giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Loggia Ungheria, archiviazione non spiega. Solo sabbia

Dal comunicato emesso dalla procura di Perugia per annunciare la richiesta di archiviazione dell’indagine sulla cosiddetta loggia Ungheria non emerge una spiegazione convincente. Nelle poche righe della nota non si fa accenno al fatto che la procura di Milano allora retta da Francesco Greco non procedette immediatamente alle iscrizioni sul  registro degli indagati come sollecitava il sostituto Paolo Storari coassegnatario del fascicolo insieme al l’aggiunto Laura Pedio. Sarebbe cambiato tutto.
E invece Raffaele Cantone con i suoi sostituti sceglie di spiegare le difficoltà a indagare esclusivamente con la fuga di notizie che avrà sicuramente contribuito ma non in maniera prevalente.

Storari che poi cercherà di uscire dalle difficoltà consegnando i verbali dell’avvocato Piero Amara sulla loggia a Piercamillo Davigo allora componente del Csm chiedeva da un lato di inserire nel registro degli indagati le persone tirate in ballo e dall’altro il legale siciliano per calunnia. Si trattava di indagare subito per accertare la veridicita’ di quanto affermato.

Ma si trattava da un lato di indagare su magistrati oltre che su imprenditori ufficiali dei carabinieri e altre persone importanti dall’altro di mettere in difficoltà Amara considerato il testimone della corona nel processo Eni Nigeria poi finito con un clamoroso flop della tesi accusatoria.

Cantone con il suo comunicato cerca di salvare capra e cavoli. E soprattutto di non causare guai alla gestione della procura di Milano in quel periodo. Insomma siamo al solito cane non mangia cane. Il prossimo 22 luglio ci sarà una riunione di coordinamento tra gli uffici inquirenti di Perugia e di Milano dove adesso non c’è più Greco ma Marcello Viola, nominato dal Csm in aprile proprio per dare un segnale di discontinuità rispetto al passato.
Poi ci sarà un giudice delle indagini preliminari a valutare la richiesta di archiviazione a decidere se accoglierla o ordinare nuove indagini. Insomma non è detto che accetti la linea del “pappa e ciccia”  con la procura di Milano ”versione greca“.

La speranza di arrivare alla verità sulla loggia che sarebbe stata costituita per influenzare processi e nomine del Csm si è affievolita non di poco. Se fosse tutta la vicenda una bufala ci sarebbe comunque da chiedersi perché l’avvocato Amara avrebbe parlato in quel modo inframmezzando cose vere sia pure non riscontrabili (Cantone dixit) a bugie, per poi ridimensionare le sue affermazioni come riporta il comunicato della procura di Perugia.

In un paese normale uffici giudiziari e Csm dovrebbero essere case di vetro. Il condizionale è d’obbligo (frank cimini)

 

 

 

Ricorsi al Tar contro Viola ultima spiaggia di chi ha perso

La decisione del Csm di nominare Marcello Viola come procuratore della Repubblica di Milano fu illegittima perché fondata sulla applicazione  dell’invero inesistente automatismo valutativo relativo alla pretesa prevalenza del candidato che ha rivestito funzioni direttive in luogo di quelle semidirettive. Questo tra l’altro si legge nel documento di 42 pagine con cui il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli si è rivolto al Tar per far annullare la delibera con cui il Csm il 7 aprile scorso designò Marcello Viola come successore di Francesco Greco.
Romanelli si presenta come portatore di un percorso “più ampio e pertinente rispetto alla trattazione di reati come mafia terrorismo e delitti contro la pubblica amministrazione“ rispetto a Marcello Viola.

Romanelli si ritiene penalizzato dai criteri adottati dal Csm che aveva dato priorità agli incarichi direttivi di Viola come procuratore di Trapani e Pg di Firenze. Romanelli invece aveva fatto parte della Dna prima di fare l’aggiunto a Milano. Non aveva mai diretto un ufficio.

La decisione del Csm è stata impugnata in sede amministrativa anche dal procuratore di Bologna Giuseppe Amato l’altro sconfitto della partita per la procura di Milano.

Nell’impugnativa i legali di Romanelli lamentano che il consigliere Nino Di Matteo avesse acennato a rapporti tra il magistrato milanese e Luca Palamara in prossimità della votazione finale al Csm senza che fosse garantito il diritto al contraddittorio. La circostanza non aveva mai costituito in precedenza oggetto di una contestazione formale.

