giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Bergamo, siamo al registro degli indagati in tv

“Non escludo che possano essere indagati esponenti del ministero della Salute”. Sono le parole clamorose che il pm di Bergamo Maria Cristina Rota ha consegnato alle telecamere di Report aggiungendo che i dirigenti sentiti come testimoni erano stati “molto reticenti”.
Insomma siamo ai preannunci in tv sul registro degli indagati, una sorta di violazione del segreto istruttorio di fatto, anche se il magistrato non ha fatto nomi. Ma gli “indagandi” sono stati così avvertiti anche se le informazioni di garanzia per loro non saranno una sorpresa. Le aspettavano, le stanno aspettando.
Già all’inizio dell’inchiesta la stessa pm rispondendo alla domanda su chi dovesse decidere sulla zona rossa aveva risposto: “Il governo”. Poi dopo gli interrogatori a Roma aveva spiegato che la risposta era riferita “allo stato delle nostre conoscenze”. Ma questo non lo aveva detto all’epoca.
La mania di protagonismo fa male alle indagini. Non si capisce poi perché una procura che lamenta di continuo la carenza di organici non si decida a trasmettere gli atti a Roma competente per le indagini sul ministero. Non ci vuole un giurista per sapere che non può farlo la procura di Bergamo in un’indagine dove comunque non sarà facile provare il nesso di causalità tra le mancanze del piano pandemico e i morti. (frank cimini)

Pm di serie A Roma e Perugia, Bergamo serie B

Ci sono uffici giudiziari di serie A dove i procuratori appena nominati si insediano e altri di serie B dove passano mesi e mesi prima del cambio. Michele Prestipino a Roma e Raffaele Cantone a Perugia persino Claudio Gittardi a Monza appena designati dal CSM hanno preso posto immediatamente. Diverso destino per Antonio Chiappani che il CSM in data 15 maggio è stato scelto dall’organo di autogoverno ma dovrà aspettare la metà di agosto per una serie di adempimenti formali che in altri casi erano stati saltati.

Questo accade nonostante la procura di Bergamo sia senza un capo effettivo da aprile dell’anno scorso e quell’ufficio sia chiamato a prendere decisioni importanti a causa dell’emergenza Covid e si trovi sotto pressione da parte dei comitati dei parenti delle vittime che nei giorni scorsi hanno chiesto alla Corte europea di vigilare sulle indagini. Una richiesta che tra l’altro suscita anche non poche perplessità dal punto di vista formale perché mette in discussione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura.

Va ricordato che per la nomina di Chiappani, 67 anni, all’ultimo incarico prima della pensione aveva già impiegato un sacco di tempo.
L’anticipato possesso non sarebbe scattato per Chiappani a causa della delicata situazione della procura di Lecco dove a lavorare con lui dopo la scomparsa del pm Laura Siani ci sono solo tre colleghi e dove ci sono da trattare 10 mila fascicoli l’anno.
Non si capisce perché non sia stato applicato un magistrato a Lecco in modo da permettere a Chiappani di andare subito a Bergamo. Intendiamoci non ci sono dietrologie da fare ma appare anche difficile spiegare tutto con la burocrazia. Le indiscrezioni riferiscono di una certa sciatteria al riguardo nei rapporti tra il Csm è il ministero della giustizia.

E‘ anche vero che al CSM di questi tempi hanno brutte gatte da pelare con il caso etichettato come “Palamara” ma che in realtà riguarda l’intera categoria e tutta la gestione degli incarichi spartiti con logiche poco trasparenti (eufemismo). E pure al ministero della Giustizi non sono giorni tranquilli.

Sta di fatto però che evidentemente ci sono magistrati e uffici che pesano più di altri. Cantone è un potente anche dal punto di vista mediatico e a Perugia si indaga sui giudici romani Palamara compreso. Il discorso vale ancora di più per Prestipino a Roma considerando che era stato in origine    scelto Marcello Viola e che poi la procedura era sta riaperta a causa delo tsunami che aveva investito il consiglio superiore.

