La telefonata del Presidente della Repubblica all’ingegner Roberto Salis per esprimergli solidarietà almeno al momento può tranquillamente essere rubricata come una iniziative contro la premier Giorgia Meloni nell’ambito della disputa sul premierato. Se la telefonata può portare beneficio alla situazione di Ilaria Salis lo scopriremo soltanto in seguito ma appare più che lecito nutrire dei dubbi considerando i ristrettì quasi inesistenti margini di azione di cui dispone formalmente il Capo dello Stato che del resto non ha mancato di accennarvi.
Tutto ciò va considerato insieme al niente o quasi che il governo ha fatto pur essendo a conoscenza del caso ben prima che ne parlassero i giornali e intervenissero le telecamere del Tg3.
La sensazione è che all’interno del potere tra le cosiddette istituzioni e i loro personaggi vi sia un regolamento di conti anche sulla pelle di una ragazza detenuta in violazione del diritto e dei suoi diritti.
Non è la prima volta che accade e sicuramente non sarà neanche l’ultima. Anche perché giusto di recente era accaduto per il caso di Alfredo Cospito. Una guerra tra i partiti sulla pelle di un anarchico detenuto e torturato al 41bis dove il sottosegretario Andrea Del Mastro aveva spifferato dettagli riservati al collega di partito Giovanni Donzelli per mettere in difficoltà una delegazione di parlamentari del Pd in visita al carcere di Sassari Bancali.
Del Mastro è finito sotto processo per violazione del segreto d’ufficio e gli esponenti del Pd hanno chiesto di costituirsi parte civile. Il Tribunale deciderà domani sulla richiesta di costituzione. Dei destini degli anarchici agli uomini del potere storicamente interessa sempre poco. Questo emerge dai casi di Ilaria Salis e Alfredo Cospito. Intanto la pista anarchica è eterna con inchieste disseminate in diverse procure basate sul niente o quasi e dove a operare sono soprattutto magistrati collegati alla “sinistra” a caccia di fantasmi e uffici Digos disoccupati per mancanza di materia prima in un’epoca di repressione senza sovversione.
(frank cimini)
Morto avvocato Piscopo un pezzo della storia anni ‘70
Stamattina è morto l’avvocato Francesco Piscopo, un pezzo della storia degli anni ‘70, un fiero oppositore dei processi e delle leggi di emergenza. Aveva difeso molti arrestati e imputati insieme ad altri colleghi. Chi scrive queste poche righe ricorda della sua figura il senso dell’umorismo e dell’ironia.
Parafrasando le requisitorie e le ordinanze dei magistrati diceva in occasione degli avvocati arrestati come “complici dei terroristi” che “se l’avvocato non viene pagato dai clienti è perché fa parte della banda. E se prende la parcella? “Sono soldi frutto di rapine e attività illecite quindi se ne deduce che è colpevole, l’avvocato c’entra sempre”.
E ancora: “È quando sembra le prove non vi siano che in realtà ci sono. Se ci sono se ne può discutere”.
Francesco Piscopo raccontava degli interrogatori di Toni Negri davanti al pm Pietro Calogero. “Gli davo gran calci sotto il tavolo per costringerlo a stare zitto. Perché lui tendeva a rispondere quando il magistrato tendeva a impostare una sorta di conversazione diceva lui perche’ voleva capire”.
Piscopo interrompeva il pm: “Scusi dottore se dobbiamo conversare tolga le manette al professore e andiamo al ristorante”. Piscopo intanto continuava a dare calci “perché Negri era convinto di convincere il magistrato che lui non c’entrava. Impresa impossibile. Non aveva davanti un magistrato ma un avversario politico. E lo sapeva benissimo ma era portato a rimuovere perché presumeva molto da se stesso”.
(frank cimini)
Cospito, Cassazione: la tortura del 41bis deve continuare
La tortura deve continuare. La corte di Cassazione ha rigettato perché inammissibile il ricorso per la revoca del 41bis presentato dagli avvocati di Alfredo Cospito, l’anarchico detenuto nel carcere di Sassari Bancali dove sta scontando la condanna a 23 anni di reclusione per i pacchi bomba di Fossano davanti alla scuola dei carabinieri che non provocarono morti e nemmeno feriti.
La Cassazione ha condannato Cospito a una multa di 3000 euro a favore della cassa delle ammende come è prassi nei casi di ricorsi rigettati.
In pratica è stata confermata la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, unico giudice in tutto il paese a decidere sull’articolo 41bis, dove a livello di motivazione si diceva che Cospito è ancora più pericoloso perché il lunghissimo sciopero della fame per protestare contro il carcere duro ne ha aumentato il carisma soprattutto nella considerazione degli anarchici e di chi lo sostiene all’esterno della prigione.
Il Tribunale di Sorveglianza non aveva tenuto in alcuna considerazione il parere della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che aveva sostenuto la scelta di revocare l’articolo 41bis a favore dell’alta sorveglianza il regime appena un gradino sotto mantenendo la censura sulla posta.
Insomma almeno per il momento non sembrano esserci vie di uscita. Al di là del fatto che la difesa aspetta la fissazione dell’udienza davanti alla Cedu, la corte europea dei diritti dell’uomo, ma si tratta in ogni caso di un percorso dai tempi non certamente brevi.
Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari esulta per la decisione della Cassazione dicendo: “Benissimo, Cospito deve rimanere in carcere a scontare la sua pena al 41bis. Niente sconti o premi per i nemici dello Stato”
Replica l’avvocato Flavio Rossi Albertini: “Lèggendo il commento del sottosegretario sorge il fondato sospetto che la vicenda Cospito sia statata profondamente influenzata dalla politica”. E su questo non sembrano esserci dubbi dal momento che in riferimento al processo al sottosegretario Andrea Del Mastro per violazione del segreto d’ufficio in merito alla carcerazione e di Cospito i partiti con il Pd che chiede di essere parte civile regolano i loro conti sulla pelle di un anarchico torturato.
In questa vicenda il vero irriducibile appare lo Stato sempre pronto a perpetuare l’emergenza in un quadro di repressione senza sovversione. Una sorta di ultimo giapponese che ha evocato gli anni di piombo persino per un ragazzino che ha mimato la pistola P38 in Senato in direzione di Giorgia Meloni.
(frank cimini)
L’Ungheria grida come Bracardi: “In galera!!!”
Per i giudici ungheresi la soluzione è una sola, la galera. Lo hanno scritto in risposta alla corte di appello di Milano che chiedeva se fosse possibile sostituire il mandato di arresto europeo per L’anarchico Gabriele Marchesi con gli arresti domiciliari in Italia. Ma il discorso vale ovviamente anche per Ilaria Salis. Infatti i giudici magiari scrivono che Marchesi e Salis fanno parte della stessa “organizzazione criminale”.
Da Budapest insistono sul pericolo di fuga, dicono che Marchesi agli arresti domiciliari scapperebbe anche se sta a casa da mesi e non è scappato. Non c’è peggior sordo di chi buon vuol sentire.
Dice l’avvocato Eugenio Losco: “Si continua ad insistere in termini del tutto astratti sul rischio di fuga e l’impossibilità di applicare una misura diversa dal carcere. Sono considerazioni che non tengono in alcun conto il fatto che Gabriele Marchesi abbia rispettato gli arresti domiciliari cui è sottoposto da oltre tre mesi essendo già pienamente consapevole delle contestazioni ungheresi e del rischio di una pena fino a 24 anni. Proprio per questo la Corte di Appello di Miliano aveva chiesto alle autorità ungheresi perché le esigenze cautelari non potessero essere soddisfatte continuando ad applicare gli arresti domiciliari in Italia conformemente alla decisione quadro 829/2009. Incomprensibile poi come si possa affermare che non sia noto il suo domicilio in Italia visto che è stato trovato e tuttora si trova agli arresti domiciliari proprio nel luogo indicato nel mandato di arresto ungherese”.
Se questa è la situazione non sembra avere probabilità di successo la richiesta di arresti domiciliari in Ungheria che sarà presentata in udienza il prossimo 28 marzo per Ilaria Salis. Il 28 marzo è anche la data della prossima udienza per Gabriele Marchesi. La corte deve decidere se estradarlo o meno e dovrà valutare la risposta arrivata da Budapest che in pratica è la replica del famoso grido di Bracardi “in galera in galera!!”che però aveva almeno il pregio di far ridere.
Con un eventuale no all’estradizione di Marchesi la magistratura ungherese si sfogherebbe ulteriormente su Ilaria Salis e i rapporti con l’Italia si irrigidirebbero in maniera significativa. Anche se il molto presunto lavorio diplomatico dell’Italia con il governo di Orban non pare destinato a modificare in meglio la situazione. Al massimo a sto punto le toglierebbero il guinzaglio e le catene ai piedi in aula lasciando solo le manette.
Intanto c’è un altro anarchico italiano coinvolto negli stessi fatti del 23 febbraio dell’anno scorso a Budapest che rischia di essere estradato. Era stato fermato in Finlandia dove i giudici non hanno ancora deciso cosa fare.
(frank cimini)
Yaeesh non estradabile a tenerlo dentro ci pensiamo noi
La corte di appello dell’Aquila dice che non vi sono le condizioni per estradare Anan Yaeesh in Israele perché rischierebbe di essere sottoposto a trattamenti disumani crudeli e degradanti ma il vero motivo per cui il giovane attivista palestinese non viene consegnato a Telaviv è quello dell’indagine che lo riguarda centrata sugli stessi fatti per i quali era stata chiesta l’estradizione.
Parliamo dell’operazione che ha portato in carcere con la firma del gip aquilano Anan Yaeesh e altri due palestinesi con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, quella che nel corso di un presidio di solidarietà è stata definita “una bolla mediatica”. Insomma non potevano consegnarlo perché rischiava di essere torturato e lo hanno arrestato.
Il rischio della tortura e della violazioni dei diritti umani la corte di appello lo ammette dando credibilità alle relazioni depositate dall’avvocato Flavio Rossi Albertini che provengono da organizzazioni non governative ritenute affidabili sul piano internazionale quali Amnesty Internationale Humans Right Watch “che ben possono essere utilizzate ai fini della verifica della condizione ostativa all’estradizione.
In queste relazioni, ricorda la corte di appello, si fa riferimento a condizioni di detenzione penose per i cittadini palestinesi, caratterizzate sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria u,teriorme te peggiorate in concomitanza con il conflitto in corso”.
In buona sostanza non potendo per ragioni di immagine della democratura italiana spedirlo in Israele “ci pensiamo noi a tenerlo in vinculi. In questo modo la procura di Telaviv sarà soddisfatta del comportamento della sua sezione distaccata a L’Aquila,
frank cimini