giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Quando sono i magistrati a non capire le violenze sulle donne

 

A volte sono proprio i magistrati o chi li affianca nelle loro inchieste  a non ascoltare le donne, a non aiutarle a ottenere giustizia quando raccontano di avere subito delle violenze. A spiegarlo è il giudice milanese Fabio Roia nel libro ‘appena uscito Crimini contro le donne’ in cui, oltre a presentare il panorama legislativo in materia, attinge alla sua esperienza di ogni giorno nelle aule di giustizia da quando, all’inizio degli anni Novanta, assieme a tre colleghe diede vita al primo e storico pool ‘famiglia’ specializzato in abusi tra le mura domestiche. “La trama diventa drammatica – scrive Roia, ora a capo della sezione misure di prevenzione del Tribunale – quando il pregiudizio invade il mondo dell’intervento giudiziario dove si registrano ancora, fortunatamente a intermittenza ma con una tendenza al consolidamento, atteggiamenti culturali di fastidio, di resistenza, di negazionismo del problema che rivelano certamente dei pregiudizi”. Ecco allora che “operatori di polizia giudiziaria non formati sul piano culturale accolgono le donne che vogliono denunciare la violenza del compagno con indicazioni incoraggianti tipo signora, ci pensi bene, è il padre dei suoi figli, poi le portano via i bambini, lei non ha prove”. Il pregiudizio, spiega Roia, “si trasforma poi in errore tecnico nel processo”. “Così nelle aule di giustizia si sostiene che se ci sono periodi di tranquillità nella vita familiare il maltrattamento, neanche fosse una riduzione in schiavitù, non può sussistere; che se la donna testimone non ripete esattamente più volte sempre le stesse cose non può essere considerata attendibile; che la denuncia, soprattutto quando c’è una separazione in corso, può essere strumentale; che non è possibile che una parte lesa abbia sopportato anni di violenza senza parlarne con qualcuno o andare al pronto soccorso dicendo ai medici la vera genesi delle lesioni accertate”. E ancora, ci sono magistrati che nelle sentenze “scrivono frasi devastanti per la vittima che aspetta dalla decisione giudiziaria un riconoscimento istituzionale della sua violenza, che interpretano atteggiamenti e tratteggiano valutazioni di moralità, come scrivere che la ragazza ha una vita ‘non lineare’”. Roia striglia anche alcuni avvocati, come il difensore di un uomo che abusò di una donna “incosciente a causa di un’assunzione smodata di alcol”. Il legale chiese un’attenuazione della pena perché la vittima “essendo incosciente non aveva percepito l’invalidità del gesto”. Accadeva a Milano, nel 2014.

“Crimini contro le donne” di Fabio Roia, Franco Angeli Editore, pagg. 183, euro 24.

Guerra col Comune, la difesa del ‘papà’ del processo digitale sui fondi Expo

“Il Comune dice che è colpa nostra? Succede, la vita è bella perché è varia”. Pasquale Liccardo, magistrato e capo della Dgisia, la direzione per i sistemi informativi del Ministero della Giustizia, non ha molta voglia di parlare degli appalti milionari senza gara assegnati col tesoro di Expo.

Eppure l’occasione è ghiotta. I protagonisti del processo civile telematico sono tutti qui nell’aula magna del Palazzo di Giustizia a discutere delle prospettive di una giustizia senza carta. Liccardo, considerato il papà del Pct, è un uomo ottimista tanto da promettere a un giovane avvocato seduto in platea che “tra 4-5 anni” potrà depositare la richiesta di rito abbreviato al giudice di Gela via computer senza sobbarcarsi il viaggio infinito che domani dovrà intraprendere per portare il pezzo di carta sull’isola. Prima di lui sia il procuratore Francesco Greco che il Presidente del Tribunale Roberto Bichi  avevano ammesso con candore che non tutto sta filando giusto col processo digitale.

