giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Modelli 45 e 44 le spine per nuovo procuratore Milano

Due voti per il Pg di Firenze Marcello Viola, un voto a testa per il procuratore di Bologna Giuseppe Amato e per l’aggiunto di Milano Maurizio Romanelli. Dalla commissione incarichi direttivi arrivano queste tre indicazioni per la nomina del nuovo procuratore di Milano in sostituzione di Francesco Greco andato in pensione a metà novembre per ereditare un ufficio che non sarà facile riorganizzare devastato da una guerra interna e dove da tempo regnano insoddisfazione e confusione senza dimenticare i diversi pm indagati a Brescia.
In attesa di sapere chi uscirà vincitore dal Csm in questo momento è importante capire cosa potrà dovrà e vorrà fare il neo procuratore.
Va ricordato che in ogni procura che si rispetti e Milano non può fare certo eccezione una sorta di armadio degli scheletri è costituito dal l’insieme dei fascicoli rubricati a modello 45 senza ipotesi di reato ne’indagati e a modello 44 con reati ipotizzati a carico di ignoti. Si tratta spesso di rubricazikni per svolgere accertamenti senza comunicare nulla ai diretti interessati al fine di guadagnare tempo o di anticamere dell’insabbiamento.
Il nuovo procuratore andrà a spulciare quei fascicoli o no? Col tempo sapremo. Ma non è certo questo l’unico problema. A Milano l’organizzazione del lavoro la geografia dei dipartimenti e tutto il progetto di Greco ha lasciato strascichi di lamentele e scontentezze che erano sfociate nelle 57 firme su 64 pm di solidarietà a Paolo Storari che rischiava il trasferimento nell’ambito della battaglia interna relativa alla loggia Ungheria e al caso del processo Eni.
Che fine farà il dipartimento riguardante i reati transnazionali la cui creazione aveva suscitato disaccordi interni all’ufficio fin dall’inizio? Il destino del dipartimento dipende anche da quello del suo responsabile Fabio De Pasquale il procuratore aggiunto indagato a Brescia per omissione in atti d’ufficio che rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale insieme al sostituto Sergio Spadaro nel frattempo approdato alla procura europea.
Sarà il nuovo procuratore a decidere se mantenerlo in piedi o inglobarlo come era in precedenza nel dipartimento dei reati contro la pubblica amministrazione oggi diretto da Romanelli. Poi sarà da vedere chi resta e chi va. L’aggiunto Eugenio Fusco ha chiesto di andare a fare il procuratore a Verona. L’aggiunto Laura Pedio è indagata a Brescia sempre per gli strascichi Eni e Ungheria e rischia di essere trasferita.
Insomma si prospetta per il nuovo procuratore, probabilmente un “papa straniero” perché Romnnelli tra i tre resta quello con meno chance, un durissimo e delicato lavoro. Tutto ciò nel trentennale di Mani pulite e in una situazione profondamente diversa se non proprio opposta a quella di allora.
(frank cimini)

