giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Giudice Salvini, pericolosa la magistratura che vuole fare le leggi

 

Pochi giorni dopo la nomina del nuovo Procuratore e di Milano, l’ANM ha varato 14 Commissioni di studio in cui complessivamente saranno impegnati nei prossimi anni centinaia di suoi iscritti, tutti appartenenti ai vari Partiti – correnti. In queste Commissioni permanenti, che assomigliano a Commissioni ministeriali, un piccolo esercito di magistrati, oltre 300 si occuperà non solo dei temi propri della categoria – i carichi di lavoro e le condizioni di lavoro e sicurezza, il processo telematico – ma anche di tematiche generali e decisive come la riforma del diritto penale, la riforma della processo penale e l’esecuzione penale, il diritto del lavoro.

La novità è passata senza troppo clamore – ne ha scritto solo il quotidiano ‘Il Dubbio’ – e il ministro Orlando avrebbe accolto con favore la “offerta di collaborazione della ANM, forse facendo buon viso e cattivo gioco tenendo conto che il parere su alcune proposte di legge è già previsto ma solo da parte del CSM, che è un organo costituzionale e non un’associazione privata di magistrati come l’ANM.

Può darsi che sia un malpensiero ma tutto ciò appare un nuovo passo avanti nel progetto di concordare, tramite una consultazione obbligatoria con la magistratura come ente organico, con il Governo e il Parlamento la formazione delle leggi, quantomeno quelle del sistema giustizia. Far sì che nessuna sia varata se non con l’approvazione dell’ANM e non “passino”, con una sorta di veto, quelle non gradite o i passaggi non graditi. Penso a quelle su temi sensibili come le intercettazioni, la prescrizione, le impugnazioni e così via.

Non sarei troppo contento che le leggi in materia di giustizia fossero fatte dall’Unione Camere Penali. L’associazione degli avvocati dice molte cose acute ma adeguandosi alle sua linea e alle sue proposte, non si farebbe alcuna indagine né si concluderebbe mai alcun processo. Ma non mi sembra, all’opposto, che si debba passare ad una “legislazione concordata” e ad un necessario via libera dell’ANM e delle sue Commissioni che i cittadini non hanno eletto in Parlamento L’estensione dell’influenza della magistratura nello scacchiere istituzionale è resa possibile dalla sua struttura, un corpo di soggetti in numero limitato, compatto, gerarchico, che opera per cooptazione interna ed è quindi facilmente controllabile dai suoi capi e non è sottoposto a periodiche verifiche elettorali ma solo a controlli autoreferenziali. Trae anche vantaggio dalla presenza ormai costante di noti ex-magistrati nell’agone politico, con i suoi riverberi sui mass- media, e anche nelle sedi decisionali della politica. Infatti i magistrati che sono entrati in politica appena dopo aver dismesso la toga e qualche volta anche prima non sono da meno nel perseguire l’aumento di influenza della magistratura. Continua a leggere

L’inerzia di Palazzo Chigi che non chiede a Mills di saldare il conto di 250mila euro

Sono passati sei anni dal giorno in cui la Cassazione dichiarando la prescrizione della corruzione in atti giudiziari contestata a David Mills lo condannava a risarcire la presidenza del consiglio dei ministri con 250 mila euro e a versare 25 mila euro di spese processuali affermando la penale responsabilità dell’avvocato inglese per essersi fatto corrompere come testimone “con almeno 600 mila dollari da Silvio Berlusconi”. Correva il febbraio del 2010. Ecco, Mills non ha sborsato un centesimo, attestato sulla sua determinazione a non riconoscere le statuizioni civili.

Lo stato italiano non è stato capace a tutt’oggi di riscuotere. Al momento della decisione della Cassazione a palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi il quale beneficerà pure lui successivamente della prescrizione ma senza conseguenze a livello di giustizia civile perché i tempi scaduti erano stati dichiarati con la sentenza di primo grado mentre Mills era reduce dalla condanna a 4 anni e 6 mesi confermata dalla corte d’appello. E la situazione con Berlusconi premier era addirittura comica. Ma dopo il fondatore della Fininvest ne passava di acqua sotto i ponti e a palazzo Chigi arrivavano uno dopo l’altro Mario Monti sobrio nel suo loden verde, l’intellettuale poliglotta Enrico Letta e infine Matteo Renzi che tuttora ci delizia. Nessuno dei tre è riuscito a battere chiodo.

Mills dall’estate scorsa ha pure aperto un ristorante nella campagna londinese, ma l’Italia non ha disturbato concretamente l’avvocato che aveva creato un sistema di società off-shore utilizzato da Fininvest e che poi accettava, secondo la giustizia nostrana, “il regalo” per testimoniare il falso in due processi a carico di Berlusconi.