A Bergamo però ci sono scelte importanti da fare. Si tratta di decidere se mandare per competenza a Roma la parte di indagine relativa alla mancata creazione della cosiddetta zona rossa ai tempi della massima diffusione del corona virus. I parenti delle vittime del Covid hanno manifestato più volte davanti alla sede della procura. Chiedono giustamente dal loro punto di vista la verità in merito alle tragedie che hanno vissuto. Ovviamente non è detto che lo strumento penale sia quello più adeguato ma c’è poco da scherzare.

Sempre a Bergamo c’è un’altra deLicata inchiesta che vede coinvolte realtà legate alla Curia impegnate nell’assistenza ai migranti le quali avrebbero ricevuto finanziamenti non dovuti. I 35 euro al giorno per ogni extracomunitario sarebbero stati riscossi anche quando i diretti interessati erano ormai altrove. La lista degli indagati è lunga e pare da scremare. La presenza del capo effettivo dei pm sarebbe necessaria. L’ufficio dalla scomparsa prematura di Walter Mapelli è retto come facente funzione da Maria Cristina Rota che era andata a Roma a sentire come testimone il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e aveva raccolto la deposizione sempre come teste del governatore Attilio Fontana. (frank cimini)

 

Elena “la poetessa” morta bruciata in ospedale

“Le nostre strada sono sconnesse/ i nostri figli ridotti in schiavitù / I nostri cuori senza amore/ Ho paura di restare”. Nei versi della poesia intitolata ‘Terra de bandidos’ con cui vinse un premio,  Elena Casetto, morta carbonizzata a 19 anni in un letto del reparto di psichiatria dell’ospedale ‘Papa Giovanni’ di Bergamo, esprimeva la paura di restare in Brasile, il paese di origine della madre.  La sua fine invece è arrivata il 13 agosto in Italia, dove aveva raggiunto la madre India, 47 anni, in circostanze ancora tutta da chiarire.  E’ in corso un’indagine della Procura di Bergamo per omicidio colposo a carico di ignoti e, nei giorni scorsi, sia il ‘Garante nazionale delle persone detenute o private della libertà personale’, che si  è costituito parte offesa nel procedimento, sia la Regione Lombardia, attraverso una commissione di verifica, hanno chiesto di accertare la verità. “Elena  sognava di studiare filosofia ad Amsterdam o a Londra e dedicarsi alla poesia e alla musica – racconta all’AGI Gege Silva, amico brasiliano della ragazza e della mamma , che non lascia un attimo in questi giorni di dolore  - Ha vissuto per sette anni a Salvador de Bahia da sola, studiava ed era autonoma. Suo padre, italo – svizzero, è morto nel 2012.  Non ha mai tentato di suicidarsi quando era lì, come è stato scritto dai giornali, anche se offriva di ansia in modo molto forte”. Nei mesi scorsi, la madre l’aveva convinta a raggiungerla in Italia e avevano affittato un appartamento a Osio Sopra, vicino a Bergamo. L’8 agosto Elena ha tentato il suicidio. “Voleva buttarsi giù da un ponte ma è stata fermata dai carabinieri. Ricoverata prima a Brescia, è stata poi portata nell’ospedale di Bergamo. Quando la mamma è andata a trovarla, l’ha trovato in sedia a rotelle e imbottita di farmaci e ha chiesto ai medici di portarla via da lì. Per spiegare com’era Elena, un giorno ha domandato alla madre di portarle da casa i trucchi perché voleva  ‘sistemare’ le altre pazienti. L’11 agosto, Elena aveva implorato la madre di essere portata a casa dicendole di non essere pazza e che si sentiva trattata male’. Questo messaggio si trova nel cellulare di Elena che è stato sequestrato”. La mattina del 13 agosto, Elena prova di nuovo a  togliersi la vita, stavolta stringendosi un lenzuolo al collo. Viene salvata da due infermieri che decidono di sedarla e contenerla. In queste situazioni, il protocollo prevede che ogni 15 minuti il paziente venga sorvegliato visivamente e ogni 30 minuti per controllare i parametri vitali. Da fonti ospedaliere si è appreso che l’allarme  anti – incendio è scattato intorno alle 10. Elena è stata trovata dai Vigili del Fuoco bruciata nel suo letto. “Aveva un braccio e una gamba ancora legati, mi è stato detto – racconta Gege – tanto che io non me la sono sentita di fare il riconoscimento del corpo che mi era stato chiesto. L’incombenza è toccata all’avvocato”.  Dall’autopsia è emerso che la ragazza aveva sul corpo un accendino bruciato, col quale potrebbe avere appiccato le fiamme, anche se è da capire come sia stato possibile che l’abbia fatto da legata. Va tenuto anche conto che i materiali erano ignifughi.  Nei reparti di psichiatria, è possibile fumare ma sotto sorveglianza. E’ possibile che la ragazza abbia nascosto l’accendino nelle parti intime. L’indagine condotta dal pm Letizia Ruggeri, che ha sequestrato per qualche giorno il reparto di psichiatria,  dovrà chiarire se ci siano stati deficit di sorveglianza da parte del personale sanitario o se qualcosa non abbia funzionato nella prevenzione e nella gestione dell’incendio a livello di organizzazione. “La morte di una giovane donna  ci addolora profondamente – hanno fatto sapere dall’ospedale dopo la morte di Elena – abbiamo espresso alla famiglia tutta la nostra vicinanza e continueremo a stare vicini a chi ha vissuto questo dramma. Attendiamo l’esito degli accertamenti in corso”. Molte persone si sono rivolte ai familiari per rivolgere solidarietà e pagare le spese del funerale di Elena. La sua morte ha riattivato i dibattito sulle contenzione dei malati e sulla sorveglianza negli ospedali. I promotori della campagna nazionale ‘E tu slegalo subito’ hanno scritto una lettera alle autorità regionali e governative chiamate a vigilare sulla salute in cui riconoscono “le difficoltà nelle quali versano gli operatori dei servizi, che lavorano spesso in condizioni di carenza di organico” ma sottolineano che “se la giovane Elena non fosse stata legata non avrebbe trovato quell’orribile morte”.  “Ci ricorderemo di te felice, piena di gioia e con la certezza che l’amore per il prossimo, la natura, la musica, la poesia, possa farci vivere nella speranza di un mondo migliore”,  ha scritto la madre sul suo profilo Facebook, restituendo il volto sorridente alla figlia che sul social era iscritta ma non aveva mai messo una sua fotografia.   (manuela d’alessandro)