Greco e Davigo s’erano tanto amati e pure armati

Era assolutamente inimmaginabile fino a non molto tempo fa. Francesco Greco il procuratore di Milano andato in pensione a metà novembre rischia il processo per diffamazione ai danni di Piercamillo Davigo.
La storia è quella dei verbali dell’avvocato Piero Amara consegnati dal pm Paolo Storari a Davigo all’epoca consigliere del Csm. C’è un passaggio della dichiarazione a verbale di Greco davanti ai pm di Brescia che Davigo non ha proprio digerito.
“L’uscita dei verbali era nell’interesse di Davigo che non si è preoccupato assolutamente della sorte del procedimento è quando ha lasciato il Csm quei verbali li ha abbandonati. Fatto imbarazzante”.
Secondo Greco Davigo era interessato a far uscire soprattutto le parole con cui Amara chiamava in causa il magistrato Sebastiano Ardita un tempo suo alleato con il quale aveva successivamente rotto ogni rapporto.
La procura di Brescia ha chiuso le indagini su Greco e si appresta a chiedere il rinvio a giudizio. Recentemente Greco aveva visto archiviare l’accusa a suo carico per omissione in atti d’ufficio per la ritardata iscrizione al registro degli indagati di Amara che era stata sollecitata da Storari.
È la storia della famosa loggia Ungheria tirata fuori da Amara sulla quale formalmente indagano diverse procure ma di cui non si è saputo più niente.
Questo accade nel trentennale di Mani pulite. Si erano tanto amati ì componenti del mitico pool del quarto piano di corso di Porta Vittoria e pure armati per rivoltare l’Italia come un calzino, combattere come “fenomeno” quella corruzione che in realtà c’era anche prima del magico 1992. Quando la magistratura inquirente in testa giusto la procura di Milano aveva fatto finta di non vedere e non sentire perché evidentemente non era ancora ora di attaccare la politica.
A trent’anni esatti dalla grande farsa, utilizzata dalle toghe per aumentare il loro potere, in procura a Milano si sta vivendo un tutto contro tutti, ufficializzato dal 57 pm su 64 i quali più che votare un documento contro il trasferimento di Storari si schierarono contro l’allora procuratore Francesco Greco. La maggior parte di loro si sentiva penalizzata dal modo in cui il capo aveva organizzato l’ufficio.
Greco dovrà fronteggiare la diffamazione a carico di Davigo. Davigo e Storari il 3 febbraio si troveranno in udienza preliminare per quei verbali di Amara un tempo ritenuto il testimone della corona per vincere il processo contro i vertici dell’Eni che invece finiva in una sconfitta totale.
Nei prossimi giorni il Csm sarà a Milano per sentire Storari che rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale. Al pari di Fabio De Pasquale il procuratore aggiunto indagato a Brescia insieme al collega Sergio Spadaro nel frattempo approdato alla procura europea. Il prossimo 17 febbraio, anniversario dell’arresto di Mario Chiesa, ci sarà niente da celebrare anche se la procura di Milano continua a godere di ottima stampa. Il Corriere della Sera non smette di scrivere che è stata un baluardo dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. 30 anni fa i grandi editori italiani sotto schiaffo del pool per altre loro attività appoggiarono Mani pulite il che permise loro di “farla franca” per dirla con Davigo. Insomma la riconoscenza esiste ancora in questo mondo.
(frank cimini)

Non è un atto garantista affidare la cronaca giudiziaria a un procuratore

Davvero pensiamo che sia un atto garantista affidare la cronaca giudiziaria solo a un procuratore capo?

Così impone la legge sulla ‘presunzione d’innocenza’: parla lui e lui solo, il sovrano della procura, tale diventato dopo la riforma che un po’ di anni fa ne ha ampliato a dismisura i poteri con le conseguenze che tutti abbiamo visto, anche nelle vicende che hanno squassato Milano: Bruti Liberati contro Robledo, Greco contro Storari, per dire.

E come un vero sire parla in conferenza stampa quando decide lui di dare a un caso la patente di  ”rilevante” spiegando  con “atto motivato” le ragioni di pubblico interesse che lo spingono a farlo. Ed eventualmente, chi le boccia queste ragioni? Un ministro? Un sottosegretario? Un comitato di saggi? Distillare le conferenze stampa, visto che l’alternativa in questi casi rilevanti viene indicata in un comunicato senza possibilità di confronto coi media, significa anche ridurre al minimo uno dei pochi momenti alla luce del sole delle indagini dove chi le fa ci mette la faccia e se ne prende la responsabilità, importante anche in seguito per sapere chi si è preso l’eventuale cantonata.

Peraltro è noto che spesso il capo della Procura le indagini dei suoi sostituti le conosce per sommi capi perché non ha seguito l’inchiesta passo passo, com’è giusto che sia, quindi potrebbe non essere in grado di rispondere alle domande – resta il diritto di fare domande? – ai cronisti.

Accadrà, com’è naturale quando uno cerca di fare al meglio il proprio lavoro, che si continuerà a bussare alle porte dei sostituti , stando sulla soglia o mandando un messaggio che si autodistrugge in cinque secondi. Al pm tremebondo per eventuali sanzioni non si potrà però più attribuire più nulla, come ora spesso accade, restando in quel terreno ispido della citazione di fonti anonime, che poco contribuisce a un’idea di informazione attendibile e trasparente. In fondo, ciò  che un lettore desidera.

