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Pm Brescia: Bruti violò obblighi ma non c’è prova che fosse consapevole

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Domani il consiglio giudiziario valuterà se confermare Edmondo Bruti Liberati nell’incarico di capo della Procura. Alla vigilia della decisione, Alfredo Robledo porta all’attenzione del consiglio un documento che, a suo avviso, impedirebbe il rinnovo della carica di quello che è stato il suo ‘nemico pubblico’ in una lunga contesa finita davanti al Csm.  La ‘carta’ gettata sul banco da Robledo arriva da Brescia ed è la richiesta della Procura locale di archiviare un’indagine in cui Bruti è indagato per omissione in atti d’ufficio. 

La vicenda, già nota, riguarda la ‘trappola’ ai danni di Robledo che sarebbe stata tesa da un maresciallo della Finanza e dalla signora Maria Eufrasia Vicario. I due  contribuirono a diffondere la voce che l’allora pm, giocando a golf a Monticello, avrebbe rivelato una serie di segreti d’ufficio, tra cui anche alcuni relativi a indagini su Silvio Berlusconi. Di qui la denuncia di Robledo a Bruti Liberati che, nella sua qualità di capo, avrebbe dovuto mandare gli atti a Brescia, competente sulle ‘toghe’ milanesi.

Invece – questa è la lettura della Procura di Brescia – sbagliò a inserire in un protocollo riservato il fascicolo nato dalle dichiarazioni della signora Vicario, già ritenuta inattendibile in altre occasioni. Quel fascicolo doveva finire nelle notizie di reato per poi essere trasmesso a Brescia. Ma nel comportamento di Bruti non ci sarebbe prova del reato a causa della mancanza dell’elemento soggettivo e per questa ragione la procura di Brescia,  a firma del capo Tommaso Buonanno e del sostituto Paolo Savio, chiede l’archiviazione.

Da parte di Bruti ci fu una valutazione discrezionale mentre c’era un obbligo formale non adempiuto che era quello di mettere il caso tra le notizie di reato. “Una accertata e reiterata omissione”, la definisce il pm di Brescia, secono il quale tuttavia non emergono “elementi di fatto per ritenere che l’indagato abbia consapevolmente posto in essere un’attività ostruzionistica nei confronti del collega che ‘chiedeva giustizia’”.

“Il capo della procura sottovalutò la segnalazione denuncia di Robledo”, avvenuta dopo che l’aggiunto era stato messo al corrente delle parole della signora Vicario dal maresciallo della Guardia di Finanza Davide D’Agostino, in servizio presso la Procura. Bruti si era difeso spiegando di aver appreso dall’allora procuratore generale Manlio Minale che le carte della vicenda erano già state mandate all’attenzione della procura di Brescia. Secondo quest’ultima, fu proprio la convinzione che quanto richiesto dal denunciante fosse già stato trasmesso all’ufficio competente a “depotenziare l’accertata ed oggettiva omissione imputabile al procuratore della Repubblica”. Per cui mancherebbero “i profili soggettivi di una condotta consapevole e volontaria in termini di omissione indebita preveduta e come tale voluta”. Insomma, quella di Bruti sarebbe stata solo una “sottovalutazione colposa”.

Stiamo registrando l’ennesima puntata della querelle tra il capo della procura e il suo aggiunto nel frattempo trasferito in via cautelare al tribunale di Torino come giudice. A giugno le sezioni civili della Cassazione esamineranno il ricorso di Robledo contro il trasferimento, ma il dato significativo della vicenda è che fin qui il Csm ha agito solo in via cautelare. Il merito appare rinviato alle calende greche e la circostanza non è di poco conto considerando che il 31 dicembre Bruti andrà in pensione e che quindi già a ottobre potrebbe lasciare il quarto piano per ragioni di ferie da smaltire.

Il Csm ha congelato sia il procedimento disciplinare a carico di Bruti sia quello a carico di Robledo. Può apparire tutto paradossale se si pensa che il Csm dà quantomeno l’impressione di insabbiare una vicenda nata da un altro insabbiamento, quello relativo all’inchiesta sulla Sea, “dimenticata” da Bruti per sei mesi in un cassetto e affidata a Robledo quando ormai sarebbe stato impossibile svolgere indagini incisive perché le persone coinvolte sapevano dell’esistenza dell’inchiesta che infatti poi è finita con un nulla di fatto. A livello penale non c’è materia per affermare responsabilità e a livello disciplinare chi dovrebbe procedere contempla lo scorrere del tempo. Nel documento presentato al consiglio giudiziario, Robledo sottolinea anche la “stasi” nell’attività del dipartimento anti – corruzione nel periodo in cui è stato guidato con interim da Bruti che ha trattenuto per sè ancora adesso la delega delle indagini su Expo, infatti ferme. “Tutti i miei collaboratori – osserva – sono stati allontanati dal secondo dipartimento, contro ogni logica di efficienza funzionale all’Ufficio”. (frank cimini e manuela d’alessandro)

p.s. La decisione del consiglio giudiziario è stata rinviata al 30 giugno per attendere che il Csm si pronunci sul provvedimento col quale, nell’ottobre scorso, Bruti aveva trasferito l’allora capo del pool anti – corruzione Alfredo Robledo all’ufficio esecuzione. Il consiglio giudiziario milanese aveva all’epoca espresso dei rilievi in merito alla decisione di Bruti.