La pratica è tuttora formalmente aperta e l’unica attività di cui si ha notizia è quella dell’avvocatura dello stato parte civile nella vicenda giudiziaria per interrompere un’altra prescrizione, quella relativa al risarcimento.

Mills è una sorta di abbonato alla prescrizione perché ne aveva beneficiato anche per la presunta testimonianza nel caso Sme e per il presunto riciclaggio nella vicenda Mediaset prima che si arrivasse a sentenza. Insomma gli è andata bene, ma la presidenza del consiglio dei ministri almeno una mano gliel’ha data se non tutt’e due. Il suo bilancio sarebbe positivo anche nel caso dovesse risarcire. Ne intascò “almeno 600 mila” (dollari) contro i 250 mila euro più 25 mila che dovrebbe versare nelle casse dello stato italiano. Pare che l’uomo sia un po’ tirchio. Ma è pure fortunato perché la sua avidità  viene assecondata.  (frank cimini e manuela d’alessandro)

Dossier illeciti Telecom, dopo 3 anni non ancora fissato l’appello

Dal 13 febbraio del 2013, data della sentenza di primo grado, sono passati quasi 3 anni e il processo d’appello non è stato ancora fissato. Ci furono 7 condanne (tra cui 7 anni e mezzo all’ex appartenente al Sisde Marco Bernardini e 5 anni e mezzo all’investigatore privato Emanuele Cipriani). La vicenda è quella di una struttura interna a Telecom che confezionava dossier illegali su diversi personaggi. A capo c’era Giuliano Tavaroli, responsabile della security dell’azienda. Una storia di cui giornali e tg parlarono a lungo e che sembrò molto più grossa di quella che si è rivelata con il passare del tempo. Il patteggiamento di Giuliano Tavaroli, l’indagato più importante, scatenò aspre polemiche.

Una parte dei fatti furono dichiarati prescritti dalla corte d’assise. Del processo d’appello si sono perse le tracce, non si sa quando sarà celebrato. Troppo spesso magistrati, Anm e i media che fanno da megafono all’accusa addebitano agli avvocati difensori la responsabilità dei tanti processi che finiscono in prescrizione. Almeno in questo caso specifico nessuno lamenta l’omissione della corte d’appello di Milano che non molto tempo fa aveva vantato di aver smaltito gran parte dell’arretrato beneficiando di titoli di giornale della solita stampa amica. Adesso tutti sembrano fare finta di niente, a cominciare da chi dovrebbe controllare l’operato dei giudici. C’è un ministro che ha poteri ispettivi e sta zitto, c’è un Csm che dorme quando gli conviene.  (frank cimini)

L’omicidio del codice di procedura penale che ‘compie’ 25 anni

Sono passati più di 25 anni dalla introduzione in Italia di quel “nuovo” codice di procedura che nel finale del 1989 avrebbe dovuto, si disse, eliminare il vigente “rito inquisitorio” a favore del più anglosassone “rito accusatorio”. In questi anni la gran parte dei principi cardine che avevano ispirato quella trasformazione procedurale sono morti e sepolti con il risultato che l’odierno processo penale risulta meno garantista, per usare un termine tanto abusato quanto osceno, di quello dei nostri padri, rivelandosi soprattutto per l’imputato innocente una trappola esiziale.

Si volle separare la prima fase segreta delle indagini, monopolio della accusa, da quella successiva dell’accertamento in contesa paritaria davanti al Giudice “terzo” ed estraneo alla prima fase, ma il dibattimento si è da anni trasformato nel luogo ove l’accusa fa direttamente confluire, e senza passare dal via, gli esiti della prima fase e se dimentica di farlo, provvede direttamente il Giudice “terzo” ricorrendo a quei poteri di integrazione istruttoria che, previsti come straordinari, sono diventati la regola sulla base del principio dell’accertamento della verità.

Il ricorso alle intercettazioni, previsto come eccezionale ha finito con il costituire l’ossatura portante di gran parte delle indagini a prescindere dalla tipologia di reato perseguita e la prematura, quando smodata, divulgazione sui media sede primaria dei popolari giudizi al punto che si invocano resistenze al bavaglio anche per quelle che di penale rilevanza non avrebbero un bel nulla. Alcuni processi di criminalità organizzata finiscono direttamente in Cassazione con sentenze motivate sul “copia e incolla” dell’originario “file” delle intercettazioni della Polizia giudiziaria che le trascrive per il Pm che sulla base di quelle chiede al GIP la misura cautelare che sulla base di quelle la applica e che diventano in sede di giudizio abbreviato assunto motivazionale di colpevolezza, confermato dalla Corte d Appello ed insindacabile in sede di legittimità.

