giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La spropositata morbosità dei media sulla ‘coppia dell’acido’

La sala stampa è piena di telecamere per la sentenza, la seconda, sulla coppia dell’acido. La vicenda continua a suscitare un’attenzione assolutamente spropositata da parte dei mezzi di informazione. Va bene che d’altro c’è proprio poco per tante ragioni: su Expo la procura non ha approfondito (eufemismo) scegliendo la moratoria delle indagini per salvare la patria e un po’ anche i vertici del Tribunale in relazione ai fondi dell’esposizione per la giustizia; da quando lui, l’imputato per antonomasia, non sta più a palazzo Chigi la cronaca giudiziaria ha perso moltissimo perchè un “cliente” così non lo avrà mai in futuro.

Ma a tutto c’è o meglio dovrebbe esserci un limite. Che, purtroppo, non c’è. Il lettore e il telespettatore sarà anche morboso, ma i media a questà realtà danno un contributo terrificante. E anche le toghe fanno la loro parte. Un pm che va a far visita al neonato portando un regalo per poi esternare davanti alle telecamere: “Ho visto il bambino, è bellissimo”. Un Tribunale dei minori che da agosto è riuscito a non decidere la sorte del piccolo che intanto viene allattato sia pure indirettamente dalla mamma e riceve le visite di entrambi i genitori, quelli che “per purificarsi” prima dell’evento hanno distribuito acido e tentativi di evirazioni agli ex di lei. Ovviamente i giornali hanno pure pubblicato il nome del bimbo che soprattutto nel caso, a questo punto molto probabile, dell’affidamento ai nonni resterà “marchiato” a vita.

Del resto siamo nel paese in cui una procura ha inserito tra gli atti del processo  le pagelle dei figli minorenni dell’imputato e vuole in aula a testimoniare gli amanti della moglie. E la cosiddetta pubblica opinione purtroppo quei testi ha molta voglia di sentire. Una curiosità terrificante attivata da chi dovrebbe fare giustizia (condizionale d’obbligo) e da chi dovrebbe informare.

Vogliamo chiudere con l’augurio che il giorno in cui il figlio della coppia che ha colpito a suon di spruzzi di acido sarà in grado di intendere e di volere possa vivere in un mondo leggermente migliore di questo. Ma è un augurio che nasce dalla disperazione che ci attanaglia nel constatare la realtà dei tristi giorni che siamo costretti a vivere (frank cimini)

Sui siti le foto di Boettcher in gabbia e dello sfigurato. Fermateci, per favore

 

Guardate i siti dei principali giornali italiani. In altro, tra le principali notizie, ci sono la foto di un ragazzo sfigurato e quella di un ragazzo in gabbia, messe una di fianco all’altra. Stefano Savi con un cappellino che non fa ombra sull’oscenità del martirio e Alexander Boettcher in tuta dietro le sbarre, vittima e imputato del processo sulle aggressioni con l’acido.

Esiste un limite al diritto di cronaca? Sì, esiste. Non sono solo le carte deontologiche la cui conoscenza dovrebbe essere necessaria a un giornalista per fare il suo mestiere ma anche le regole della fratellanza o almeno del rispetto tra umani a stabilirlo. Inoltre, il pm Marcello Musso aveva chiesto di non riprendere o fotografare Savi per rispetto della sua “identità offesa”.

A meno che i due non abbiano dato il consenso a essere ripresi, fotografarli e metterli online è come picchiare un disabile, come aggredire in quattro una sola persona inerme.

Qualcuno ci fermi, per favore. (manuela d’alessandro)

 

Assistenti sociali: spegnere riflettori sul piccolo A. Finalmente…

“Per il bene del piccolo A. si spengano immediatamente tutte le luci mediatiche che hanno illuminato questi suoi primi giorni di vita dalla sua nascita data morbosamente in pasto all’opinione pubblica…Nessuno ha riflettuto sul gravissimo danno che è stato fatto a questo bambino”. E’ l’invito-appello lanciato dal consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali. Finalmente da un organo istitituzionale arrivano parole sensate in questa terribile vicenda dove in troppo hanno sguazzato strumentalizzandola al fine di farsi pubblicità e di lucrarci anche concretamente.

Il messaggio parte dal vertice della categoria degli assistenti sociali e non sembra proprio rivolto solo ai media. Si tratta di parole dirette a tutti, giornalisti e magistrati compresi. Ovvio, in pole position c’è lui, don prezzemolino, al secolo Antonio Mazzi, puntuale a prendere parte a qualsiasi fatto di cronaca con grande rilevanza mediatica.

Il piccolo ha diritto a una vita normale. Non ha colpe. Arriva in un mondo di pazzi per responsabilità di genitori  i quali “per purificarsi” prima della sua nascita hanno aggredito con acido muriatico Pietro Barbini, ex fidanzato di lei, e altri. Per questo dopo la condanna a 14 anni subiranno un nuovo processo.

