giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Ombre Rosse, giudici francesi senza la fretta di Cartabia

I giudici francesi che devono decidere sull’estradizione d nove rifugiati politici italiani a Parigi non hanno la stessa fretta del ministro Marta Cartabia e del suo mentore Sergio Mattarella. La corte infatti ha spacchettato le varie posizioni fissando nuove udienze tra fine marzo e aprile.
Le toghe d’Oltralpe non sono frenetiche come vorrebbe il governo italiano anche perché tecnicamente i dossier arrivati a Parigi non sono completi nonostante di recente il ministro Caetabia abbia invitato le varie procure a sbrigarsi.
Enzo Calvitti è stato convocato per il 23 marzo lo stesso giorno in cui è fissata l’udienza per Giorgio Pietrostefani dal momento che il 5 gennaio scorso all’ex esponente di Lotta Continua era stato accordato un rinvio per ragioni di salute. Pietrostefani si trova in ospedale, risulta inamovibile e intrasportabile, ma il governo di Roma insiste per la sua consegna nonostante siano passati giusto 50 anni dall’omicidio Calabresi.
Il 30 marzo toccherà a Giovanni Alimonti e Narciso Manenti. Il 6 aprile le udienze per Roberta Cappelli e Marina Petrella. Il 13 aprile Sergio Tornaghi e Raffaele Ventura. Il 20 aprile Luigi Bergamin e Maurizio Di Marzio. Per Bergamin a febbraio potrebbe arrivare la decisione della Cassazione sulla prescrizione.
Insomma i tempi si allungano e i giornali italiani di destra scrivono della loro delusione e insoddisfazione. Insomma ribadiscono di essere assetati di sangue. Hanno bisogno di corpi da esibire come trofei di guerra. E non solo a destra. Anzi. Il padre dell’operazione Ombre Rosse resta Mattarella che il giorno del rientro di Battisti annunciò “e adesso gli altri”.
C’è chi dalla Francia fa osservare che non è scontato che i giudici decidano di andare dietro a Macron il quale avrebbe agito anche per dimostrare che a livello di sicurezza lui non è secondo a nessuno. Ma i tempi lunghi della decisione sulle estradizioni potrebbero portare anche al dopo Macron. Sperando ovviamente che non arrivi all’Eliseo uno ancora più forcaiolo (frank cimini)

Nel palazzo di giustizia a Torino
“Via con la forza i magistrati senza green pass”


“Ribadisco l’assoluta necessità di essere severissimi nei confronti di coloro che debbono obbligatoriamente esibire il green pass, magistrati compresi. Non è sufficiente affermare di averlo (…) Chi non ottempera deve essere impedito (anche fisicamente ed anche con il ricorso alla forza pubblica) di accedere al palazzo di giustizia, magistrati compresi“.

O green pass, o non pass. O la certificazione verde l’hai davvero, oppure nel palazzo di giustizia di Torino non ci entri. E se qualcuno ci prova lo stesso, scrive il procuratore generale Enrico Saluzzo con piglio inflessibile, intervenga la forza pubblica. Anche contro i magistrati. Certo la scena di una toga accompagnata con la forza all’uscita per ordine del Pg sarebbe da pop corn. E chissà che Saluzzo non abbia voluto mandare un messaggio a qualche ribelle toga no green pass, o no vax. Certo il tono della circolare, con tanto di sottolineature e maiuscole bloccate, dà già da sorridere ad alcuni suoi colleghi, e ne farà innervosire qualcun altro.
A Milano, il documento firmato il 10 gennaio dalla procuratrice generale Francesca Nanni e dal presidente di Corte d’appello Giuseppe Ondei, usa un linguaggio assai più pacato. Ricordando la necessità di green pass per “i difensori, i consulenti, i periti e gli altri ausiliari estranei all’amministrazione della giustizia”, la circolare precisa – suscitando già le proteste di diversi avvocati, chi per questioni di diritto, chi per posizioni no vax – che “l’assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento”. I controlli all’ingresso saranno a campione solamente nelle sedi ove non sia ancora in funzione la vigilanza (uffici minori quali il Giudice di pace di Rho). Negli al tri casi, pare di capire, la verifica sarà persona per persona. E dal 15 febbraio la vigilanza dovrà chiedere a tutti gli over 50 non più il green pass semplice, ma quello rafforzato.
A Perugia, il Pg Sergio Sottani, parla della situazione in cui “su richiesta (i soggetti indicati) non esibiscono la certificazione verde base”, nel qual caso ovviamente non potranno accedere al palazzo. Ma ringrazia “per la consolidata collaborazione istituzionale”.