Si volle limitare il ricorso alla carcerazione preventiva ma l’applicazione giurisprudenziale fece diventare anche il mero silenzio dell’incolpato duplice segnale di inquinamento probatorio e di pervicacia delinquenziale, sul presupposto che chi non recide il legame con il malaffare rendendosi inaffidabile delatore rimane “intraneo” allo stesso ed introducendo persino quel “giudicato cautelare” dei pure previsti controlli incidentali, che, in assenza di impossibili attivazioni da parte di chi si trova recluso, impedirebbe al Giudice della carcerazione ogni futura rivalutazione fino a scadenza massima.

Quanto ai tanti riti alternativi al processo oggi abbiamo un giudizio abbreviato che, nato per invogliare l’incolpato con uno sconto di pena ad accettare un esito sulla base delle sole carte del PM, da un lato commina ergastoli in una unica udienza monocratica a porte chiuse con la stessa legittimazione di una Corte d’Assise impegnata in un lungo processo dibattimentale, e dall’altro legittima, come nel caso Garlasco, supplementi istruttori persino alla Corte di Appello bis nei confronti di chi è già stato più volte assolto. Il giudizio immediato, nato per consentire al PM di saltare la udienza filtro in caso di evidenze probatorie raccolte nei primi 3 mesi di indagine, viene oggi utilizzato da un lato per processare l’imputato in manette saltando i previsti termini di fase oppure per processare, caso Ruby, un colpevole così poco “evidente” da risultare poi assolto, mentre il patteggiamento, nato per definire con sanzioni non esecutive una rinuncia al processo, oggi costituisce marchio di accertata colpevolezza ed “allargato” titolo per rapide detenzioni definitive di entità tutt’altro che modesta. La stessa udienza preliminare, nata per essere un giudizio sulla indagine, oltre a rivelarsi del tutto inutile, è oggi la sede dove spesse volte il PM integra le proprie prove oltre la scadenza prorogabile, ragion per cui trova la sua essenza solo come momento primo e finale per definire alternativamente la vicenda. Continua a leggere

Perché l’omicidio stradale è un finto reato colposo d’ispirazione forcaiola

C’è da augurarsi, ma se ne dubita, visto il “clima” pesantemente forcaiolo che da tempo incombe presso una opinione pubblica che sembra avere eletto il carcere a nuova icona della democrazia e del diritto, che il testo appena licenziato dalla Commissione per la introduzione di quel “nuovo” reato di omicidio stradale, da molti invocato, venga se non in tutto, almeno in parte adeguato a più miti consigli. Se venisse, infatti, approvato così come si legge oggi, le conseguenze sarebbero a dir poco opinabili.

Una pena fino a 12 anni di carcere per quello che resta pur sempre un delitto colposo, e quindi non voluto, sia per chi provoca un incidente mortale in stato di “media” ebrezza (che significa da 0,8 a 1,5 per riferirci ai tre valori indicati secondo tabella all’art. 186 del noto Decreto 30.04.92 n. 285), sia per chi, benchè sobrio, abbia superato i 70 km in un centro urbano, e sia infine per chi, benchè sobrio e veloce il giusto abbia effettuato una “inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi” ovvero un “sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua”  (perché poi quel richiamo iniziale al “la stessa pena” non è chiaro se si riferisca alla ipotesi attenuata che sarebbe pur sempre da 7 a 10 anni oppure a quella ‘standard’). Pena ulteriormente aumentabile in caso di fuga e in caso di ulteriore persona coinvolta nel sinistro, leggendosi, quale unico finale calmiere sanzionatorio, il fatto che “in ogni caso la pena non può superare gli anni 18″. Non bastasse è espressamente previsto il divieto per il giudice di contemperare la pena con le circostanze attenuanti e anche in caso di patteggiamento la revoca della patente non più riottenibile se non 15 anni dopo nei casi meno gravi. A ciò si aggiunge ovviamente l’arresto obbligatorio in flagranza e l’allungamento dei termini prescrizionali. A questo punto sarebbe stato meno ipocrita introdurre tout court l’omicidio stradale tra le ipotesi “speciali” di omicidio volontario, sul presupposto, già applicato da taluna giurisprudenza minoritaria, del cosiddetto dolo eventuale che vorrebbe che chi guida senza prudenza un mezzo pericoloso finisca con l’accettare il rischio di provocare la altrui morte. Peccato che se così fosse, ed è qui la fallacia del ragionamento giuridico, dovrebbe ritenersi che il conducente imprudente abbia messo in conto anche la propria di morte, giacchè le conseguenze di un sinistro non sono certo programmabili o evitabili, ed ecco forse la ragione per cui si è ritenuto di mantenere l’ipotesi colposa. Il risultato è stato quello di creare un nuovo reato colposo con trattamento sia sanzionatorio che procedurale da reato doloso, se è questo quello che si voleva, come diceva qualcuno “non capisco, ma mi adeguo”. (avvocato Davide Steccanella)