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giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Tutti alla facoltà di Garlascologia lauree a gogo’

Garlasco non è solo un’arma di distrazione di massa, ma una telenovela con almeno una nuova puntata tutti i giorni. Oggi il Ris dei carabinieri si è insediato nella villetta dove fu uccisa Chiara Poggi, ispezione, sopralluogo per operare una ricostruzione in 3D per fare concorrenza al famoso plastico di Vespa formato Cogne.

La famiglia della ragaza uccisa 18 anni fa osserva che si tratta degli stessi accertamenti già fatti nell’indagine su Alberto Stasi condannato in via definitiva a 16 anni di ruclusione. I genitori di Chiara lamentano inoltre che l’ordinanza relativa all’ispezione era statale data prima ai media e poi a loro. Anche qui niente di nuovo sotto il sole. Era già accaduto per la famosa impronta 33 consegnata prima al Tg1 e poi alla difesa di Sempio. Il Tg1 è tra quelli che ci sguazza di più in questa vicenda avendo un filo pressoché diretto con chi fa le indagini.

Il carattere mediatico di questa inchiesta bis su Garlasco è fin troppo chiaro. Che si riesca a tornare in aula con elementi che sufficienti e utili a celebrare  un nuovo processo appare allo stato improbabile. Intanto si sta celebrando una gigantesca udienza giorno per giorno dove le persone coinvolte sono molto meno garantite che in Tribunale dove il diritto è già incerto.

E si alimenta la curiosità del pubblico che ha portato il sindaco a chiudere un po’ di strade per garantire la riservatezza e la  privacy dei residenti. La Garlascologia potrebbe essere la materia di una nuova facoltà universitaria per distribuire lauree a gogo’.  Si intravede un possibile sbocco per la disoccupazione intellettuale

(frank cimini)

ll rischio che dopo Garlasco si apra la stagione degli eterni processi

“Se la riconducibilità ad Andrea Sempio dell’impronta sulla parete di casa Poggi viene veicolata come un risultato scientifico, quello precedente sulla stessa impronta cos’era?”.

Marzio Capra è il genetista che affianca la famiglia della ragazza uccisa e ha lavorato in tutti i più importanti casi di cronaca degli ultimi due decenni.

E’ lui a scagliare la domanda giusta, dritta, urtante, che aiuta a comprendere quanto la nuova indagine su Garlasco potrebbe sgretolare le già flebili certezze sulla giustizia. Le risposte logiche sono soltanto due ed entrambe a loro modo angoscianti. “Se passa il concetto che si mette in dubbio una perizia sul dna fatta nel contraddittorio, quella sulle unghie di Chiara Poggi, e poi che delle impronte dichiarate inutili diventano utili e vengono attribuite a una persona, allora possiamo mettere in discussione tutti i casi di omicidio.Oppure, ed è l’alternativa, devi pensare che ci sia stata una grave imperizia dei consulenti, quelli di allora o quelli di ora”.

Allarghiamo la visuale lasciando per un attimo il caso singolo: il paradosso è che sarebbe meglio che venissero indagati gli esperti per falsa perizia (un reato che esiste davvero, è previsto dall’articolo 373 del codice). Si rassicurerebbe così il cittadino che potrebbe essere stata scoperta una stortura nel meccanismo, un ramo marcio del sistema. Perché se invece dovesse passare il concetto che un risultato scientifico raggiunto con tutte le procedure previste dalla legge può essere annichilito molti  anni dopo, allora mettiamoci comodi.

Si aprirebbe un’era di revisione di decine di processi a cominciare, suggerisce Capra, da quello finito con la condanna di Bossetti per Yara. “Se passa l’idea che le ultime analisi sono le più affidabili e valgono di più, è la fine: dovremmo ricominciare tutto daccapo” dice ancora il genetista .

Tutti in poltrona risucchiati da un’eterna serie Netflix. Noi comodi a discettare ma poi ci sono gli Stasi, i Sempio, le famiglie delle vittime. Il dolore, la gogna, la paura.

Qui abbiamo sempre pensato che Stasi andasse assolto perché la sua colpevolezza è sempre stata un passo indietro oltre il ragionevole dubbio ma il rischio ora è che Sempio diventi un secondo Stasi. (manuela d’alessandro)

 

E’ arrivata la ‘Crime Prevention Week’, ci credete?

Come ci si veste alla ‘Crime Prevention Week?’. Si beve e si mangia?

La Polizia di Stato lancia un’”operazione di controllo straordinario finalizzata alla prevenzione dei reati in ambito ferroviario” che arriva subito dopo la chiusura della ‘week’ più affollata e internazionale, quella del fuori salone del mobile. Ora, qui il tema non sono naturalmente i controlli che rientrano nelle normali attività delle forze di polizia quanto l’utilizzo di una formula che evoca le ormai decine di week cittadine (libri, piano, moda, musei, arte, food, pet, beauty, montagna, greeen) accomunando attività di svago ad ambiti istituzionali e che va nella direzione, come osserva la presidente uscente della Camera Penale di Milano, l’avvocata Valentina Alberta, della “narrazione di Gotham City”.

Il 9 aprile il questore di Milano, Bruno Megale, già investigatore sul campo di grande valore, ha dichiarato che nell’ultimo anno i “reati sono in importante diminuzione fatta eccezione per le rapine in esercizi pubblici” e le statistiche dicono che nell’ultimo decennio i crimini sono in calo (-21mila).

Spiega ancora Megale:“C’è stata una grande attenzione per i reati di strada che maggiormente creano allarme e la priorità è dare risposte a questo tipo di fenomeno. Ci sono altri reati più gravi ma che non sono avvertiti in modo così allarmante”.

