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giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Dare dell’imputato a un indagato è diffamazione

Dare dell’imputato a una persona che è solo indagata è diffamatorio?

Sì, è la risposta delle sezioni unite della Cassazione che si sono espresse su una giurisprudenza contrastante su questo tema. Il caso è quello di un articolo pubblicato dal sito del settimanale ‘L’Espresso’ nel giugno del 2013 (12 anni dopo, benvenuta giustizia!).  Il numero uno di una banca d’affari era indagato con l’accusa di avere tentato una truffa ma non era ancora stato raggiunto dalla richiesta di rinvio a giudizio.

In primo grado il Tribunale di Roma aveva assolto il cronista “perché gli errrori non avevano scalfito l’aderenza al vero nella complessiva ricostruzione dei fatti per la corrispondenza tra lo scritto e la realtà visto il coinvolgimento significativo nell’attività truffaldina”.

La sentenza è stata ribaltata in appello con la condanna del giornalista a 5mila euro di sanzione pecuniaria.

Ed eccoci alla decisione della Suprema Corte secondo la quale  ”la differenza tra i due status, in termini giuridici, è significativa, riverberandosi sulla percezione sociale del grado di probabilità del coinvolgimento del soggetto che ne è titolare nel reato che gli viene addebitato. Non si può, quindi, relegare, di per sé e in astratto, una infedeltà narrativa di tale portata all’ambito della mera marginalità, attribuendole impropriamente neutralità ai fini del riconoscimento del carattere diffamatorio della notizia propalata. Ne deriva che i due atti non sono confondibili e non possono essere impropriamente sovrapposti”

Insomma quel che conta è la percezione dell’opinione pubblica sullo “stato di avanzamento della vicenda giudiziaria che riguarda un soggetto la cui progressione tende ad alimentare un effettivo coinvolgimento”.

Certo viene da pensare che la Cassazione sia molto ottimista sul garantismo dell’opinione pubblica in un Paese dove  essere indagati equivale a una condanna.

(manuela d’alessandro)

Greco indagato, ragione in più per pensione subito

Il procuratore di Milano Francesco Greco risulta indagato a Brescia per omissione in atti d’ufficio. Non avrebbe iscritto tempestivamente l’avvocato Piero Amara nell’apposito registro. Si tratterebbe di un atto dovuto dopo le dichiarazioni a verbale del pm milanese Paolo Storari.
A questo punto ci sarebbe una ragione ulteriore non certo la più importante per lasciare l’incarico. Non si capisce perché il procuratore Greco resti al suo posto ad aspettare la data della pensione, il 14 novembre, e non anticipi l’uscita. Il documento di solidarietà al sostituto procuratore Paolo Storari è un chiarissimo segnale di sfiducia nei confronti di Greco a firma di 56 pubblici ministeri ai quali vanno aggiunti magistrati e giudici esterni all’ufficio inquirente.
Si tratta di una presa di posizione almeno per quanto riguarda i pm milanesi che va molto al di là del caso relativo al processo Eni Nigeria, Amara, Armanna, nessi e connessi. Si può benissimo dire che il caso Storari è la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Da molto tempo in procura c’erano insoddisfazioni, critiche, risentimenti per il modo in cui Greco aveva organizzato l’ufficio, distribuito gli incarichi, favorendo alcuni settori a danno di altri. Quando subito dopo la sentenza di assoluzione dei vertici dell’Eni il procuratore aveva cercato di nascondere la polvere sotto il tappeto addirittura negando la diatriba con il tribunale avevano fatto sensazione le parole digitate da Storari nel dibattito su what’sapp: “Francesco le cose non stanno così, lo sai benissimo e bisognerà parlarne”.
S’era capito che non sarebbe finita lì è così è stato. Greco dovesse restare fino al termine del mandato andrebbe incontro a un calvario. La gestione dell’ufficio sarebbe molto difficile. Edmondo Bruti Liberati il suo predecessore anticipò l’andata in pensione perché comprese che lo scontro con l’aggiunto Alfredo Robledo dal quale pure era uscito vincitore aveva lasciato degli strascichi evidenti. La procura di Brescia assolvendo Bruti dall’abuso d’ufficio affermava che c’era materia per un procedimento disciplinare avendo lui agito in base a criteri politici. Bruti annunciò che avrebbe lasciato. Di lì a qualche giorno il Csm formalizzò un “disciplinare” che era chiaro sarebbe evaporato per mancanza di tempo utile.
Greco è messo molto peggio del suo predecessore che per esempio non era stato “sfiduciato” dai sottoposti. Non rischia un disciplinare solo perché la pensione è troppo vicina. Non sembra in grado di riguadagnare l’antica credibilità. Aderente come Bruti alla corrente di Md, nata per privilegiare negli uffici inquirenti l’orizzontalità a danno della verticalità, ha finito al pari di chi l’aveva preceduto nell’incarico per predicare bene e razzolare male. Far credere di non aver approfondito le indagini su Amara per puro garantismo è ridicolo. La vera ragione era quella di non rovinarsi il testimone della corona nel caso Eni. Molto presunto.
(Frank Cimini)