I ricorsi al TAR contro la nomina di Viola appaiono comunque come l’ultima spiaggia dei candidati sconfitti. Il ricorso di Romanelli inoltre dimostra che la procura di Milano non trova pace dopo le polemiche relative al processo Eni-Nigeria sfociate in inchieste a carico di pm del capoluogo lombardo a Brescia. Il clima insomma non è sereno mentre il nuovo procuratore sta cercando di riorganizzare l’ufficio inquirente. I ricorsi al Tar non sembrano avere molte speranze di essere accolti. Ma potranno avere un peso sicuramente su altri piani a cominciare da quello della magistratura associata e delle correnti soprattutto nella prospettiva delle elezioni per il nuovo Csm programmate per settembre. A Milano nel recente passato c’era già stata la dura vertenza di un altro aggiunto Alfredo Robledo con l’allora procuratore Bruti Liberati.

(frank cimini)

Arriva il Papa straniero, la fine di Mani pulite e di Md

Con 13 voti il Csm ha designato il Pg di Firenze Marcello Viola nuovo procuratore di Milano. Si tratta dell’ormai famoso Papa straniero per rimarcare il fatto che da decenni il capo della procura arrivava sempre dall’interno del palazzo di corso di Porta Vittoria. Questa volta il vento è cambiato, si è imposta la scelta per la discontinuità perché la procura di Milano era diventata un ufficio allo sbando e non sarà facile metterci le mani.
Era finita sotto accusa da parte della maggior parte dei pm l’organizzazione del lavoro scelta da Francesco Greco andato in pensione a metà novembre. Il segnale di sfogo era arrivato con 57 magistrati su 64 che firmavano il sostegno a Paolo Storari entrato in collisione con i vertici dell’ufficio nell’ambito del caso Eni.
Ma il fuoco covava sotto la cenere da tempo. Basti pensare che poco più della metà dei pm era esentata dai turni per le ragioni più varie da quelle familiari a quelle di servizio.
Con il risultato di far gravare il peso del lavoro ordinario solo su una parte dell’ufficio. Particolare “scandalo” suscitava l’esenzione dai turni dei pm del dipartimento corruzione internazionale che aveva istruito i processi ai vertici Eni poi conclusi con raffiche di assoluzioni.
Ma a risentirne era il complesso dell’attività investigativa. I dati dicono che solo in relazione al Tribunale siamo al 40 per cento di assoluzioni a cui vanno aggiunte quelle davanti al gup e anche quelle mei gradi successivi di giudizio. Un pm che vuole restare anonimo ammette che spesso il capo di incolpazione è quello redatto dalla polizia giudiziaria e che poi non regge al vaglio del dibattimento.
Insomma intorno a Greco c’era una sorta di cerchio magico di privilegiati o comunque di pm che avevano condizioni di lavoro migliori rispetto ad altri.
Per cui si arrivava all’esplosione e ai fuochi di artificio con le chat di discussioni interne seguite al tonfo dell’ipotesi accusatoria nel processo Eni. Da allora non c’è stata più pace mentre diversi pm finivano indagati a Brescia dove ci sono vicende ancora da definire oltre ai procedimenti disciplinari che potrebbero portare ai trasferimenti per incompatibilità ambientale.
Mani pulite di cui è appena ricorso il trentennale appare nolto lontana mentre dall’iter che ha portato alla nomina di Viola esce sconfitta la corrente di Magistratura Democratica che da tempo considerava la procura di Milano come suo territorio esclusivo. Di Md erano stati espressione gli ultimi due procuratori Edmondo Bruti Liberati e Francesco Greco. Md aveva proposto l’aggiunto Maurizio Romanelli che nel plenum ha raccolto alla fine solo 6 voti La corrente di sinistra probabilmente punterà a ottenere la presidenza del Tribunale libera dopo il pensionamento di Roberto Bichi. Ma si tratta di un incarico di peso nettamente inferiore a quello di procuratore.
Toccherà dunque a Marcello Viola far ripartire resettandola la seconda procura italiana per importanza. Non è un compito facile ma appare difficile per lui fare peggio dei suoi due predecessori Bruti Liberari impantanato nel clamoroso contenzioso con l’aggiunto Robledo e Greco in pratica messo in minoranza e isolato dai suoi sostituti per un finale di carriera inglorioso. Come quello di Md che vive il momento più difficile della sua storia. Una corrente nata 50 anni fa per democratizzare la magistratura, per la orizzontalità delle decisioni e finita nella pure gestione del potere di casta. Come disse uno dei suoi fondatori che da tempo non è più tra noi Romani Canosa: “Sarebbe stato meglio se non fosse mai nata”. Aveva visto le cose in grande anticipo. (frank cimini)

