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Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Ferito sta ancora male, processo a Giardiello rinviato a ottobre

Trovata la soluzione. Claudio Giardiello non sarà in aula e non ci sarà neppure l’udienza di domani, con un rinvio che permetterà di calmare le acque, come chiedevano gli avvocati.

Il nuovo collegio della seconda sezione penale presieduto dal giudice Lorella Trovato ha rinviato al 15 ottobre il processo per bancarotta a carico di Claudio Giardiello, l’autore della strage in Tribunale. Decisione che arriva accogliendo il legittimo impedimento presentato da Davide Limongelli, coimputato e parente di Giardiello, ferito gravemente nella sparatoria, ora fuori pericolo di vita ma comunque in condizioni serie. In secondo luogo, per attendere la pronuncia della Cassazione sulla richiesta di spostare il processo a Brescia avanzata dal nuovo difensore di Giardiello, l’avvocato Antonio Cristallo, che giudica impossibile celebrare quel dibattimento, a Milano, con la necessaria serenità. La scorsa settimana altri legali avevano scritto al collegio chiedendo di riflettere sull’opportunità di un rinvio: avevano assistito alla sparatoria in aula, avevano soccorso i feriti, lo choc era stato duro, non si sentivano pronti a riprendere il processo con il rischio di trovarsi di fronte proprio a Giardiello il quale, in quanto imputato, aveva diritto e intenzione di prendervi parte.

Giardiello presto in aula nel processo della strage
Lettera dei legali al giudice: non siamo pronti

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto? Immaginatevi che Claudio Giardiello voglia tornare in aula. Ne ha diritto: è imputato di un processo per bancarotta, è detenuto a Monza, ma alle udienze che lo riguardano può prendere parte, come chiunque. Persino gli imputati di mafia al 41bis possono chiedere di assistere in videoconferenza ai loro processi.

Ecco, stando a fonti legali, Giardiello avrebbe intenzione di partecipare alla prossima udienza, il 14 maggio. Il collegio di giudici non sarà lo stesso davanti al quale ha compiuto la strage del Palazzo di giustizia. Quei giudici si sono astenuti: non avrebbero avuto la serenità per giudicare chi davanti a loro ha ucciso due persone, ha quasi ammazzato un coimputato, ha ferito un testimone appena fuori dall’aula per poi dirigersi verso la stanza di un altro magistrato e colpirlo con due proiettili letali.

Ora, fate un altro sforzo di immedesimazione: immaginate di essere uno degli avvocati che il giorno della strage erano in aula. Avete assistito alla sparatoria, avete visto morire due persone davanti a voi, ne avete soccorsa una terza in fin di vita. Con quale stato d’animo tornereste sul posto, a distanza di poche settimane, per celebrare il medesimo processo? Con un imputato ancora grave in ospedale, e uno – l’assassino reo confesso – pronto a presentarsi davanti a voi? E’ quello che si domandano alcuni legali che per questo hanno scritto al presidente del nuovo collegio, Lorella Trovato, chiedendole una pausa. Valutando di rinviare il dibattimento a dopo l’estate. “Non è così che si volta pagina”, spiega uno di loro. I giudici non sono “le uniche figure in toga a meritare la necessaria serenità delle udienze”, gli fa eco un collega, spiegando come non vi siano ragioni d’urgenza per riprendere a ritmo serrato. Quello a carico di Giardiello e dei suoi coimputati è infatti un processo senza detenuti e senza problemi di prescrizione. Semmai da parte dei giudici, ritengono i legali, potrebbe prevalere un ragionamento di “opportunità e rispetto di tutti”, spiega un avvocato che chiede tempi più rilassati per un processo assai teso. C’è persino chi inizia a ipotizzare un’istanza di remissione: processo via da Milano. In questo Palazzo di Giustizia mancherebbe del tutto la serenità per un processo equo.

Lo choc è ancora troppo vivo nell’animo di chi era in aula. Parafrasando Jonathan Safran Foer: “molto forte, incredibilmente vicino”.

