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Dai verbali agli atti dell’inchiesta milanese che ha portato all’arresto di Osama Matammud, detto ‘Ismail,’ le testimonianze dei reclusi nel centro raccolta di migranti di Bani Al Walid, in Libia. Al somalo di 22 anni è stata notificata un’ordinanza di custodia cautelare per 4 omidici, il sequestro di centinaia di connazionali e decine di violenze sessuali. Chi parla ora è ospite del centro profughi di via Sammartini, a Milano.
“Ismail si divertiva a picchiarci sempre, con sbarre di ferro, bastoni, tubi di gomma e calci e pugni. Si accaniva, io più volte l’ho visto con dei tondini di ferro pieni, di quelli che si usano per i lavori di muratura, spaccare le caviglie e i polsi di molte persone” .
“A volte accendeva un sacchetto di plastica sopra la schiena, facendo colare la plastica incandescente, altre volte torturava con le scariche elettriche. Io stesso sono stato portato nella ‘stanza delle torture’. Ismail per me aveva trovato una tortura particolare. C’era un punto della stanza dove passava il sole dall’alto dato che questa stanza era in un edificio in parte scoperto. In questo punto della stanza faceva caldissimo. Ismail mi legava mani e piedi dietro la schiena e mi lasciava per orea sdraiato per terra finché mi disidratavo e orinavo addosso”.
“Non c’era notte che non venisse a prendere delle ragazze, le trascinava con la minaccia dei fucili e le teneva per ore, noi sentivamo le urla”.
“Nel capannone ci saranno state 500 persone tra uomini e donne. Dormivamo per terra, su un lato i maschi, sull’altro le donne, C’era un solo bagno per gli uomini e uno per le donne. Ci davano da mangiare la sera, il cibo ci causava spesso dissenteria e c’erano code infinite nei bagni. Io come altri la mattina venivo preso per andare a lavorare, sempre sotto il controllo delle guardie armate. C’erano molte persone sotto il controllo di Ismail. Caricavo con altri uomini dei mattoni sulle auto dei nostri carcerieri (…). Era impossibile fuggire dal campo, il capannone era chiuso ed era una grossa costruzione in pietra, senza le finestre, e c’erano guardie armate dappertutto. Tutte le persone che erano nel campo finché non pagavano i soldi per il viaggio erano prigioniere”.
“C’era una specie di stanza delle torture nel campo. Ho visto in molte occasioni Ismail e i suoi uomini portare delle persone in quella stanza, si sentivano le urla, quando poi le persone uscivano erano distrutte e piene di bruciature sul corpo. Ci raccontavano che venivano spogliate, bagnate con acqua ed erano poi torturate coi cavi elettrici. Questo capitava soprattutto agli uomini che tardavano a mandare i soldi per proseguire il viaggio”.
“Era sempre Ismail che leggeva gli elenchi di chi poteva partire e chi no. Lui comandava tutti gli uomini armati che ci controllavano”.
“Sempre nella stanza delle torture, Ismail mi faceva appendere per i piedi, a testa in giù, a dei ganci che c’erano sul soffitto, poi mi bagnavano il corpo e mi mettevano delle pinze sulla schiena e sulla pancia e facevano partire le scariche elettriche, finché io svenivo e mi ritrovavo dentro l’hanagar”
“Un giorno, Ismail e i suoi uomini sono tornati e hanno buttato sul pavimento del capannone i corpi dei due ragazzi che avevano preso, erano morti e ho visto che avevano tutti e due una corda intorno al collo. Ismail aveva lasciato nel capannone i loro corpi come insegnamento e ha detto davanti a tutti che le loro famiglie non avevano pagato il viaggio”.
“Mi ha legato le mani dietro la schiena, mi ha messa per terra, mi ha aperto le gambe e con uno strumento metallico, non so dire se un coltello o una lametta, ha aperto l’accesso alla mia vagina (la ragazza era stata infibulata, ndr) al fine di penetrarmi. Dal dolore sono svenuta, quando mi sono svegliata mi aveva già violentata perché perdevo sangue dappertutto”.
“Era un pazzo, un sadico. Io stesso sono stato picchiato talmente forte che per due settimane non sono più riuscito a mangiare e mi dovevano imboccare”.
(manuela d’alessandro)