Chi indaga sulla loggia Ungheria? Tutti… cioè nessuno

Tra le diverse procure e il Csm si è perso il conto di tutti quelli che indagano sulla loggia Ungheria senza che se ne sappia qualcosa considerando particolare importantissimo la complicità dei giornali e dei telegiornali i quali semplicemente non ne parlano. Della loggia di cui l’avvocato Piero Amara aveva ipotizzato (diciamo così) l’esistenza a verbale davanti ai pm di Milano parlando del caso Eni-Nigeria farebbero parte magistrati imprenditori persone con incarichi importanti nel settore pubblico e privato al fine di aggiustare processi e varare nomine al Csm. Insomma una cosa gravissima in qualsiasi caso.
Se la famosa loggia esistesse veramente ci sarebbero responsabilità da accertare. Ma anche in caso contrario, cioè se fossimo alle prese con una bufala, sarebbe inquietante uguale perché bisognerebbe chiedersi per quale motivo Amara avrebbe verbalizzato tali fantasie.
La procura di Milano avrebbe tergiversato (eufemismo) prima di procedere con le iscrizioni nel registro degli indagati secondo il pm Paolo Storari appena assolto a Brescia dall’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio in riferimento ai verbali di Amara consegnati a Piercamullo Davigo all’epoca componente del Csm. Gli atti per competenza sarebbero finiti a Roma e a Perugia. Infine anche a Brescia che entrava in contrasto con i colleghi di Milano in relazione e alle carte sul cosiddetto “depistaggio” in merito al fascicolo Eni-Nigeria.
La loggia Ungheria insomma sembra avviata a ingrossare la lista dei tanti misteri d’Italia e appare forte il sospetto che ciò avvenga perché la magistratura in pratica non gradisce indagare su se stessa. E mancano pure quelle fughe di notizie che caratterizzano da sempre ogni indagine che si rispetti perché i giornali sul punto non tengono passione. Cioè le cronache giudiziarie non vogliono disturbare il manovratore. E va considerato che troppo spesso hanno come “datore di lavoro” quelle procure, quegli uffici inquirenti chiamati a dirimere la questione.
Che i singoli magistrati fin qui coinvolti nelle indagini penali e nei procedimenti disciplinari siano prosciolti o condannati o trasferiti è sicuramente secondario rispetto alla causa principale. Ma questa benedetta loggia Ungheria c’era o non c’era? È esistita davvero? È ancora operativa? Blaterare di riforma della giustizia senza rispondere a tali domande sembra perfettamente inutile. Alla magistratura l’ardua sentenza. Per cui siamo messi non male ma malissimo. (frank cimini)

Il carcere istituzione reietta, saggio dI Valeria Verdolini

Ci sono addirittura ex magistrati che in servizio lo usarono per acquisire fonti di prova estorcere confessioni a proclamare l’inutilità del carcere a proporre la necessità di superarlo come unica sanzione possibile.
Quindi bisogna chiedersi come definire il carcere nel terzo millennio. Un contributo rilevante e controcorrente arriva da Valeria Verdolini, sociologa, docente all’Universita’ Bicocca. 247 pagine, 18 euro, Carrocci Editore. Il titolo è “L’istituzione reietta”.
Per spiegare come arriva a tale definizione, Verdolini afferma che il carcere si presenta come istituzione residuale che svolge una serie di compiti non richiesti dal mandato formale ma ascrivibili a un welfare a basso costo, housing sociale per i senza fissa dimora, centro di accoglienza per i migranti, comunità terapeutica per i tossicodipenfenti, comunità psichiatrica per le fragilità, centro impiego per i disoccupati, residenza sanitaria e di lungodegenza per anziani.
Si tratta di vulnerabilità che raramente trovano una risposta integrata fuori dalle mura del penitenziario. “Proprio perché contiene, incapacita, raccoglie e gestisce ho scelto l’aggettivo ‘reietta’ – scrive l’autrice – Reietto deriva dal latino reiectus, participio passato di reicere. Il primo significato è respingere rigettare, un’eccezione che comprende le riflessioni sul carcere come discarica sociale, come pattumiera senza speranza”.
L’istituzione è reietta proprio perché si demanda a essa una serie di funzioni che si sono ritirate o che comunque non presentano risorse sufficienti per gestire la popolazione che ne richiede il sostegno. La funzione di discarica sociale viene assolta solo in parte perché non è risolutiva, non ingloba tutta la sofferenza sociale ne’ tantomeno la marginalità.
Si potrebbe parlare di funzione vicaria del carcere, ennesima puntata dell’infinita emergenza italiana, iniziata almeno mezzo secolo fa con la magistratura chiamata dalla politica a risolvere la questione della sovversione interna per delega totale. E che dura fino si giorni nostri. Verdolini ricorda il doppio binario pentitismo/carcere durissimo. Un meccanismo che non disinnesca i processi di devianza ma tende ad amplificarli o ad affievolirli solo sulla base di un criterio di opportunità.
E infatti stiamo a parlare oggi di ergastolo ostativo e delle difficoltà per arginarlo perché grandissima parte della politica e della magistratura in questo unite nella lotta fanno prevalere il bisogno di sicurezza sulla necessità di rispettare i diritti delle persone. Che restano persone portatrici di diritti anche dopo aver preso l’ergastolo e non possono essere inchiodate per sempre a reati commessi moltissimo tempo fa (frank cimini)