giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

La difesa di Stasi consegna i tweet del consulente alla Corte
Clima da Juve – Roma al processo su Garlasco

Clima da Juventus – Roma alla riapertura del processo di Garlasco. La difesa di Alberto Stasi ha duellato a lungo coi periti nominati come ‘arbitri’ dalla Corte d’Assise d’Appello per far chiarezza sul dna trovato sulle unghie di Chiara Poggi e sulle possibilità per Stasi di non sporcarsi le scarpe col sangue della vittima camminando nel villino di via Pascoli.

L’aspro confronto dialettico ‘a porte chiuse’ (processo col rito abbreviato) che ha animato gran parte dell’udienza è stato preceduto da un ‘riscaldamento’ significativo sull’aria che tira in questa delicata partita. I legali dell’imputato guidati dal professor Angelo Giarda hanno depositato alla Corte i tweet scritti dal  consulente informatico della famiglia Poggi, Paolo Reale, durante le (in teoria) segretissime operazioni peritali che si sono svolte nelle settimane passate. Pare che l’ingegner Reale, che è anche cugino della vittima, non abbia incassato molto bene l’accusa di aver fatto trapelare in anticipo le attività degli esperti. Anche oggi il presidente del collegio, Barbara Bellerio, si è raccomandata con le parti di mantenere un atteggiamento sobrio con la stampa sottolinenando con ironia di non poter affidare ai carabinieri il compito di controllare che non si parli troppo coi cronisti. (manuela d’alessandro)

 

 

 

Sette anni dopo riparte a tutta velocità l’inchiesta su Garlasco.
Panzarasa, ancora tu?

Sette anni dopo l’omicidio di Chiara Poggi, il pg Laura Barbaini tira fuori dalla naftalina di una delle inchieste più tormentate degli ultimi anni una delle vittime mediatiche illustri del delitto di Garlasco. Marco Panzarasa, compagno di liceo dell’unico indagato di questa storia, Alberto Stasi, nonché recordman di querele vinte contro i giornalisti per essere stato accostato a un crimine con cui non c’entra nulla (il 13 agosto 2007 era al mare in Liguria mentre la povera ragazza veniva massacrata), è stato convocato alla fine di luglio dal magistrato che rappresenta l’accusa nell’appello – bis con una frettolosa telefonata al mattino per un appuntamento in Procura al pomeriggio.

Cosa voleva sapere con tanta urgenza Barbaini dal vecchio compagno di Alberto che, nel frattempo, si è laureato in Legge e ha messo su famiglia? Possiamo solo ipotizzarlo, mettendo in fila le informazioni che abbiamo intercettato sull’intensa estate lavorativa del magistrato Come quasi mai accade durante un processo d’appello, il pg ha deciso di svolgere indagini integrative ’ a fondo perso’. Se ne ricaverà qualcosa proverà a convincere i giudici della seconda Corte d’Assise d’Appello di avere portato nuove prove a sostegno dell’accusa, altrimenti sarà stato lavoro inutile.

Tutto ruota attorno all’ipotizzato scambio di pedali delle biciclette in possesso di Stasi, il nuovo fronte aperto da una memoria presentata a giugno dal legale di parte civile Gian Luigi Tizzoni. Il pg non si è risparmiata nel coltivare la pista indicata dal legale dei Poggi: ha sentito un produttore di pedali per oltre sei ore, ha fatto portare via dal Gico della Finanza documentazione contabile nella sede della ditta del papà di Alberto, Nicola Stasi, morto dopo che la Cassazione ha cancellato due assoluzioni disponendo l’appello – bis. Ha ascoltato i dipendenti della ditta e, in questi giorni, continua a sentire ‘esperti’ di biciclette. Gli avvocati ufficialmente non sanno nulla perché nulla è stato da lei depositato (non è obbligata a farlo, a meno che per qualcuna di queste attività non fosse stata necessaria la loro presenza). Ma Garlasco è piccola, difficile che passasse inosservato il rinnovato fervore dell’accusa.