Il tutto in un meccanismo che da anni, nonostante le ripetute richieste dei giornalisti, impedisce l’accesso agli atti pubblici senza le disdicevoli elemosine ai bordi dei palazzi, delle questure e degli studi di avvocati.

Ci sono altri modi per garantire il garantismo? Eccome. Qualcuno lo centra pure la legge Cartabia eliminando le indagini nel cui nome viene già pronunciata una condanna (Mafia Capitale, Mani Pulite, Toghe Sporche). Dice anche che i magistrati non devono usare espressioni di condanna anticipata di  un indagato altrimenti devono rettificarle entro un giorno.

Viene da sorridere: davvero è necessaria una legge per sancire un principio che si impara al primo anno di giurisprudenza?

Veniamo a noi giornalisti: spesso colpevoli di fare i processi suoi giornali con tanto di sentenza di condanna. Vero, verissimo. E questo nonostante le miriadi di codici deontologici che imporrebbero la presunzione d’innocenza, il non mostrare un imputato in manette, non fare i nomi dei bambini e delle vittime. Che orrore, sì.

Pensiamo davvero che la soluzione possa venire calata dall’alto da un ministro (meritoriamente) garantista con una carta ottriata? Non risultano in Parlamento consultazioni coi giornalisti, solo coi magistrati. Eppure l’informazione la fanno i cronisti.

Infine, sì, è vero, la cultura del garantismo in Italia sconta anni tremendi, quelli in cui essere rispettosi del principio d’innocenza voleva dire essere berlusconiani e non esserlo no. Una cultura a intermittenza, in base ai fatti propri. Un po’ è così ancora anche se col Cavaliere sono diventati garantisti quasi tutti, tranne Travaglio, sempre perché conviene al proprio orto. E’ la politica per prima ad averla diffusa, questa cultura, perfino prima dei gazzettieri delle procure.  E adesso ci da’ la pozione da ingoiare tutta d’un botto per risolvere il problema. Qualcosa non torna. Eppure lo sapete, da queste parti del garantismo ne abbiamo fatto un’ossessione. (manuela d’alessandro)

 

Loggia Ungheria, procure in mezzo al guado

L’ormai famosa loggia Ungheria è esistita, esiste o si tratta di una bufala messa a verbale dall’avvocato Piero Amara? Non lo sappiano e c’è il rischio di non saperlo mai. Le procure di Milano, Perugia e Vattelapesca dovrebbero accertarlo. Il condizionale è d’obbligo perché a quanto pare nulla è stato fatto sia prima sia dopo l’emergere del caso.
Diciamo che le procure potrebbero (eufemismo) essere imbarazzate. Nel caso dovessero indagare finirebbero inevitabilmente per lanciare il messaggio di sospettare di altre toghe. Dal momento che Piero Amara ha affermato che ne facevano parte anche magistrati e giudici insieme a politici imprenditori avvocati e uomini di affari. Anche per intrallazzare sulle nomine del Csm.
Nel caso invece non dovessero indagare finirebbero per buttare a mare con un gioco di parole Amara che per molti versi ci si è buttato da solo. Ma, dettaglio importantissimo, l’avvocato siciliano viene ancora valorizzato al massino come testimone della corona dalla procura di Milano nel ricorso in appello contro la sentenza che ha assolto i vertici dell’Eni dall’accusa di concorso in corruzione in atti giudiziari nel tentativo in verità non facile di ribaltare il verdetto al processo di secondo grado. Delle due l’una. Non esiste una terza via, a meno che non dovesse trattarsi di non fare niente.
A non fare niente intanto anche sul punto è il Csm che pare non toccato dalla vicenda. A cominciare dal suo presidente Sergio Mattarella che è anche il capo dello Stato e di questi tempi parla di tutto persino dell’istituto di previdenza dei giornalisti ma non della bufera che ha investito la categoria nel suo complesso.
A tacere poi è la politica tutta. Storicamente quando la politica è in difficoltà, basta ricordare il mitico 1992, viene azzannata dalla magistratura che in questo modo aumenta il proprio potere.
Quando la magistratura è in difficoltà la politica sembra avere paura. È riuscita a tacere in sostanza anche sul caso del senatore Caridi assolto dopo 5 anni compresi 18 mesi di carcere dove lo mandò il Parlamento accogliendo la richiesta di arresto dei giudici.
Tornando a botta. Cosa farà per esempio sulla famosa loggia Ungheria la procura di Milano in pratica delegittimata dal Csm che ha deciso di non trasferire il pm Pm Paolo Storari il quale aveva rotto con il capo Francesco Greco proprio su quelle indagini mancate? Cosa può coordinare Greco a pochi mesi dalla pensione e indagato a Brescia giusto per lo scontro con Storari?
E nel caso in cui Greco anticipasse la pensione chi lo dovesse sostituire come facente funzione in attesa della nomina del successore riprenderebbe subito in mano la patata bollente? E a Perugia sono tutti presi solo dal caso Palamara senza avere tempo per altro? Non resta che aspettare magari nella consapevolezza di non doversi aspettare niente se non che il tempo scorra.
(frank cimini)