Chi entra senza tessera, chi no e come: le nuove regole di accesso al Palazzo

Piu’ carabinieri a presidiare le aule dove si svolgono le udienze, tornelli con badge personalizzato in prospettiva e controlli random degli utenti professionali a tutti e quattro gli accessi del Palazzo di Giustizia di Milano. Arrivano le nuove regole di accesso deliberate dalla Commissione Manutenzione degli Uffici Giudiziari (le potete leggere qui: nuove regole accesso) che si e’ riunita il 28 aprile scorso per valutare una serie di proposte da portare al Ministero della Giustizia dopo la strage compiuta da Claudio Giardiello. (cronaca di una giornata di morte)

La Commissione ha deciso – si legge nel verbale della riunione – di “mantenere la divisione dei varchi di accesso tra quelli riservati al pubblico e quelli riservati, previa esibizione di tesserino di riconoscimento con foto, agli utenti professionali (magistrati,personale amministrativo e avvocati di tutti i Fori)”. E’ stata inoltre “condivisa” la “necessita’, in prospettiva, di procedere  all’installazione di tornelli con apposito badge personalizzato e con controllo random manuale a sorpresa”. Si e’ deciso poi “di rivolgere all’Arma dei Carabinieri l’invito a incrementare il numero dei carabinieri presenti nel Palazzo di Giustizia e a effettuare una vigilanza dinamica nei corridoi e nei pressi delle aule di udienza” e di “dare avviso a tutti gli utenti professionali che, pure se in possesso di regolare porto d’armi, non e’ loro consentito l’accesso con armi nel Palazzo di Giustizia”. (il notaio con la pistola).  Per “potenziare” il controllo random a tutti gli accessi, la Commissione evidenzia “l’opportunita’ di avere la disponibilita’ di uno strumento che consenta il controllo random programmato regolarmente dopo un certo numero di accessi di utenti”. (manuela d’alessandro)

 

I lavoratori ai vertici del Palazzo, “avete visto un film diverso sul dopo sparatoria”

Cosa è successo a Palazzo di Giustizia negli istanti successivi alla sparatoria? All’assemblea convocata stamattina dai lavoratori nella ‘Sala Valente’ di fronte all’edificio del Piacentini abbiamo ascoltato due versioni. Una, rassicurante, è stata espressa dal procuratore Edmondo Bruti Liberati e dal Presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio, i quali hanno sottolineato come non si sia vista “nessuna scena di caos o panico”. “Non c’erano direzioni sicure in cui evacuare – ha spiegato Canzio – e i dipendenti hanno seguito l’indicazione di stare chiusi negli uffici. Il loro comportamento è stato un esempio di sobrietà e adeguatezza di fronte a un evento così tragico. “Per circa mezz’ora – è il racconto di Bruti – non sapevamo se Giardiello fosse nel Palazzo ma non c’è stato nessun panico. Quando è arrivata la notizia del suo arresto, il controllo del Palazzo era già stato quasi completato”.

Molto diversa l’interpretazione data da diversi lavoratori che hanno preso la parola dopo Bruti e Canzio, che, nel frattempo, avevano lasciato la sala. “Io ho visto tutto un altro film – ha detto un esponente dell’Uilpa – Ero al piano terra dove c’era il caos totale. E’ vero, non ho visto persone che si strappavano i capelli, ma girava gente armata senza pettorina nè distintivo. Solo il buon senso ci ha suggerito di stare negli uffici”. “Il personale non è formato al piano di evecuazione – ha affermato un altro dipendente – ciascuno di noi, in casi come questo, dovrebbe sapere dove andare, per esempio si dovrebbe sapere come portare fuori un collega che ha delle disabilità. I corsi sull’evecuazione li fanno ai bambini di prima elementare, non è possibile che qui ci si affidi al passaparola o a una e – mail”. Su quanto accaduto, abbiamo raccolto anche la testimonianza di un militare che lavora ‘in borghese’ al Palazzo: “All’inizio non c’era nessun coordinamento, abbiamo preso le pistole ci siamo divisi tra noi le zone del Tribunale dove cercare Giardiello. Solo dopo molto tempo sono arrivati dei superiori che ci hanno dato indicazioni su come muoverci”. (manuela d’alessandro)

Cronaca di una giornata di morte nel Palazzo

Mancano pochi minuti alle undici quando il tranquillo via vai di una mattina di sole nel Palazzo di Giustizia di Milano viene trafitto da improvvisi colpi di pistola. “Hanno sparato! Hanno sparato!”, si sente urlare nei corridoi. Qualcuno corre senza una meta, altri vanno a barricarsi negli uffici. I volti di tutti sono terrei.

