giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Il mistero dell’appello scomparso del processo Ruby – bis

 

Che fine ha fatto l’appello del processo Ruby bis?

Il 22 settembre 2015 la Corte di Cassazione, accogliendo i ricorsi delle difese, aveva annullato con rinvio le condanne di Emilio Fede (4 anni e 10 mesi) e Nicole Minetti (3 anni).  Gli ‘ermellini’ spiegavano che sarebbe stato necessario rifare a Milano un nuovo processo di secondo grado alla luce del “grave vuoto motivazionale” della sentenza impugnata. In particolare, ai giudici della Corte d’Appello veniva rimproverato di non aveva accertato a carico dei due imputati fatti concreti relativi alle singole ragazze che avrebbero indotto a prostituirsi nonostante “la meticolosità con la quale si soffermavano sui concetti generali in tema di prostituzione, induzione  e favoreggiamento”.

E d’accordo che la prescrizione è di là da venire, ma più di due anni per fissare una data appaiono davvero tanti e fanno pensare che non ci sia nessuna voglia di celebrare un processo forse ritenuto non così indispensabile. Nel frattempo, Fede ha compiuto 86 anni e l’ex igienista dentale si è trasferita a Ibiza da dove  pochi giorni fa ha messo in mostra  il suo ‘lato b’ riflesso in uno specchio per le migliaia di  follower su Instagram. Del resto, c’è poca fretta anche per altre indagini e processi nell’ambito della saga giudiziaria nata dalle rivelazioni della ragazza marocchina. L’impressione è che questo sia un capitolo ormai archeologico che si abbia voglia di chiudere. In fondo, ora Berlusconi è diventato anche una vittima  per questa  Procura che ha aperto un’inchiesta sulla base di un suo esposto nella vicenda di Vivendi per l’affare (saltato) Mediaset Premium.   (manuela d’alessandro)

 

Lui condannato gli altri assolti, revisione del processo per Daccò

Pierangelo Daccò l’abbiamo visto molte volte in questi anni nelle aule milanesi. Sempre più sottile e sofferente. Ha trascorso 4 anni di carcerazione preventiva, davvero un eccesso, al di là della sua colpevolezza o innocenza, per uno strumento che non dovrebbe costituire una condanna anticipata.

Quando il 3 ottobre del 2012 il gup Maria Cristina Mannocci gli inflisse per il crac del San Raffaele 10 anni col rito abbreviato (sarebbero stati 15 in ordinario) era incredulo non solo il suo avvocato ma anche il pm che aveva chiesto 5 anni e mezzo, in pratica la metà.  In appello gli venne tolto un anno e si arrivò alla sentenza definitiva a 9 anni di carcere.

Nel frattempo, è successo che alcuni imprenditori coimputati di Daccò che avevano scelto il rito ordinario siano stati assolti per dei reati che, secondo l’accusa, avevano commesso in concorso con l’uomo d’affari amico di Roberto Formigoni e suo compagno delle gite in barca (per la vicenda Maugeri è stato condannato in primo grado a 9 anni e due mesi).

Ora la Cassazione accoglie l’istanza di revisione  presentata dai legali Gabriele Vitiello e Massimo Krogh e già respinta nel settembre del 2016 dalla Corte d’Appello di Brescia. “E’ apodittica e alquanto priva di significato –  ragionano gli ‘ermellini’ –  l’affermazione dei giudici bresciani per i quali la vera ragione della diversità dell’esito dei due processi stava nella diversità del rito col quale erano stati detenuti”. Insomma, qualcosa non torna e la condanna a Daccò è stata quantomeno esagerata, se tanto o poco lo stabiliranno i giudici della Corte d’Appello di Venezia ai quali spetta il nuovo giudizio.

Secondo la Procura di Milano, a partire dal 2005, dalle casse del San Raffaele, fondato da don Luigi Verze’, sarebbero stati distratti circa 47 milioni, cinque dei quali arrivati direttamente a  Daccò, accusato, oltre che di concorso in bancarotta, anche di associazione per  delinquere finalizzata alla distrazione di fondi, all’appropriazione indebita e alla frode fiscale. Col rito  ordinario erano stati  assolti Giovanni Luca Zammarchi, Fernando Lora e Carlo Freschi in relazione a presunte sovrafatturazioni a un paio di  società.

“Siamo fiduciosi che venga scritta una pagina positiva per la giustizia italiana in una vicenda che ha tante ombre – commenta l’avvocato Vitiello – Daccò ora è domiciliari dal gennaio del 2017 dopo essere entrato in carcere, da incensurato, il 14 febbraio del 2011″. (manuela d’alessandro)

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NoTav, Cassazione ai pm: rassegnatevi, non fu terrorismo

“Il ricorso tende ancora una volta a sollecitare una diversa valutazione dei fatti che non compete alla corte di legittimità”. Questo scrive la Cassazione nel motivare perché respinge il ricorso della procura e della procura generale di Torino contro la sentenza che aveva assolto i militanti NoTav dall’accusa di aver agito con finalità di terrorismo nell’azione contro il cantiere dell’alta velocità di Chiomonte quando fu danneggiato un compressore.

