del suo impegno e del suo operato”. L’assegnazione sarà decisa dalla Giuria con la consultazione di un comitato di colleghi e amici di Cristina. E lei ci ispirerà, sotto alla sua amata pianta di fico sul mare di Fano, dove sognava di tornare dopo avere seminato in tutti i suoi splendidi anni. (manuela d’alessandro e frank cimini)

“Perché la personalità di un uomo riveli qualità veramente eccezionali, bisogna avere la fortuna di poter osservare la sua azione nel corso di lunghi anni. Se tale azione è priva di ogni egoismo, se l’idea che la dirige è di una generosità senza pari, se con assoluta certezza non ha mai ricercato alcuna ricompensa e per di più ha lasciato sul mondo tracce visibili, ci troviamo, allora, senza rischio d’errore, di fronte a una personalità indimenticabile”. (Jean Giono da ‘L’uomo che piantava gli alberi’).

 

 

“Oltre il confine”, la folle guerra dei precari passa dal Tribunale

Igor Greganti fa quello che nessuno ha osato nei nostri anni della crisi. Fa scoppiare una guerra. Che poi, nemmeno minuscoli focolai di piazza si sono visti, a parte qualche forcone smussato. E quindi si valuti bene la portata della sua straordinaria impresa. Col romanzo ‘Oltre il confine’, restituisce alla generazione dei 30 – 40enni italiani quello che la crisi gli ha tolto: la possibilità di una trincea, quella linea di polvere e sangue negata da un’epoca che, con la moltiplicazione dei contratti, ha sigillato i precari in tanti  vasi non comunicanti, un esercito frammentato e coi fucili senza canna verso la disfatta.

E’ una guerra assurda, che non ha nulla di eroico e anzi trasuda  ironia e malinconia, stati dell’anima sottili poco affini alla retorica bellica. A cominciare dalla bislacca truppa in campo: Giuseppe Manna, 20 anni compiuti nel 2000 e già testimone di un processo al Presidente del Consiglio, il giornalista stanco Gianni Tristano, l’ex banchiere cinico Simone Fronte e il fragile Paolo Arco. La loro missione non è disarcionare un nemico, grande assente dell’età della crisi, ma portare una valigetta dal contenuto misterioso oltre il confine, mentre si sfaldano tutti i centri del potere: lo Stato, il clero, le industrie, le banche, i media e la giustizia.  Dalle prime sommosse si era passati alla guerra civile dopo che il Presidente del Consiglio aveva annunciato la fine della crisi in “un’altra giornata in cui era davvero difficile trovare un lavoro”.

Quali parole usare per una guerra così folle? Greganti si cimenta in un’altra impresa. Abolisce il linguaggio sciatto e sincopato dei suoi coetanei, inventando una lingua vertiginosa e lenta, che si adatta meglio alla strada tortuosa percorsa dalla generazione precaria, costretta spesso  a camminare sul posto, senza andare avanti né indietro, tanto si è offuscata la sua meta originaria (l’autore sembra chiedersi: ma poi, qual era?). Igor è anche poeta, e per questo non butta sul foglio nemmeno una parola se non ha un abito elegante e un suono tondo. “Così da una decina di mesi o forse più – è il passaggio in cui si racconta la crisi di Manna – aveva scelto di vivere soltanto per se stesso e di dormire in attesa dello sviluppo degli eventi. L’unico rischio che si era concesso era stato comprare i biglietti perdenti di due lotterie appena istituite, facendosi largo anche lui nel virus che accomunava signore intolleranti e stranieri dai denti d’oro”. Finché il rumore dei fucili non fa alzare la testa dal cuscino al giovane testimone del processo al capo del Governo che  ai giudici era riuscito a dire soltanto: ‘Vi rendete conto che fine abbiamo fatto?’.  

La combriccola protagonista del road movie, che passa anche per una chiesa, una locanda e un ospedale, trova approdo e svolta in un luogo che rimanda alla sala stampa dell‘”immenso, quasi bello e terrificante” Palazzo di Giustizia milanese in cui, durante la guerra, si vivacchiava in “un piccolo mondo di toghe imperfette, imputati che si bastonavano da soli e notizie senza lettori, mentre fuori nemmeno gli scontri ad armi in pugno avevano una direzione precisa”.  Sarà un assurdo patto generazionale a indicare la direzione salvando i ragazzi che in trincea imparano il coraggio. A firmarlo un personaggio indimenticabile per chi bazzica i corridoi del Palazzo: il “barbuto” Francesco From, “l’ex influente cronista ribelle, ora valoroso nel non trascurare i migliori tratti dell’animo umano”. Indovinate chi è.

(manuela d’alessandro)

“Oltre il confine” di Igor Greganti, Laurana Editore. Pagine 141, euro 14,90.

Expo, Sala prosciolto… inutili le indagini a babbo morto

Le indagini a babbo morto ad anni di distanza dai fatti sono inutili e non portano da nessuna parte chi le fa. In questo caso la Procura generale della Repubblica di Milano che aveva cercato di fare il lavoro che la procura ai tempi decidendo per la moratoria in nome della celebrazione dell’evento Expo a tutti i costi aveva scelto di non fare. Il sindaco Beppe Sala è stato prosciolto dal gip dall’accusa di abuso d’ufficio relativa all’affidamento alla Mantovani senza gara della fornitura di alberi pagati 6 volte tanto.