Su quegli appalti senza gara indagano le Procura di Venezia, Brescia e Milano. Hanno acquisito oltre alla relazione dell’Anac che segnala irregolarità in almeno dei 10 milioni su 15 stanziati in nome di Expo anche il report del Ministero della Giustizia, a firma dello stesso Liccardo. Pochi giorni fa, il Comune di Milano ha presentato un ricorso al Tar in cui chiede di annullare la delibera dell’Autorità anticorruzione scaricando ogni responsabilità su magistrati e Ministero della Giustizia.

Torniamo a Liccardo, che avviciniamo alla fine del convegno. “Dottore, che ne pensa di questa mossa del Comune?”. “Noi abbiamo fatto le nostre valutazioni, ora vediamo cosa decide il Tar. La nostra esperienza è stata molto positiva, abbiamo portato il Pct a Milano. Su questa vicenda siamo molto tranquilli”.  Poi, la risposta a dire il vero un po’ seccata sulla varietà degli scenari nella vita a proposito dello scaricabarile del Comune.

Liccardo all’epoca dei fatti al centro delle inchieste non era il capo del Dgsia, posizione occupata da Daniela Intravaia, e ora sta per lasciare anche lui proprio mentre è stato pubblicato il bando per assegnare una marea di milioni per lo sviluppo del Pct (entità dell’appalto una trentina di milioni). Dopo 12 anni e un durissimo intervento del Garante della Concorrenza sul monopolio della corazzata bolognese Net Service, si fa per la prima volta una gara europea. C’è agitazione tra le altre imprese che operano nel settore e che avevano segnalato le anomalie degli affidamenti diretti. A chi toccherà scrivere il futuro della giustizia? (manuela d’alessandro)

 

Ritratto di famiglia in sentenza: crociere, domestici e lussi di Veronica Lario

“Lunghe crociere ai Caraibi per almeno 4/5 settimane all’anno”, “estetiste, parrucchieri e personal trainer a domicilio”, la “frequentazione, per almeno 5 settimane all’anno, di Villa Certosa a Porto Rotondo”. Il provvedimento con cui i giudici della Corte d’appello di Milano Maria Cristina  Canziani (presidente), Pietro Caccialanza e Maria Grazia Domanico(consiglieri) tolgono l’assegno mensile di 1,4 mln a Veronica Lario restituisce anche un brillante ‘ritratto di famiglia’ e degli agi in cui ha vissuto l’allora first Lady. Sono gli stessi legali della signora Lario a rivelare in un lungo elenco i lussi di cui godeva la Lario quando spiegano  il tenore di vita che desidererebbe mantenere. Durante il matrimonio, “hanno sempre prestato servizio domestico presso Villa Belvedere di Macherio almeno una dozzina di persone”, “i costi relativi alla gestione, al personale, alla vigilanza e alla sicurezza sono sempre stati sostenuti in parte dal dott. Berlusconi personalmente e in parte attraverso societa’ a lui riconducibili”; “è  stata svolta attivita’ di manutenzione e conservazione della Villa Belvedere, del parco, compreso  impianto irriguo, statue, vasche, fontane, della piscina coperta, della palestra e dei macchinari in essa contenuti, degli automezzi, anche di quelli elettrici usati per lo spostamento nella proprietà”; Veronica ”ha sempre praticato attivita’ sportiva anche nella palestra pertinenziale a Villa Belvedere, attivita’ sportiva seguita da personal trainer e istruttori”. E ancora si legge nel provvedimento che “durante il matrimonio gli addetti alla sicurezza di Villa Belvedere di Macherio e della signora erano circa 25, operanti su turni che comportavano la presenza fissa 365 giorni all’anno, sia diurna che notturna” e che “anche più volte alla settimana e ogni volta che ne aveva necessità, in prossimità dei viaggi la signora riceveva attraverso la propria segretaria, che a sua volta ne aveva fatto richiesta al marito a mezzo del suo contabile, somme di denaro contanti per le spese minute”. Veronica “era solita utilizzare aerei ed elicotteri della società del marito per i propri spostamenti internazionali, oltre a voli di linea nella classi massime” e “più volte all’anno ha svolto viaggi, anche intercontinentali” e negli ultimi 4 anni, si è recata alle Galapagos, in Polinesia, nelle Fiji, in Nuova Zelanda, in Cambogia, Laos e Thailandia, in Brasile, Siria, a Parigi, a Praga e a New York, a Londra, in montagna, a Venezia e a Roma”. Gli “oneri relativi a tutti i viaggi”, viene precisato, “erano sostenuti direttamente dal marito o attraverso veicoli societari a lui riconducibili”. I suoi legali danno conto pure che la loro assistita “”ha sempre acquistato abiti realizzati da noti stilisti e si è dedicata alla cura del proprio corpo, sia dal punto di vista estetico che sportivo”.   (manuela d’alessandro)

