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giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

E’ arrivata la ‘Crime Prevention Week’, ci credete?

Come ci si veste alla ‘Crime Prevention Week?’. Si beve e si mangia?

La Polizia di Stato lancia un’”operazione di controllo straordinario finalizzata alla prevenzione dei reati in ambito ferroviario” che arriva subito dopo la chiusura della ‘week’ più affollata e internazionale, quella del fuori salone del mobile. Ora, qui il tema non sono naturalmente i controlli che rientrano nelle normali attività delle forze di polizia quanto l’utilizzo di una formula che evoca le ormai decine di week cittadine (libri, piano, moda, musei, arte, food, pet, beauty, montagna, greeen) accomunando attività di svago ad ambiti istituzionali e che va nella direzione, come osserva la presidente uscente della Camera Penale di Milano, l’avvocata Valentina Alberta, della “narrazione di Gotham City”.

Il 9 aprile il questore di Milano, Bruno Megale, già investigatore sul campo di grande valore, ha dichiarato che nell’ultimo anno i “reati sono in importante diminuzione fatta eccezione per le rapine in esercizi pubblici” e le statistiche dicono che nell’ultimo decennio i crimini sono in calo (-21mila).

Spiega ancora Megale:“C’è stata una grande attenzione per i reati di strada che maggiormente creano allarme e la priorità è dare risposte a questo tipo di fenomeno. Ci sono altri reati più gravi ma che non sono avvertiti in modo così allarmante”.

Dunque, il tema è quello della percezione più che della statistica. Ecco quindi che viene diffusa la notizia che, durante la ‘Crime Prevention Week”, sono state  arrestate o denunciate alcune persone per spaccio e furto di uno zaino e di un telefonino in zona stazione Centrale.

Normalissime attività che le forze di polizia eseguono ogni giorno, non certo  solo durante la ‘Crime Prevention Week”, definizione che, a questo punto, mortifica anche il quotidiano impegno degli agenti facendolo passare per eccezionale. (manuela d’alessandro)

Concorso in omicidio per lo Stato che non trovò posto nella Rems a Livrieri

Concorso in omicidio. Lo Stato dovrebbe farsi carico di una parte dei  25 anni che dovrà scontare Domenico Livrieri per avere ucciso la sua vicina di casa Marta Di Nardo.

Ci si può girare attorno dicendo ‘sì, ma poi, chissà come sarebbe andata, forse non l’avrebbe uccisa’, ma è certo che il dovere dello Stato era  quello trovargli posto  in una Rems dove, secondo un giudice che lo aveva ritenuto seminfermo prima del delitto, avrebbe dovuto essere curato e sorvegliato perché ritenuto socialmente pericoloso.

Invece nell’ottobre del 2023, libero e sofferente, quest’uomo che ha assistito con  sguardo buio alla condanna nell’aula della Corte d’Assise di Milano, ha ucciso per poi farne a  pezzi il corpo di Marta Di Nardo, nascondendo quel che restava della povera donna di 60 anni in una botola sopra la porta della sua cucina in un palazzo popolare in via Pietro Da Cortona.  A coronare tutto di “assurdo”, questo è l’aggettivo speso dal legale dell’imputato, Diego Soddu, per qualificare la vicenda, ci sono due altri fatti.

Uno: la perizia psichiatrica disposta dai giudici durante il processo ha effettivamente certificato come seminfermo di mente l’imputato, condizione che gli ha consentito di ottenere un’attenuante.Due, ed è qui che il cortocircuito appare in tutta la sua enormità, i giudici hanno disposto il ricovero in una Rems per 5 anni a pena espiata. Un amarissimo ritorno al punto di partenza.

Domenico Livrieri e Marta Di Nardo si erano incontrati sul pianerottolo dove condividevano i loro tormenti. Se lo Stato e la Regione, da cui dipendono le Rems che sono di competenza della sanità, avessero fatto quello che gli spettava, probabilmente le due anime perse non si sarebbero trovate in quelle scale per perdersi ancora di più.