“Il rischio concreto è che il piccolo sia marchiato per sempre della vicenda che ha visto protagonisti i suoi genitori” dice il consiglio dell’ordine degli assistenti sociali. Il rischio è che sia stravolta la sua vita. Insomma ci vuole un bel silenzio stampa che duri il più a lungo possibile. Era ora che qualcuno lo dicesse esplicitamente, lo gridasse. Perché sinceramente di tutta questa attenzione mediatica morbosa fino a mettere in prima pagina i minimi dettagli non se ne poteva più. E non se ne può più. I rappresentanti dei media che puntano a vendere copie in più o ad avere tanti clic sfruttando il dramma relativo alla conseguenza delle aggressioni con acido si occupino d’altro oppure cambino mestiere. L’invito ovvio riguarda tutti quelli che hanno scelto questa tragedia per apparire. Insomma, “appaiano” altrove. (frank cimini)

Martina e figlio ancora in ospedale perché non sanno dove mandarli

Martina Levato e il suo bambino stanno bene. Sono così in salute che avrebbero potuto lasciare sin da oggi la clinica Mangiagalli. Non vengono dimessi, fanno sapere dall’ospedale con più fiocchi azzurri e rosa di Milano, solo perché non si sa dove mandarli.

Il provvedimento del Tribunale dei Minori col quale è stato revocato il ‘divieto di abbraccio’ tra madre e figlio col trascorrere delle ore appare sempre più una decisione monca. La Mangiagalli è diventata una sorta di ‘stato cuscinetto’ di cui i due sono cittadini onorari mentre il mondo attorno si azzanna su cosa sia il loro bene e male e i magistrati cercano un’alchimia per fare meno danni possibili.

Se è normale che opinione pubblica, psichiatri ed editorialisti  si azzuffino sui dilemmi etici e giuridici sollevati dal caso, lo è molto meno che nelle ultime settimane  la giustizia non sia stata capace di garantire  una risposta veloce e univoca alla domanda sul futuro di Martina e del neonato.

Pochi giorni prima del parto, il Tribunale del Riesame indicava nell’Icam, la struttura che accoglie madri detenuti con figli piccoli, la soluzione in attesa di una decisione definitiva dei giudici minorili. Poi l’ordine del pm dei minori Annamaria Fiorillo a impedire qualsiasi contatto tra Martina e il bimbo considerata l’assoluta “inadeguatezza” della ragazza nelle vesti di madre. Infine, ieri i giudici hanno demolito la scelta del pm concedendo la possibilità di un incontro al giorno, ma senza allattamento diretto. E’ apparso subito chiaro che quel provvedimento avrebbe avuto un senso solo per poche ore, il tempo delle dimissioni dalla clinica.

Un tempo che ora viene dilatato, fino a quando non si sa. Restano le vecchie mura della Mangiagalli, lembo di terra neutrale, a proteggere una piccola vita abbandonata su una ruota medioevale dalle tremende indecisioni dei grandi. (manuela d’alessandro)

Acido, il biglietto del pm Musso al piccolo A. su carta intestata della Procura

“Ad A. con infinita tenerezza per un lungo cammino”, scrive il pm Marcello Musso sul biglietto consegnato alle puericultrici della clinica Mangiagalli che assistono il piccolo dato alla luce a ferragosto da Martina Levato, la studentessa condannata a 14 anni di carcere per avere sfregiato con l’acido un ex compagno di studi.

Assieme al biglietto, un paio di babbucce bianche: il primo dono ricevuto da questo bambino che per il resto ha ricevuto solo schiaffi nel suo soffio di vita. Un “atto di solidarietà umana”, quello del magistrato, come l’ha definito lui stesso davanti alle telecamere lasciando l’ospedale, o un gesto inopportuno perché fuori dai compiti istituzionali consoni a un pubblico ministero? O, addirittura, una provocazione, come suggerito da alcuni sui social, da parte di chi ha condotto le indagini togliendo di fatto una madre (almeno per ora) al neonato?

Marcello Musso ha voluto scrivere le parole che hanno accompagnato il dono su carta della Procura di Milano, premurandosi di sbarrare a penna  l’intestazione. Lo ha fatto non  perché non avesse voglia di comprare un biglietto in cartoleria, ma  per evidenziare che il regalo al bimbo viene dall’uomo che c’è dietro al magistrato, costretto dalla legge alla durezza verso la mamma di A. La linea tracciata con biro nera sulle parole ‘Procura di Milano’  dovrebbe  segnare, nelle sue intenzioni, un confine tra il Musso pm e Musso uomo. “Sono il magistrato che ha fatto condannare Martina, ma anche una persona con una sensibilità scossa da questa vicenda e l’opinione pubblica lo deve sapere”, ha ripetuto più volte Musso in questi giorni a chi gli stava vicino, mentre era tormentato dai dubbi sull’opportunità  della visita al piccolo.

Stamattina, quando ha preso dal suo ufficio la busta verde con le babbucce e il messaggio per recarsi alla Mangiagalli, Musso era un uomo che tremava nella sua volontà. Sicuro di compiere un gesto per lui necessario ma consapevole di esporsi alle critiche di chi non lo avrebbe apprezzato. Per il suo coraggio lo rispettiamo, pur continuando a ritenere che il posto dove un magistrato deve esprimere umanità sono gli atti giudiziari, quelli su carta intestata ma non sbarrata.  (manuela d’alessandro)