“Se oggi accettiamo di continuare ad anteporre lo show al sistema giustizia non facciamo altro che avvalorare la tesi per cui la giustizia sia subordinata ai media e all’audience. Non è possibile. Ieri una trasmissione ha inseguito il mio assistito dalla mattina alla sera. Poi ha presidiato per sei l’ingresso del mio ufficio. Il mio assistito ha dei diritti, non si può aggredirlo”.
In un’appassionata conferenza stampa domenicale, Domenico Aiello, legale di Mario Venditti, si scaglia contro il martellamento mediatico su Garlasco, su Venditti, e pure su Andrea Sempio, in corso in questa Italia in cui, dice prima erano solo tutti “ct, poi tutti infettivologi o pneumologi, poi esperti di guerre internazionali, e infine adesso adesso tutti criminologi e genetisti, tutti!”.
E chiede guardare con lucidità e comprensione umana all’intera storia di Garlasco. “Immaginate come si sente la madre della povera Chiara Poggi quello che ha dovuto subire a quasi vent’anni dalla morte della figlia”.
E qui fa un ragionamento che non riguarda solo i media, ma la sua stessa professione. Su Garlasco, ricorda, da anni sono andati “esauriti tutti i mezzi di impugnazione ordinari straordinari, nazionali, europei: tutti legittimi, perché la difesa di un condannato per omicidio ha diritto a esperire ogni mezzo di impugnazione per dimostrare un errore. Ma l’errore – lamenta – nel nostro ordinamento si dimostra con le regole in aula, non sui media. Altrimenti passa il messaggio che la giustizia viene costruita nei talk show. Ma la giustizia non sarà mai opinione, non si esercita a maggioranza, attraverso la simpatia o l’antipatia dei personaggi, delle comparsate. Dobbiamo restituire centralità, dignità, decoro, a quello che facciamo”. Di chi parla Aiello?
Eccovi indizio. “Noi avvocati abbiamo anche l’obbligo di disincentivare le azioni temerarie. Inutile proseguire con tentativi destinati ad affondare davanti a un giudicato della Cassazione e una sequela di ordinanze che rigettano una richiesta di revisione. Tutti tentativi più che legittimi – afferma – ma non devono essere motivati non dal doping dell’eco mediatica che generano”.
Conclusione: “Bisogna abbandonare, come in una sorta di eutanasia giuridica, questa ostinazione del cercare una verità diversa da quella stabilita dalla cassazione. Fare i conti con realtà”.
Se fossi Andrea Sempio io uno squillo ad Aiello per sondarlo lo farei.