“Il ricovero nella Rems era rimasto ineseguito per mancanza di disponibilità nonostante i ripetuti solleciti dei pm alle autorità di competenza” dopo che un giudice lo aveva disposto. Questa è l’altra sentenza di condanna per l’omicidio di Marta Di Nardo.

(manuela d’alessandro)

I pm si innamorano di processi che non sono roba loro

Quando i magistrati si innamorano a tal punto dei loro processi fino a diventarne militanti e a trannerli in sede anche se non sono roba loro. A volte però i nodi vengono al pettine. Il pettine nel caso specifico lo aveva in mano il gup di Firenze Anna Liguori che davanti alla richieste dei pm di mandare a giudizio Marcello Dell’Utri accusato di violazione della normativa antimafia e di trasferimento di valori per non aver rispettato la legge Rognoni La Torre ha deciso che Firenze non c’entra trasferendo il processo per competenza territoriale a Milano.

Il gup ha accolto l’istanza dei difensori Francesco Centinze e Filippo Dinacci secondo i quali il procedimento “è da svolgersi a Milano luogo di residenza del nostro assistito e dovevsarebbero avvenute le condotte contestate dalla procura. Questo procedimento è radicato a Firenze solo per la contestazione di aggravanti delle stragi”.

Per i legali della difesa il processo non ha alcuna attinenza con l’inchiesta ancora aperta della  Dda di Firenze sui mandanti esterni delle stragi di mafia in cui era indagato con  Dell’Utri anche Silvio Berlusconi poi deceduto,

La procura di Firenze voleva tenere tutto insieme ipotizzando che l’ex manager di PublItalia avrebbe ricevuto 42 milioni di euro come quantum per garantire l’’impunità di Silvio Berlusconi. Dell’Utri e la moglie Miranda Ratti avrebbero eluso le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione perché l’ex senatore come condannato per concorso esterno in associazione mafiosa aveva il dovere di comunicare le variazioni del proprio patrimonio in relazione e ai soldi ricevuti dal Cavaliere.

Insomma fino ad oggi, a Firenze soldi e tempo buttati, dopo anni di indagini. Non si può non ricordare il caso del processo  Sme trasferito da Milano a Perugia dalla Cassazione del 2006. Erano passati ben 11 anni dall’inizio della vicenda. E a Perugia scattò la prescrizione per Cesare Previti, Attiio Pacifico, Renato Squillante tutti condannati in primo e secondo grado. Berlusconi era stato prosciolto in precedenza per intervenuta prescrizione.
Adesso che il caso dei soldi da Berlusconi a Dell’Utri sarà trattato a Milano ricominciando ovviamente da zero bisognerà vedere cosa succederà nell’inchiesta sui presunti mandanti delle stragi, già archiviata due volte in passato dalle procure siciliane. Si tratta di diversi tronconi di indagine dove compare anche il generale del Ros Mario Mori che secondo l’accusa pur avendone l’obbligo giuridico non avrebbe impedito gli eventi stragisti. In occasione degli auguri natalizi ai cronisti il capo della procura di Firenze aveva promesso la chiusura dell’indagine entro la fine del 2025.
(frank cimini)

Pm indagano su vendita stadio Meazza a Milan e Inter

Come si duceva ai tempi del gran maestro di giudiziaria Annibale Carenzo   “La procura ha accesso un faro”. Il farò questa volta è sulla vendita svendita dello stadio Meazza a Milan e Inter. Un fascicolo conoscitivo a modello 45 senza indagati e senza ipotesi reato ma al fine di verificare se ci sono danni per le casse pubbliche.

Il Comune è tenuto a non regalare beni pubblici a soggetti privati. Finora si è parlato di 124 milioni per acquistare l’area, 72,98 mi,ioni per lo stadio,  meno 80 milioni che potrebbero essere a carico del Comune per lo smaltimento delle macerie e la bonifica. Quindi 116,98 milioni in tutto per un’area di 280 mila metri quadri. Cioè 417,79 euro al metro quadro.