Torniamo al nostro Panzarasa, chiamato in gran fretta e segreto una mattina di questa piovosa estate. Perché? L’ipotesi è che il pg gli abbia posto una domanda che già circolava sette anni fa, fondata, a quanto si sa, sul nulla: Marco potrebbe avere prestato una sua bici ad Alberto? (manuela d’alessandro)

Stasi, costretto a un’innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio

Da 7 anni Alberto Stasi deve dimostrare la sua innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio, ribaltando il principio di legge per cui spetterebbe all’accusa dimostare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio. Paga gli errori dei carabinieri di Vigevano che distrussero gran parte della memoria del computer dell’allora studente della Bocconi, indispensabile per ricostruire con esattezza il suo alibi (scrivere la tesi di laurea), non sequestrarono la bicicletta di Stasi (ora è tardi per le analisi scientifiche), furono costretti a riesumare il cadavere di Chiara perché dimenticarono di prendere le impronte digitali della vittima, fecero scorazzare un gatto sul pavimento della villetta dei Poggi.   Indimenticabile il procuratore capo Alfonso Lauro che, annunciando il fermo del ragazzo pochi giorni dopo il delitto, rivelò che era stata trovata la “prova della pistola fumante”, il sangue della vittima sui pedali della bicicletta. La super – perizia disposta dal gup Stefano Vitelli, che poi lo assolse, stabilì che le microtracce di materiale biologico non erano compatibili “con l’ipotesi di una deposizione per contatto con le suole di sangue”.  Già molto prima che questa perizia venisse effettuata, appena due giorni dopo il fermo, Alberto venne scarcerato dal gip, che si accorse della follia di metterlo dentro sulla base di un labilissimo indizio.

Stasi paga le idee oscure di un’accusa che, in assenza di indizi certificabili dalla scienza con certezza, non ha costruito la trama attorno a  quello che in tutti i libri gialli è il primo elemento di un crimine, il movente.  L’ultimo, quello invocato dal pg Laura Barbaini, è crollato con la sentenza che ha assolto Stasi dall’accusa di materiale pedopornografico. Adesso, i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano riaprono ancora una volta le danze, ancora una volta appellandosi a Santa Scienza, ‘costretti’ dalla sentenza con cui la Cassazione ha cancellato le precedenti assoluzioni (nella sezione Documenti potete leggere l’ordinanza di oggi).  Bisogna riesaminare il capello castano chiaro trovato tra le mani della ragazza, il materiale biologico che c’era sotto le sue unghie e ripetere, ancora non si sa come,  la camminata virtuale di Stasi sugli ultimi due gradini della scala nella casa per capire se davvero potesse non sporcarsi le suole di sangue.  Siamo sicuri che  gli esiti di questi accertamenti potrebbero portare a un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio? Se anche il sangue e quello che c’era sotto le unghie erano riconducibili ad Alberto, basterebbe per condannarlo? Rileggendo questa storia sette anni dopo viene in  mente il travaglio di Dmitrij, uno dei fratelli Karamazov. Tutto congiurava perché fosse stato lui a uccidere il padre, soprattutto perché solo su di lui si era concentrato lo sguardo di tutti. Invece il colpevole era il servo Smerdjakov, che lo confessò. Qui invece c’è un imputato che deve dimostrare di essere innocente al di là di ogni ragionevole dubbio. (manuela d’alessandro)

Né movente né giudice, dopo la Cassazione su Garlasco è caos

Alberto Stasi non e’ un pedofilo e questa fino ad oggi e’ l’unica verita giudiziaria emersa dal 13 agosto 2007 quando la fidanzata Chiara Poggi e’ stata uccisa nella sua villetta di via Pascoli a Garlasco. Dopo due sentenze di condanna per il possesso di alcuni frammenti di immagini pedopornografiche trovate nel suo computer, ieri sera gli ermellini hanno ribaltato i pronostici e assolto il ‘biondino’.

Una sorpresa, come quella che ad aprile porto’ altri giudici della Suprema Corte a chiedere che, dopo due assoluzioni dall’accusa di omicidio, Stasi tornasse in aula per rispondere nuovamente del delitto.