Quel riferimento ad “ancora una volta” ricorda che si tratta della terza volta, tra misure cautelari e processo, in cui i rappresentanti dell’accusa puntano a dimostrare l’agire per finalità di terrorismo. In pratica è un invito esplicito a rassegnarsi. Innanzitutto perché il ricorso contro la decisione della corte d’assise d’appello non è in diritto ma nel merito. E anche perché non c’era volontà di ledere la vita degli operai del cantiere o del personale di polizia ma solo di provocare danni ai mezzi. La Cassazione inoltre nega che vi fosse l’obiettivo di far recedere i pubblici poteri dal realizzare l’opera dell’alta velocità in Val Susa.

La motivazione che ricalca quella del Riesame e della corte d’assise d’appello assume particolare importanza anche alla luce di recentissime diatribe giuridico-politiche legate alla giunta regionale del Veneto che aveva approvato una mozione con cui si chiede al governo e al parlamenti di “innovare” la legislazione introducendo il reato di “terrorismo da piazza”.

L’ accusa legata alla finalità di terrorismo, rivelatasi poi insussistente, era costata ai militanti NoTav una lunghissima carcerazione preventiva in regime di alta sorveglianza proseguita anche quando l’imputazione era già caduta. Insomma i pm torinesi Antonio Rinaudo di esplicite simpatie destrorse, Andrea Padalino ex militante dei giovani comunisti, l’ex procuratore generale Marcello Maddalena ora in pensione, impegnati a inseguire fantasmi, avrebbero fatto bene a dedicarsi ad altro. Magari agli appalti dell’alta velocità in Val Susa che sembrano gli unici onesti e trasparenti in un paese dove la corruzione dilaga. (frank cimini)

Tre Procure sui fondi Expo per la giustizia, avremo una verità?

Tre Procure ognuna per conto proprio  - caso alquanto eccezionale – stanno indagando sul gigantesco pasticcio dei fondi Expo assegnati alla giustizia milanese tra il 2010 e il 2015.  A quella di Milano, che aveva aperto un’indagine a carico di ignoti per turbativa d’asta, si aggiungono Brescia e Venezia, come si evince dalla lettura dell’atto di conclusione dell’istruttoria avviata a febbraio dall’Anac, più di due anni dopo le inchieste giornalistiche di Giustiziami, del ‘Giornale’ e del ‘Fatto’.

Nelle settimane scorse, i magistrati di queste due città hanno chiesto all’Autorità nazionale anticorruzione la trasmissione delle carte  sulle presunte anomalie nelle 25 procedure analizzate del valore di circa 9 milioni di euro. Brescia è competente su eventuali reati commessi dai magistrati milanesi, a cominciare dall’allora presidente del Tribunale Livia Pomodoro, mentre le toghe veneziane potrebbero essere interessate a chiarire la posizione di Claudio Castelli, che presiede la Corte d’Appello bresciana, e fu uno dei protagonisti al tavolo dove si discusse come utilizzare il ‘tesoro’ di Expo.

I nomi dei magistrati non sono indicati nel rapporto finale di Anac, molto più interessato  alle responsabilità del Comune, accusato come stazione appaltante di  avere distribuito il denaro attraverso affidamenti diretti quando la legge avrebbe imposto delle gare pubbliche.  Tra i “numerosi profili di criticità e di non rispondenza alle previsioni normative” spiccano quelli relativi all’assegnazione di una montagna di denaro per il processo civile telematico, la cui ‘costruzione’ è stata affidata  in regime pressoché monopolistico “senza indagini di mercato” a due società, Net Service ed Elsag Datamat.  Sospetti anche sulla fornitura della segnaletica per orientarsi nel Palazzo (come non ricordare i monitor disseminati nel Palazzo che senza requie né senso rimandano la beffarda scritta ‘Udinza Facile’)  e  sul curioso acquisto da Telecom, senza un apparente perché,  di 33 armadi e 1500 prese. Ingiustificato appare anche l’affidamento diretto alla Camera di Commercio per il nuovo sito del Tribunale in nome della Convenzione stipulata da Pomodoro che, finalmente,  e forse anche alla luce di un’inchiesta spinosa,  il suo successore Roberto Bichi ha revocato qualche giorno fa.

Ma che faranno ora le tre Procure  cui Anac ha girato il suo dossier finale?

Milano sembra scettica. Al procuratore Francesco Greco non sarebbe piaciuto il ritardo con cui Cantone ha cominciato a fare accertamenti e che non consentirebbe di indagare con intercettazioni e altri strumenti più tempestivi. Brescia per tradizione non ama infierire sui vicini colleghi, forse Venezia, lontana dal cuore e geograficamente da Milano, potrebbe essere più incisiva nella ricerca di una verità che appare necessaria. (manuela d’alessandro)

la delibera finale di Anac