giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Addio a Giulia Perrotti, il pm gentile che faceva stare tutti tranquilli

E’ mancata a 64 anni Giulia Perrotti, procuratore capo del pool reati contro la pubblica amministrazione ed economici. Tra le sue inchieste più importanti, quella sulla scalata ad Antonveneta. Riceviamo un  ricordo dell’avvocato Davide Steccanella.

“Ho appena appreso con immenso dolore che è mancata Giulia Perrotti, procuratore aggiunto al Tribunale di Milano dove era tornata dopo essere stata per alcuni anni procuratore capo a Verbania. Non era una mia amica, come pure dopo tanti anni accade anche che succeda a un avvocato che si trova da più di 30 anni ad avere quotidianamente a che fare con la controparte. Però la conoscevo da tantissimo e soprattutto da quando, da sostituto pubblico ministero, si occupava di reati economici , materia di cui  è sempre stata tra i massimi esperti dell’ufficio anche quando detti reati non erano ancora divenuti ‘di moda’ come sarebbe accaduto molti anni dopo, non c’erano i famosi pool ed era difficile trovare magistrati davvero preparati in questa materia. Ma oggi voglio ricordare la persona splendida che era, perché raramente in futuro mi sarebbe capitato di incontrare , soprattutto nelle stanze dei pm, sempre più connotati da malcelata diffidenza nei confronti degli avvocati, un interlocutore così prezioso e soprattutto gentile. Sì, gentile, termine apparentemente così banale, eppure così raro nel nostro mondo così spesso arido e che nasconde con vezzi scioccamente formali pericolosi vuoti di sostanza. Giulia Perrotti aveva un modo tutto suo di fare il pm perché sapeva trasmettere una grande tranquillità non solo agli avvocati ma anche agli imputati e lavorare con lei era sempre una sfida stimolante e leale”.

 

“Ciao Pino, eri il nostro porto nella bolgia delle direttissime”

Legali e frequentatori del Palazzo di Giustizia piangono la scomparsa di Giuseppe Di Donato, da tutti conosciuto come Pino, il dirigente delle direttissime andato in pensione da poco e scomparso nei giorni scorsi (nella foto con l’avvocato Debora Piazza). Riceviamo e pubblichiamo un ricordo dell’avvocato Mauro Straini.

Nella parte più buia dei gironi infernali del palazzo di giustizia, piano terra, sezione direttissime, dove la durezza dei processi penali quotidianamente si celebra nel modo più drammatico, la tua cancelleria, per me, per noi avvocati, è sempre stato un porto sicuro. 

Gente simpatica, intelligente. E tu più di ogni altro, Pino. 

Una questione di stile.

 - Ciao Pino, per quel ’299′ ci sono novità, il giudice ha deciso se dare dare gli arresti domicliari? 

E quasi sempre le novità erano negative.

 - E’ un rigetto. Resta in carcere.

Anzi, lo dicevi con due g: un riggetto, con il tuo indimenticabile accento romano. 

Ma lo dicevi in un modo che saperlo da te era un po’ meno peggio: lo dicevi come uno che sa che forse di tutto questo potrebbe anche farsene a meno, però c’è, e allora tocca fassene ‘na ragione, perché così è la vita.

Così è la vita, caro Pino. 

Professionale, competente, intelligente, serio, umano, simpatico sempre. 

Ciao Pino, ci mancherai. Con te se ne va un pezzo di storia del Palazzo.

Addio a Gianfranco Maris, partigiano con la toga addosso

 

Se n’è andato oggi, segnato dagli anni (tanti) e da una vita irripetibile. Gianfranco Maris è stato un caso raro ed emblematico di come la militanza politica si possa intrecciare alla professione di avvocato senza rinunciare alle diverse coerenze che i due mondi richiedono. D’altronde lui, che era sopravvissuto ai lager nazisti, riusciva a evitare che questa sua cicatrice profonda condizionasse il resto della sua vita: certo, il 25 aprile di ogni anno sfilava in corteo dietro lo striscione dell’Aned, l’associazione dei suoperstiti dei lager, col fazzoletto bianco e celeste al collo. Ma anche di quell’orrore parlava con disincanto, e non ha mai permesso che tutta una vita lunga e ricca si riducesse all’icona di sopravvissuto.