 

 

“False malattie, water, bombole del gas” per il direttore del carcere di Bergamo

“Lunedì vado all’ospedale militare e mi dici i sintomi che devo accusare. Qual è la sindrome ansioso depressiva che devo accusare”. In effetti un po’ d’ansia l’allora direttore del carcere di Bergamo Antonino Porcino sembra manifestarla  al telefono col dirigente sanitario della struttura, Francesco Berté. Un’agitazione che, secondo la Procura, è legata alla volontà di non andare a lavorare tra il 29 gennaio e il maggio del 2018, giusto il tempo di raggiungere la pensione.  “Mi volevano mettere in ferie e allora mi metto in malattia… – suona preoccupato Porcino in un’altra conversazione intercettata -  mi hanno fatto girare i coglioni ma se mi chiedono che sintomi ho non li so”. “Eh – gli spiega un interlocutore a cui si rivolge in un’altra telefonata – che hai poco interesse durante la giornata…che sei stanco…ti si chiude ogni tanto lo stomaco…in un modo che non è grave …solo un po’ di sintomi depressivi”. Ma a Porcino pare non bastare: “Devo essere grave invece…devo essere grave”.   Con la complicità di quattro indagati, tre medici e un dirigente sanitario, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare a carico anche dell’ex direttore, “la dolosa e inveritiera attestazione di sindrome ansioso depressiva  comportava l’esonero del Porcino per la durata  di 205 giorni determinando il diritto al trattamento economico spettante per le residue ferie non dovute  col correlato illecito arricchimento”. Con “possibili riflessi economici positivi” sulla pensione.