Greco indagato, ragione in più per pensione subito

Il procuratore di Milano Francesco Greco risulta indagato a Brescia per omissione in atti d’ufficio. Non avrebbe iscritto tempestivamente l’avvocato Piero Amara nell’apposito registro. Si tratterebbe di un atto dovuto dopo le dichiarazioni a verbale del pm milanese Paolo Storari.
A questo punto ci sarebbe una ragione ulteriore non certo la più importante per lasciare l’incarico. Non si capisce perché il procuratore Greco resti al suo posto ad aspettare la data della pensione, il 14 novembre, e non anticipi l’uscita. Il documento di solidarietà al sostituto procuratore Paolo Storari è un chiarissimo segnale di sfiducia nei confronti di Greco a firma di 56 pubblici ministeri ai quali vanno aggiunti magistrati e giudici esterni all’ufficio inquirente.
Si tratta di una presa di posizione almeno per quanto riguarda i pm milanesi che va molto al di là del caso relativo al processo Eni Nigeria, Amara, Armanna, nessi e connessi. Si può benissimo dire che il caso Storari è la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Da molto tempo in procura c’erano insoddisfazioni, critiche, risentimenti per il modo in cui Greco aveva organizzato l’ufficio, distribuito gli incarichi, favorendo alcuni settori a danno di altri. Quando subito dopo la sentenza di assoluzione dei vertici dell’Eni il procuratore aveva cercato di nascondere la polvere sotto il tappeto addirittura negando la diatriba con il tribunale avevano fatto sensazione le parole digitate da Storari nel dibattito su what’sapp: “Francesco le cose non stanno così, lo sai benissimo e bisognerà parlarne”.
S’era capito che non sarebbe finita lì è così è stato. Greco dovesse restare fino al termine del mandato andrebbe incontro a un calvario. La gestione dell’ufficio sarebbe molto difficile. Edmondo Bruti Liberati il suo predecessore anticipò l’andata in pensione perché comprese che lo scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo dal quale pure era uscito vincitore aveva lasciato degli strascichi evidenti. La procura di Brescia assolvendo Bruti dall’abuso d’ufficio affermava che c’era materia per un procedimento disciplinare avendo lui agito in base a criteri politici. Bruti annunciò che avrebbe lasciato. Di lì a qualche giorno il Csm formalizzò un “disciplinare” che era chiaro sarebbe evaporato per mancanza di tempo utile.
Greco è messo molto peggio del suo predecessore che per esempio non era stato “sfiduciato” dai sottoposti. Non rischia un disciplinare solo perché la pensione è troppo vicina. Non sembra in grado di riguadagnare l’antica credibilità. Aderente come Bruti alla corrente di Md, nata per privilegiare negli uffici inquirenti l’orizzontalità a danno della verticalità, ha finito al pari di chi l’aveva preceduto nell’incarico per predicare bene e razzolare male. Far credere di non aver approfondito le indagini su Amara per puro garantismo è ridicolo. La vera ragione era quella di non rovinarsi il testimone della corona nel caso Eni. Molto presunto.
(Frank Cimini)