Il libro che spiega come convivono tortura e democrazia

 

“Anche le democrazie possono convivere con la tortura. E di fatto convivono…Senza curarsi troppo del biasimo diffuso tra i cittadini, lo attestano i sondaggi… La maggior parte degli americani sono favorevoli, purchè abbiano la certezza che sventerà un attaco terroristico’”. La filosofa Donatella di Cesare scrive 237 pagine editate da Bollati Boringhieri per dire che di strada da fare ce n’è ancora tantissima.

La tesi è una sorta di “democratizzazione della tortura” che non dipende da una specifica forma politica. “Proprio la tortura rivela che il mistero della politica non è la legge, ma la polizia” aggiunge di Cesare. L’esempio più citato è “la guerra del terrore” dichiarata dagli Usa all’indomani dlel’11 settembre. Una guerra illimitata nello spazio e nel tempo.

Il saggio della filosofa è di grandissima attualità in un paese in cui non esiste una legge adeguata a sanzionare la torura come reato del pubblico ufficiale. La norma recentemente approvata dal nostro parlamento secondo le istituzioni europee non recipisce fino in fondo le direttive della convenzione internazionale. Ovviamente neanche la migliore delle leggi basterebbe.

Gli Usa che tutte le convezioni avevano recepito hanno poi aggirato l’ostacolo inventando una nuova categoria di nemico, quella del “combattente illegale”, perché le organizzazioni terroristiche non hanno firmato le convenzioni di Ginevra. E dunque il “combattente illegale” non può essere protetto.

Guantanamo, Abu Ghraib sono le tappe citate dal saggio e “accettare di discutere l’uso vuol dire già mettere in questione il veto di principio, l’interdizione assoluta. Così è nata l’ideologia liberale della tortura”. E ancora: “dato che la tortura è un male necessario si muta in bene”. Insomma è la morale del male minore, ma pure il male minore è un male.

Una serie televisiva americana, sempre dopo l’11 settembre, ha celebrato Jack Bauer, “il torturatore gentiluomo”. Tutto ruota intorno a un imminente attacco terroristico. “E lasciate fare a Jack” che sa come ottenere le informazioni per evitare l’attacco. “Jack, un patriota”.

Chi subisce la tortura non sopravvive alla morte degli altri ma alla propria, perché la tortura interrompe la continuità della vita. Nel saggio si parla di Giulio Regeni, dei fatti del G8 di Genova, dei fermati che venivano accolti in caserma con un “benvenuto ad Auscwitz”. Di Cesare rievoca la “tortura bianca” del carcere di Stemmaheim in Germania dove furono “suicidati” i militanti dlla Raf, i desaparecidos dell’America Latina. E pure quanto accadde in Italia durante i cosiddetti “anni di piombo”, ricordando le parole di Leonardo Sciascia: “Non c’è paese al mondo che ammetta la tortura ma di fatto sono pochi quelli in cui polizie, sottopolizie e criptopolizie non la pratichino”.

“La tortura non è un passo verso il genocidio ma manifesta lo stesso proposito distruttivo”, è la conclusione (frank cimini)

Tortura. Donatella Di Cesare. Bollati Boringhieri, 237 pagine.