Sulla valutazione del Meazza aleggia un altro dubbio visto che poi l’impianto genera 25 milioni di ricavi. Era stato applicato un deprezzamento dovuto alla vetustà dell’impianto ma anche alla considerazione che gli spazi commerciabili interni non sarebbero incrementabili. Ciò deriva da una dichiarazione di M-I Stadio, la società partecipata da Milan e Inter che lo gestisce. Dunque dagli stessi acquirenti, oppure per loro tramite dal Comune di Milano. Ma va considerato che il progetto di ristrutturazione di Arco Associati presentato nel 2024 aveva dimostrato la possibilità di raddoppiarli.

Il fascicolo sul Meazza non arriva in un momento tranquillo per la giunta di centrosinistra considerando l’inchiesta sull’ urbanistica, i venti cantieri bloccati, la costruzione di grattacieli di venti piani attraverso la ristrutturazione formale di cortili. Insomma la storia della legge Salva Milano che per ora pare bloccata. Ma ormai siamo pure in una situazione assurda in cui la destra manifesta davanti a palazzo Marino chiedendo le dimissioni del sindaco Beppe Sala e nello stesso tempo l’approvazione della Salva Milano. Il sindaco in seconda battuta dice che comunque ci vuole una legge. Nel paese delle 2000 leggi e regolamenti.

I comitati dei cittadini chiedono al Comune di costituirsi parte civile nei processi per gli abusi edilizi che sono già iniziati. Nessuno però finora ha chiesto la creazione di una commissione e interna amministrativa per capire intorno agli abusi edilizi o presunti tali che cosa fosse accaduto. Se i funzionari indagati e ora sotto processo avessero ricevuto direttive politiche.

Insomma nel caos urbanistico mancava solo l’inchiesta sulla vendita di San Siro.

(frank cimini)

Le manette che non servono ogni giorno, basta fare finta di non vedere

 

Quasi tutti i giorni al terzo piano del palazzo di giustizia,  scelto come punto di osservazione perché c’è la sala stampa, si vedono incedere a passo lento nel corridoio persone trascinate in manette con un sottile cavo di acciaio dagli agenti penitenziari. Sono in apparenza tranquille, non esprimono quasi mai manifestazioni di rabbia e che, insomma, non parrebbero rientrare nei casi descritti nella legge 492 del 1992 introdotta nel 1992 approvata in piena tangentopoli per il ribrezzo provocato dalle immagini del politico Ezio Carra portato in giro per il tribunale con gli schiavettoni ai polsi.

La norma introdusse il principio generale che “salvo in particolari circostanze come la pericolosità del soggetto e il pericolo di fuga, non è ammesso l’uso della manette nella traduzione del recluso. In tutti gli altri casi l’uso delle manette ai polsi o di qualsiasi altro mezzo di coercizione fisica è vietato”.

E’ veramente difficile, proprio a una neutra osservazione dello stato delle cose (la foto pubblicata è di pochi giorni fa), immaginare che ogni santo giorno calpesti i marmi un detenuto così irrequieto e pericoloso (i processi a imputati di elevato profilo criminale non sono certo quotidiani) da costringere alla violazione di un principio generale.

Il regolamento penitenziario peraltro prevede che “nella traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni pubblicità”.

Invece ogni giorno c’è la possibilità di guardare negli occhi, a volte no perché sono fissi a terra, persone in attesa di entrare in un’aula di giustizia legate a un cavo e con le manette che per fortuna, a differenza di  quanto avvenne con Ilaria Salis in Ungheria, gli vengono tolte durante i processi.

Il tema non è quello degli agenti che si limitano a eseguire degli ordini o forse solo a seguire delle prassi (la pericolosità andrebbe valutata dal direttore del carcere o dalla magistratura).

Vorremo invece aprire una riflessione se sia possibile evitare che persone vengano ammanettate senza una necessità reale e contro una legge di civiltà che fa propri i diritti di libertà e di dignità.

Quelli per cui vale la pena non far finta di non vedere. (manuela d’alessandro)