 

Moro per sempre, toghe rosse a caccia di fantasmi

Parliamo di toghe rosse. Ma qui Silvio Berlusconi c’entra niente. Sono passati giusto sette mesi dal giorno in cui si trova sotto sequestro l’archivio di Paolo Persichetti ricercatore storico che si occupa della vicenda degli anni ‘70 è in particolare del caso Moro. L’inchiesta è coordinata dal pm di Roma Eugenio Albamonte noto esponente di Magistratura Democratica e l’atto relativo alla perquisizione dell’8 giugno scorso si fregiava addirittura della firmato dell’allora procuratore capo Michele Prestipino eletto anche con i voti di Md e poi detronizzato perché la sua nomina era stata dichiarata irregolare dal Tar e dal Consiglio di Stato.
Il capo di incolpazione è cambiato già cinque volte su interventi sia del Riesame sia del gip, ma finora nessun giudice ha avuto il coraggio di dissequestrare.
L’accusa di associazione sovversiva finalizzata al terrorismo era caduta già a luglio scorso. È rimasta quella del favoreggiamento di latitanti, Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, entrambi da tempo condannati all’ergastolo per la strage di via Fani.
Persichetti aveva mandato per posta elettronica a Lojacono atti della commissione parlamentare sul caso Moro che il presidente Giuseppe Fioroni aveva etichettato come riservati nonostante fossero destinati a distanza di due giorni alla pubblicazione con la relazione.
Fioroni è stato sentito come testimone a carico di Persichetti. Un gioco di sponda tra procura procura generale che aveva riaperto la caccia ai misteri inesistenti del caso Moro e commissione parlamentare che non è stata rinnovata nell’attuale legislatura ma che continua a incombere sulla vita politica e giudiziaria del paese.
Il 17 dicembre scorso il gip Valerio Savio anche lui aderente a Md si riservava al termine dell’udienza di decidere sulla richiesta di dissequestro dell’archivio presentata dall’avvocato Francesco Romeo. Con ogni probabilità si arriverà al 14 gennaio con le carte ancora sotto sequestro.
A 43 anni dai fatti il pm Albamonte, lo stesso che ha chiesto e ottenuto di prendere il Dna dei condannati per il caso Moro, è a caccia di complici non individuati di improbabili mandanti esterni. I sei processi già celebrati dai quali emerge in modo chiaro che dietro le Brigate Rosse c’erano solo le Brigate Rosse non contano nulla. La ricerca storica indipendente viene criminalizzata paradossalmente per essere in linea con gli esiti processuali. Il sequestro dell’archivio ha provocato lo slittamento dell’uscita del secondo volume del libro “Dalle fabbriche alla campagna di primavera” la storia delle Br di cui Persichetti è coautore con Elisa Santalena e Marco Clementi. Una sorta di censura preventiva che evidentemente è parte integrante di questa mega operazione di propaganda politica da parte di una corrente della magistratura.
La mamma dei dietrologi come quella dei cretini è sempre incinta. Ma siamo nel paese in cui è il Presidente della Repubbluca oltre che capo del Csm a gridare ogni 16 marzo ogni 9 maggio: “Bisogna ricercare la verità”. Lo stesso Sergio Mattarella che il giorno del rientro di Cesare Battisti ripreso dagli smartphone di due ministri da lui nominati annunciò “E adesso gli altri”. Così diede il via al l’operazione Ombre Rosse arpionando una decina di ormai anziani residenti a Parigi da decenni responsabili di fatti di lotta armata che risalgono a 40 anche 50 anni fa. E tra i dietrologi non manca chi si aspetta dai parigini “la verità su Moro”. La fissazione dicono in Sicilia è peggio della malattia (frank cimini)