Un uomo, Claudio Giardiello, 57 anni, ha appena finito di ‘regolare’ i conti col suo destino di imprenditore fallito con 13 colpi esplosi da una pistola Beretta. Il tremendo copione viene svolto in due momenti. Un  primo atto nell’aula al terzo piano dove è in corso il suo processo per bancarotta: qui uccide Giorgio Erba, coimputato per il crac dell’Immobiliare Magenta di cui Giardiello era socio di maggioranza, e il suo ex avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani, che nell’udienza di oggi era chiamato a testimoniare. Sempre in aula ferisce Davide Limongelli (socio di Giardiello). Scendendo al secondo piano, gambizza sulle scale Stefano Verna, commercialista testimone del processo sul fallimento.

“Claris Appiani  – è il racconto dell’avvocato Gian Luigi Tizzoni, presente in aula -  non ha neanche finito di leggere la formula del giuramento, che è stato colpito dai proiettili. Ho sentito un botto pazzesco, poi ho visto il braccio di Giardiello proteso, non ho capito se verso il pm Luigi Orsi o verso il testimone. Tutti ci siamo diretti verso la camera di consiglio, io ho preso con me l’avvocato di parte civile, che era immobile, incredula”.

Giardiello sta per lasciare il Palazzo, quando ci ripensa e torna indietro. Vuole chiudere l’estremo ‘conto’ con chi ritiene gli abbia distrutto la vita. Il giudice Ferdinando Ciampi in quel momento sta parlando con la sua cancelliera perché la stampante non funziona. Ha 75 anni, a dicembre andrà in pensione, dopo una vita spesa a far di conto sui bilanci delle società fallite. Giardiello entra senza problemi nella stanza e fredda Ciampi con due colpi sotto gli occhi dell’impiegata. Sotto gli eleganti marmi del Piacentini ora è il terrore. Decine di carabinieri e poliziotti, alcuni in borghese perché lavorano negli uffici del Tribunale, cercano il killer in ogni angolo del vasto edificio. Il personale viene invitato a restare chiuso nelle stanze, mentre gli ingressi vengono bloccati.  C’è chi manda sms ai parenti per rassicurarli. Circa un’ora dopo, Giardiello viene fermato a Vimercate, dove risiede, e ai carabinieri  confida di volere uccidere ancora un’altra persona nel suo paese “per vendicarsi”. Dopo un breve ricovero per un calo di pressione, decide di non rispondere alle domande dei magistrati. L’inchiesta, condotta dalla Procura di Brescia (che è competente sulle indagini relative al tribunale di Milano), dovrà chiarire come Giardiello sia potuto entrare in tribunale con una pistola. Le telecamere hanno ripreso il killer mentre parcheggiava il suo scooter in via Manara (accesso secondario del Palazzo di Giustizia) e mentre entrava dall’ingresso alle 9.19. “Dalle analisi dei filmati – ha detto il procuratore Bruti Liberati -  si vede che mostra qualcosa, evidentemente un falso tesserino di riconoscimento”. All’ingresso di via Manara, ha spiegato ancora il magistrato, non c’è un metal detector, “perché si tratta di un ingresso riservato solo al personale, magistrati e avvocati”. Il Ministro della Giustizia Andrea Orlando ha assicurato che saranno individuate “eventuali falle nel sistema disicurezza”. Nel pomeriggio, magistrati e avvocati si sono riuniti in aula magna per ricordare con un minuto di silenzio le vittime. E mentre Vinicio Nardo, ex presidente della Camera Penale, ricorda le ultima parole alla madre del giovane Claris Appiani, 36 anni (“Vado a testimoniare, nella vita ci vuole coraggio”), alcuni magistrati dell’Anm sostengono che il “clima mediatico poco simpatico” sulle toghe potrebbe avere influito sullo scempio di oggi. (manuela d’alessandro)