Era comunista fino al midollo, nel modo serio e concreto in cui si era comunisti nell’Italia uscita dalla guerra. Per il Pci più ortodosso fu senatore e soprattutto punto di riferimento nel rapporto con le istituzioni, quando sotto l’attacco terroristico (che aveva, va ricordato, nella presenza di un Pci forte e credibile il suo ostacolo principale ) comunisti e apparati dello Stato realizzarono un patto di ferro, che ebbe in Ugo Pecchioli il suo esponente piu noto ma che viaggiò in concreto nel lavoro quotidiano di uomini come Maris. Eppure va ricordato anche che intanto faceva l’avvocato, e lo faceva bene, senza timore di rovinarsi la reputazione: perché quegli erano anni, a differenza di oggi, in cui un avvocato veniva rispettato in Procura e in tribunale anche se svolgeva fino in fondo e senza sconti il suo dovere come legale di uomini del crimine organizzato, convinto che anche essi avessero diritto al rispetto dei loro diritti processuali.

Poi venne l’epoca dei pentiti, in cui Maris entró da protagonista, assumendo la difesa del collaboratore di giustizia piu difficile di tutti: Leonardo Marino, il pentito del caso Calabresi. Perché se difendere i Peci e i Sandalo era facile, tanto visibile era il contributo dato allo smantellamento delle bande armate, difendere l’ambulante di Bocca di Magra che aveva fatto finire in galera Adriano Sofri volle dire mettersi contro un universo che (non solo a sinistra) considerava il processo milanese una colossale montatura, e la presenza di Maris accanto a Marino la prova provata della compromissione del Pci nella congiura. Delle minacce che gli piovevano addosso, non sembrò mai preoccuparsi: e in questo, verosimilmente, l’esperienza del lager contribuirà dargli scorza.

I suoi figli, Gianluca e Floriana, hanno continuato sulle sue orme nella difesa dei pentiti, anche e sopratutto quelli di malavita organizzata: ma sempre con lo spessore di chi fa l’avvocato davvero e non ha voglia di farsi usare.

 

 

E’ morto l’ex procuratore Manlio Minale, per lui “il diritto e i fatti sopra ogni cosa”

E’ morto stamattina Manlio Minale, ex procuratore generale ed ex procuratore della Repubblica di Milano. Avrebbe compiuto 75 anni ad agosto quando sarebbe dovuto andare in pensione. A maggio aveva anticipato l’addio alla magistratura con una lettera ai colleghi in cui spiegava di dover lasciare l’adorata toga un po’ prima del tempo per motivi di salute.

Nato a Tripoli, in Libia, nel 1940, era entrato in magistratura nel 1965. Nel 1980 l’arrivo a Milano dove aveva presieduto la corte d’assise che condannò Adriano Sofri per l’omicidio Calabresi. Sempre a Milano è stato coordinatore del pool Antimafia e poi presidente del Tribunale di Sorveglianza. Nel 2003 aveva preso il posto di Gerardo D’Ambrosio alla guida  della procura, incarico ricoperto sino al 2010 quando è diventato procuratore generale.

Lo ricordiamo col suo ultimo discorso pronunciato il 25 gennaio 2014, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

Minale contro i giudici che non ricostruiscono i fatti

 

 

Morto D’Ambrosio, dal “malore attivo” di Pinelli a “Mani pulite”

Se n’è andato “zio Gerry”. Così colleghi, avvocati e cronisti chiamavano Gerardo D’Ambrosio per decenni al palazzo di giustizia di Milano come giudice istruttore, come pm, come coordinatore del pool di “Mani pulite”, capo della procura, prima di diventare parlamentare del Pd.  Chi scrive queste poche righe per ricordarlo ha avuto con lui ottimi rapporti umani, di simpatia tra napoletani, ma abbiamo spesso discusso e litigato soprattutto nel periodo della falsa rivoluzione di “Mani pulite” e a un certo punto sono stato gratificato, primo giornalista al mondo, di una causa civile milionaria dal pool per aver criticato i metodi di indagine e i due pesi e due misure di un’inchiesta che alla fine salvò o poteri forti veri come Fiat e Mediobanca. Farei un torto  alla verità e anche  a lui che amava la schiettezza se mettessi tutto nel dimenticatoio nel momento in cui “zio Gerry” ci ha lasciato.

D’Ambrosio è stato un magistrato, come tanti, schierato, che ha subito volentieri le influenze della politica e non mi riferisco solo al periodo in cui il pool intendeva rivoltare l’Italia come un calzino. D’Ambrosio come giudice istruttore decise che Pino Pinelli, fermato per la strage di piazza Fontana, il 15 dicembre del 1969 morì per un “malore attivo” che lo fece cadere da una stanza della questura di Milano, quella del commissario di polizia Luigi Calabresi. Una ricostruzione assurda che servì a cercare di salvare capra e cavoli e a tutelare in sostanza gli uomini in divisa che a verbale avevano messo “nu cuofane e fesssarie”. Ma si sa il terrorismo di stato è sempre innocente. A prescindere. Comunque zio Gerry riposa in pace. (frank cimini)