Confusione a parte delle toghe, bisognera’ attendere che si fissi la data del processo d’appello bis per scoprire il nuovo movente dell’accusa. La visione di quelle immagini raccapriccianti da parte di Chiara sarebbe stata la molla dell’omicidio, secondo quanto già spiegato nel primo appello dalla pg Laura Barbaini che pare non abbia gradito il verdetto di ieri.

Riassumendo. Niente testimoni, nessuna traccia dell’arma, e, a nove mesi di distanza, non è ancora stato individuato chi dovrà ‘firmare’ la nuova sentenza. Per uno strano incrocio del destino, avrebbe dovuto guidare il collegio Sergio Silocchi, il presidente della prima corte d’assise ed ex marito del pg Barbaini, il quale ovviamente ha deciso di astenersi. Neppure i giudici della seconda assise che avevano scagionato Stasi potranno celebrare il nuovo processo e allora non restano, ‘per eliminazione’, che quelli della terza sezione della Corte d’Appello. Sembra non esserci nulla di facile in quello che è il rebus di cronaca nera più intrigante degli ultimi anni. (oriana lupini e manuela d’alessandro)

La strana Cassazione su Alberto Stasi che per 3 volte diventa Mario

Strane e verrebbe da dire ‘distratte’ motivazioni (le potete leggere nella sezione ‘Documenti’) quelle con cui la Cassazione spiega perché bisogna processare di nuovo Alberto Stasi, assolto in primo e secondo grado dall’accusa di avere ucciso la fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto del 2007 a Garlasco. Non sfuggono alcuni errori di forma che una vecchia maestra evidenzierebbe con la matita rossa e un paio di ricostruzioni storiche sull’indagine lasciano perplessi.

Per ben tre volte gli Ermellini sbagliano il nome dell’imputato chiamandolo Mario Stasi (pagine 88, 91 e 92), mentre Chiara Poggi diventa Chiara Stasi (pagina 98) sebbene non fosse sposata con lui (Alberto).

Ecco invece i punti critici sulla sostanza. A pagina 88 la Suprema Corte afferma che la fascia di orario compresa tra le 9 e 12 (quando Chiara disinserisce l’allarme di casa Poggi) e le 9 e 35 (orario in cui Alberto si mette al computer) è stata ritenuta “compatibile” dai giudici di primo e secondo grado con l’azione omicida. Non è proprio così. Né il giudice di primo grado, Stefano Vitelli, né quelli della corte d’appello di Milano sono mai stati così netti nel parlare di “compatibilità” con questa striscia di tempo in cui Alberto non aveva alibi. Anzi, il gup attribuì a questa collocazione temporale dell’omicidio “plurimi e significativi punti di criticità” e lo definì “un intervallo di problematica compatibilità”. Spiegò che era molto difficile  immaginare che in 23 minuti Alberto  fosse stato in grado di andare a casa Poggi, litigare (ipotesi) con la ragazza, ucciderla, cambiarsi gli abiti sporchi di sangue, tornare a casa sua e mettersi davanti al pc per scrivere la  tesi di laurea.

Secondo passaggio controverso è quello di pagina 82, dove la Cassazione scrive che la bicicletta di Stasi così come descritta dal carabiniere Marchetto coincideva con quella descritta dalla testimone Franca Bernani, vicina di casa della famiglia Poggi. La signora Bernani raccontò al pm di avere visto alle 9 e 10 del 13 agosto una bici nera da donna davanti alla villa di Chiara. Durante le indagini,  Marchetto  scrisse in un verbale che nel magazzino del papà di Alberto aveva notato una bici nera da donna ma decise di non sequestrarla perché, come spiegò poi anche durante il processo di primo grado, non corrispondeva alla descrizione fatta dalla Bernani. Dunque, nessuna coincidenza tra le due versioni.Proprio sulla bici mai sequestrata ad Alberto in sella alla quale – ipotesi di accusa e parte civile – sarebbe andato a casa di Chiara per ammazzarla, si giochera’ uno degli scontri cruciali nel nuovo processo. (manuela d’alessandro)