Quasi surreali alcune delle contestazioni mosse a Porcino, dall’aver chiesto a un agente della polizia penitenziaria di andare in orario di servizio a prelevare due bombole del gas a casa sua, ricaricarle e poi riportarle nella sua abitazione, all’essersi “appropriato” assieme a un altro indagato di “almeno due water nuovi appena imballati”, portati via dal carcere. Addirittura gli viene addebitato di essersi impossessato di una risma di carta della struttura. Infine, avrebbe pure ricevuto “scatoloni di medie dimensioni contenenti presumibilmente macchinette di caffé” per avere favorita un’azienda ‘amica’nella procedura per l’installazione di distributori di cibi, bevande e tabacchi.  Gli arresti nascono da un’inchiesta coordinata dai pm Maria Cristina Rota ed Emanuele Marchisio che era nata per far luce sul trattamento carcerario “di favore” garantito a un imprenditore arrestato, nell’aprile 2017, dalla Guardia di Finanza di Vibo Valentia, nell’ambito di indagini sulla realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. L’uomo, detenuto a Bergamo, aveva usufruito di un lungo ricovero all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, grazie a certificazioni mediche che attestavano un grave shock emotivo che invece non aveva subito.

Le indagini hanno fatto emergere il coinvolgimento nella vicenda dell’attuale comandante della Polizia Penitenziaria di Bergamo, Antonio Ricciardelli,  e hanno accertato false attestazioni sanitarie per far ottenere benefici economici (pagamento licenza non fruita all’atto del pensionamento, trattamenti privilegiati di quiescenza, riposo medico per patologie inesistenti e concordate) all’ex direttore del carcere di via Gleno, da pochi giorni, in pensione. Dalle intercettazioni, spunta anche un presunto falso sulla durata di un colloquio  che il procuratore di Brescia, Tommaso Buonanno ebbe il 29 marzo  scorso con il figlio Gianmarco, detenuto per rapina. L’incontro era durato un’ora e mezza ma Ricciardelli e un agente annotarono sul registro la durata di un’ora. (manuela d’alessandro)

“Favori in cambio del condizionatore”, così cade il poliziotto di Mani Pulite che bussò a Craxi

 

Fu lui da capo della Digos a suonare il campanello di casa Craxi nel 1993 per consegnargli il divieto di espatrio su ordine di Antonio Di Pietro. ‘Benedetto’ da Mani Pulite ebbe la sua stella al merito, la carica di assessore alla sicurezza nella giunta Albertini, e poi una carriera scorrevole da buon funzionario dello Stato.

Ora è notte profonda per l’ex questore di Bergamo Fortunato ‘Dino’ Finolli. Il gip gli ha risparmiato l’arresto ma le carte dell’inchiesta sul crac della società Maxwork spa  che ha portato ieri all’arresto dell’imprenditore Giovanni Cottone lo massacrano.

Secondo la Procura della ‘città dei mille’, l’ex questore, che già a causa dei primi sviluppi di questa indagine aveva dovuto lasciare l’incarico,  avrebbe ricevuto da Cottone doni e promesse in cambio del suo impegno a risolvergli piccole grane burocratiche e a girargli qualche ‘soffiata’ sulle indagini che lo riguardavano.

Viaggi e due bracciali d’oro per un totale di oltre 5000 euro di valore,  per lui e per la moglie. L’i-phone 6 per la figlia. Soggiorni sul mare ligure di Arenzano. E perfino un “impianto di condizionamento composto da split e unità esterna per gli uffici della questura”. Aria fresca ’pagata’ dall’allora questore con l’impegno a far ottenere a Cottone “il porto d’armi per uso a difesa personale”, la cittadinanza alla sua fidanzata brasiliana e “l’aggiornamento di alcune segnalazioni arrivate in baca dati”. Peculato, corruzione e istigazione alla corruzione. Tutti reati per i quali una volta Finolli suonava alle porte altrui. (manuela d’alessandro)