Pietrostefani in ospedale inamovibile Cartabia insiste

Un’udienza per dirimere una questione relativa a un fatto avvenuto ci quant’anni fa è un evento più unico che raro. Succede che alle due del pomeriggio in punto al palazzo di giustizia di Parigi i giudici sono chiamati a decidere sull’estradizione di Giorgio Pietrostefani condannato a 22 anni di reclusione perché ritenuto mandante insieme a Adriano Sofri dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio del 1972.
Pietrostefani non è presente in aula per motivi di forza maggiore. È da tempo in ospedale, inamovibile, intrasportabile, come spiega l’avvocato Irene Terrel che lo difende al pari di altri rifugiati italiani a Parigi arrestati il 28 aprile dell’anno scorso e poi tornati liberi in attesa della decisione sull’estradizione.
Siamo all’ennesimo rinvio perché l’Italia non desiste e non demorde. Il ministro della Giustizia Marta Cartabia è impegnata al massimo in questa operazione politico-giudiziaria ispirata dal colle più alto perché il giorno del rientro di Cesare Battisti il presidente della Repubblica Sergio Mattarella disse: “E adesso gli altri”.
La legge francese, a differenza di quella italiana, non ammette la contumacia. Il diretto interessato, “il prevenuto” non può essere assente dall’udienza. Quindi è impossibile procedere per esaminare il caso di Giorgio Pietrostefani e i giudici decidono di rinviare tutto al prossimo 23 marzo.
Mercoledì prossimo 12 gennaio toccherà agli altri rifugiati che rischiano l’estradizione. Persone condannate per fatti di lotta armata avvenuti quaranta e più anni fa, approdati in Francia dove hanno ricostruito la loro vita, sposandosi, facendo figli, lavorando. Insomma una vita da normali cittadini ospiti di un paese che li ha accolti anche in omaggio alla dottrina Mitterand.
Fino all’operazione denominata “Ombre rosse” partita su richiesta del governo italiano, eseguita dai francesi, utilizzata da Macron per fare concorrenza agli avversari di destra e dimostrare che a livello di politiche securitarie lui non è secondo a nessuno.
La ministra Cartabia che proclama di battersi per meno carcere e meno processi penali ne ha fatto una questione priorItaria. La banda di anziani che in pratica mezzo secolo fa partecipò al più serio tentativo di rivoluzione nel cuore dell’Occidente deve pagare fino in fondo il suo conto con la giustizia. L’avvocato Irene Terrel ha definito più volte “assurda” la situazione a distanza di tanto troppo tempo dai fatti ribadendo che la soluzione del problema spetta alla politica e non ai giudici.
L’Italia non cambia idea. Del resto allora delegò interamente ai giudici la questione della sovversione interna dando alle toghe un potere enorme che sarà utilizzato anni dopo proprio contro i politici che a loro si erano affidati. Adesso il nostro governo si affida ai giudici francesi con l’ultima parola che spettera’ alla politica. Non si sa se a Macron o a un suo successore perché i tempi dei procedimenti estradizionali sono molto lunghi e i dossier arrivati dall’Italia sono stati giudicati incompleti. E Cartabia ha sollecitato le procure a sbrigarsi
(frank cimini)

La mitica procura allo sbando ma Csm non ha fretta

Il Consiglio superiore della magistratura non sembra proprio avere fretta di nominare il nuovo procuratore capo di Milano dopo l’uscita per pensionamento di Francesco Greco avvenuta a metà del novembre scorso. Ci vorranno settimane se non addirittura mesi. Intanto la mitica procura che fu di Mani pulite continua a funzionare con l’organizzazione che le aveva dato Greco generando con il passare del tempo insoddisfazioni e incertezze. Una situazione simboleggiata poi dai 57 pubblici ministeri su 64 che votarono contro il trasferimento di Paolo Storari chiesto dal pm della Cassazione in seguito alla vicenda dei verbali di Amara consegnati a Davigo. Fu un voto che andava al di là dell’episodio specifico e che suonava come la generale sfiducia dei sostituti per il capo della procura, avversario di Storari nell’intervista vicenda Eni.
Attualmente c’è un procuratore della Repubnlica facente funzione Riccardo Targetti che andrà in pensione nel prossimo mese di aprile a dimostrazione ulteriore del quadro estremamente fluido dell’ufficio. Il Csm si sarebbe “tranquillizzato” dopo aver risolto il caso della procura di Rona con la nomina di Lo Voi al posto di Prestipino. Era considerato il caso più spinoso dopo che TAR e Consiglio di Stato avevano deciso per l’irregolarità della nomina di Prestipino accogliendo il ricorso del Pg di Firenze Marcello Viola.
Una vittoria che a Viola non ha portaro bene perché la sua candidatura a capo della procura di Roma è stata bocciata per la seconda volta e a vantaggio di Lo Voi. A viola insomna continuano a nuocere i ricami di chiacchiere intorno alla famosa riunione dell’hotel Champagne con i politici nonostante la sua conclamata estraneità alle operazioni sottobanco.
Al punto che Viola non sarebbe messo bene nemmeno per diventare capo della procura di Milano e sarebbe costretto a puntare su quella di Palermo. Viola sarebbe considerato eccessivamente discontinuo per una procura ritenuta territorio di Md dopo le gestioni di Bruti Liberati e Greco. La lotta vede in pole position il procuratore di La Spezia Antonio Patrono e quello di Bologna Giuseppe Amato. Sarebbe in vantaggio a livello di titoli Amato perché proveniente da una procura sede di distrettuale antimafia e antiterrorismo. Tra i candidati c’è anche il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli ma stavolta la scelta sembra matura a favore del cosiddetto “papa straniero”.
Ma ci vorrà ancora almeno un po’ di tempo. A Milano restano i problemi di diversi pm indagati a Brescia. Il 3 febbraio ci sarà l’udienza preliminare per Storari e Davigo. La procura di Brescia deve ancora decidere sulle posizioni di Fabio De Pasquale Sergio Spadaro e Laura Pedio in relazione sempre alla vicenda Eni. L’ufficio gip invece deve valutare la richiesta di archiviazione per Francesco Greco (frank Cimini)