Si tratta di una storia assurda dalla quale non esce bene nessuno. La procura retta da Edmondo Bruti Liberati per prima. A dimostrarlo restano le parole dell’allora premier Matteo Renzi che ringraziava Buti “per il senso di responsabilità istituzionale” inserito tra le cause del “successo di Expo”.

La procura generale ha sfiorato il ridicolo con i cambi di imputazione, prima la turbativa d’asta, poi l’abuso d’ufficio e a una settimana dalla fine dell’udienza preliminare l’aggiunta della violazione relativa alla normativa europea. Le perquisizioni ordinate alla Gdf 3 anni dopo non potevano che rivelarsi un solletico.

Beppe Sala, portatore di un conflitto di interessi gigantesco tra amministratore di Expo e candidato sindaco poi eletto, anche perché senza nemmeno interrogarlo la procura chiedeva e otteneva il suo proscioglimento dall’accusa di aver favorito Oscar Farinetti con l’affidamento della ristorazione di due padiglioni. Anche in questo caso senza gara pubblica, in pratica una costante. Perché va ricordato che per i fondi di Expo-giustizia i vertici del palazzo di via Freguglia omettevano le gare affidandosi ad aziende che avevano consuetudine con la pubblica amministrazione. Tra queste una con sede legale nel paradiso fiscale del Delaware.

Su presunte responsabilità dei magistrati e dei giudici di Milano ci sono fascicoli aperti a Brescia e a Venezia di cui si sa poco o nulla. E non è detto che ne sapremo qualcosa. Tutto si tiene. Soprattutto a babbo morto. (frank cimini)

“Sono bugiarde”, nei guai per Maroni l’avvocato Rossello e la portavoce Votino

 

“Mi sento in imbarazzo qui, non è il mio ambiente”, aveva ammesso con un candore raro per un avvocato di lungo corso, già legale di Silvio Berlusconi nella sua causa di separazione e coinvolta nella vicenda del ‘papello’ dei Ligresti. Era il 23 febbraio 2017 e la neo deputata di Forza Italia, Cristina Rossello, si era appena liberata  di un’impegnativa testimonianza nel processo a carico di Roberto Maroni accusato, tra l’altro, di avere esercitato pressioni indebite per portare in missione a Tokyo,  a spese di Expo, la sua collaboratrice e amante Maria Grazia Paturzo. Infastidita, Rossello si era avvicinata ai cronisti in aula chiedendo  di non fare riferimenti nei loro articoli ad alcuni passaggi della sua deposizione. Ora il pm Eugenio Fusco, in coda alla requisitoria conclusa con la richiesta di condanna a 2 anni e sei mesi di carcere per l’ex Governatore, ha chiesto al Tribunale di trasmettere gli atti della sua testimonianza e di quelle della Paturzo e della storica portavoce di Maroni, Isabella Votino, alla Procura. “Dichiarazioni assolutamente mendaci”, per il pm,  rese in aula dalle due ex amiche, proprio in relazione alla liason tra Paturzo e Maroni.  Il pm aveva interrogato Rossello sul contenuto di alcuni sms che si era scambiata con la portavoce, prima della trasferta giapponese, poi annullata secondo l’accusa “per la gelosia della Votino” nei confronti della Paturzo.

“Isabella aveva una gelosia professionale nei confronti di un’altra donna vicina a Roberto Maroni – così l’avvocato aveva ricostruito l”Eva contro Eva’ al Pirellone – La sua era una preoccupazione lavorativa, e di diminuzione del proprio ruolo professionale. C’era un’altra persona di fiducia molto presente nella vita del Presidente. Isabella è molto brava nel suo lavoro di pubbliche relazioni. Ma lì non stava più bene, forse aveva fatto il suo tempo. Così le suggerii di trovare un lavoro nel privato”. Dopo che saltò la missione in Giappone, Rossello aveva troncato il suo rapporto con Votino perché “ero stanca dei pettegolezzi”. Quali pettegolezzi?, la domanda del pm e dei giudici. “Spesso nelle attività professionali ci possono essere gelosie tra donne e io ho temuto fosse un sentimento di gelosia professionale, non di altro”.

Una versione simile a quella consegnata al Tribunale dalla Votino la quale aveva motivato così il suo disappunto per la possibile presenza della Paturzo a Tokyo: “Non mi ero trovata bene con lei in una precedente esperienza di lavoro, a volte succede. Non ero contenta di lavorare con lei e questo mi creava disagio. Quando al telefono dissi che che avrei liberato il mio posto se ci fosse stata lei, sarà stata una battuta, il tono non si evince dal testo. In quei  giorni non mi sentivo bene, ero stressata anche per motivi familiari”.

“Sono una persona affettuosa, scrivo messaggi in cui esprimo il mio affetto anche a parenti e amici”,  la versione di Paturzo per  gli scambi intercettati al telefono con Maroni. Messaggi che, ha svelato il pm nella requisitoria, sono stati ridotti all’essenziale nelle trascrizioni, evitando quelli “morbosi e sgradevoli” rivelatori della storia che avrebbe fatto infuriare la Votino.

(manuela d’alessandro)