Dunque, il tema è quello della percezione più che della statistica. Ecco quindi che viene diffusa la notizia che, durante la ‘Crime Prevention Week”, sono state  arrestate o denunciate alcune persone per spaccio e furto di uno zaino e di un telefonino in zona stazione Centrale.

Normalissime attività che le forze di polizia eseguono ogni giorno, non certo  solo durante la ‘Crime Prevention Week”, definizione che, a questo punto, mortifica anche il quotidiano impegno degli agenti facendolo passare per eccezionale. (manuela d’alessandro)

Concorso in omicidio per lo Stato che non trovò posto nella Rems a Livrieri

Concorso in omicidio. Lo Stato dovrebbe farsi carico di una parte dei  25 anni che dovrà scontare Domenico Livrieri per avere ucciso la sua vicina di casa Marta Di Nardo.

Ci si può girare attorno dicendo ‘sì, ma poi, chissà come sarebbe andata, forse non l’avrebbe uccisa’, ma è certo che il dovere dello Stato era  quello trovargli posto  in una Rems dove, secondo un giudice che lo aveva ritenuto seminfermo prima del delitto, avrebbe dovuto essere curato e sorvegliato perché ritenuto socialmente pericoloso.

Invece nell’ottobre del 2023, libero e sofferente, quest’uomo che ha assistito con  sguardo buio alla condanna nell’aula della Corte d’Assise di Milano, ha ucciso per poi farne a  pezzi il corpo di Marta Di Nardo, nascondendo quel che restava della povera donna di 60 anni in una botola sopra la porta della sua cucina in un palazzo popolare in via Pietro Da Cortona.  A coronare tutto di “assurdo”, questo è l’aggettivo speso dal legale dell’imputato, Diego Soddu, per qualificare la vicenda, ci sono due altri fatti.

Uno: la perizia psichiatrica disposta dai giudici durante il processo ha effettivamente certificato come seminfermo di mente l’imputato, condizione che gli ha consentito di ottenere un’attenuante.Due, ed è qui che il cortocircuito appare in tutta la sua enormità, i giudici hanno disposto il ricovero in una Rems per 5 anni a pena espiata. Un amarissimo ritorno al punto di partenza.

Domenico Livrieri e Marta Di Nardo si erano incontrati sul pianerottolo dove condividevano i loro tormenti. Se lo Stato e la Regione, da cui dipendono le Rems che sono di competenza della sanità, avessero fatto quello che gli spettava, probabilmente le due anime perse non si sarebbero trovate in quelle scale per perdersi ancora di più.

“Il ricovero nella Rems era rimasto ineseguito per mancanza di disponibilità nonostante i ripetuti solleciti dei pm alle autorità di competenza” dopo che un giudice lo aveva disposto. Questa è l’altra sentenza di condanna per l’omicidio di Marta Di Nardo.

(manuela d’alessandro)

I pm si innamorano di processi che non sono roba loro

Quando i magistrati si innamorano a tal punto dei loro processi fino a diventarne militanti e a trannerli in sede anche se non sono roba loro. A volte però i nodi vengono al pettine. Il pettine nel caso specifico lo aveva in mano il gup di Firenze Anna Liguori che davanti alla richieste dei pm di mandare a giudizio Marcello Dell’Utri accusato di violazione della normativa antimafia e di trasferimento di valori per non aver rispettato la legge Rognoni La Torre ha deciso che Firenze non c’entra trasferendo il processo per competenza territoriale a Milano.

Il gup ha accolto l’istanza dei difensori Francesco Centinze e Filippo Dinacci secondo i quali il procedimento “è da svolgersi a Milano luogo di residenza del nostro assistito e dovevsarebbero avvenute le condotte contestate dalla procura. Questo procedimento è radicato a Firenze solo per la contestazione di aggravanti delle stragi”.

Per i legali della difesa il processo non ha alcuna attinenza con l’inchiesta ancora aperta della  Dda di Firenze sui mandanti esterni delle stragi di mafia in cui era indagato con  Dell’Utri anche Silvio Berlusconi poi deceduto,

La procura di Firenze voleva tenere tutto insieme ipotizzando che l’ex manager di PublItalia avrebbe ricevuto 42 milioni di euro come quantum per garantire l’’impunità di Silvio Berlusconi. Dell’Utri e la moglie Miranda Ratti avrebbero eluso le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione perché l’ex senatore come condannato per concorso esterno in associazione mafiosa aveva il dovere di comunicare le variazioni del proprio patrimonio in relazione e ai soldi ricevuti dal Cavaliere.

Insomma fino ad oggi, a Firenze soldi e tempo buttati, dopo anni di indagini. Non si può non ricordare il caso del processo  Sme trasferito da Milano a Perugia dalla Cassazione del 2006. Erano passati ben 11 anni dall’inizio della vicenda. E a Perugia scattò la prescrizione per Cesare Previti, Attiio Pacifico, Renato Squillante tutti condannati in primo e secondo grado. Berlusconi era stato prosciolto in precedenza per intervenuta prescrizione.
Adesso che il caso dei soldi da Berlusconi a Dell’Utri sarà trattato a Milano ricominciando ovviamente da zero bisognerà vedere cosa succederà nell’inchiesta sui presunti mandanti delle stragi, già archiviata due volte in passato dalle procure siciliane. Si tratta di diversi tronconi di indagine dove compare anche il generale del Ros Mario Mori che secondo l’accusa pur avendone l’obbligo giuridico non avrebbe impedito gli eventi stragisti. In occasione degli auguri natalizi ai cronisti il capo della procura di Firenze aveva promesso la chiusura dell’indagine entro la fine del 2025.
(frank cimini)