giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Nella condanna del pianista del bunga bunga
il perché dell’assoluzione del Cav.

“E’ del tutto evidente che rapporti di tal genere con un personaggio come Berlusconi Silvio costituiscono un movente più che consistente, quasi scontato, per dichiarare il falso su circostanze, quali quelle relative ai rapporti sessuali dallo stesso consumati, con giovanissime donne, perciò stesso retribuite, in occasione dei ricevimenti nella villa di Arcore che, oltre a poter avere rilevanza sul piano delle responsabilità penali, avrebbero comunque arrecato, quanto meno, imbarazzo ad uno degli uomini più potenti d’Italia”.

Non ci sono ancora le motivazioni della sentenza che ieri ha assolto Silvio Berlusconi nel processo senese per corruzione in atti giudiziari – il fatto non sussiste – ma una grossa mano per capire quale sia la strada individuata dal collegio presieduto dal giudice Simone Spina arriva dalle motivazioni, finora inedite, della sentenza con cui il precedente collegio ha invece ritenuto Danilo Mariani, il pianista del bunga bunga, colpevole di falsa testimonianza.

A maggio scorso Mariani è stato condannato a due anni, pena sospesa, per aver mentito nei processi milanesi sulla prostituzione a villa San Martino. I contatti tra Berlusconi e le ragazze al massimo si limitavano a una “stretta di mano”, la “famosa statuina di priapo” altro non era che “una cosa simpatica, non una cosa a sfondo sessuale”, nessun gioco in cui si mimasse giochi sessuali, “lo smentisco in modo stracategorico” aveva spiegato Mariani. Gli spogliarelli, “mai visti”. Bugie, stabiliscono i giudici di Siena, e anche piuttosto grossolane.

Sulla corruzione in atti giudiziari, a maggio scorso, il collegio non si esprime, avendo stralciato la posizione di Mariani e Berlusconi per quel solo reato, rinviandolo all’attenzione di una nuova corte, quella che ieri ha assolto i due imputati. E tuttavia è piuttosto chiaro, nelle motivazioni di condanna per falsa testimonianza, il presupposto che spiega l’assoluzione sulla corruzione.
Berlusconi intratteneva rapporti economici sistematici con Mariani già dal 2006, ben prima delle feste di villa San Martino. Per anni gli fornisce uno stipendio di 3mila euro al mese. Tra il 2010 e il 2011 gli fa avere 250mila euro in due tranche per aiutarlo a comprare casa, con due “prestiti infruttiferi”. Ed è vero che a cavallo tra il 2012 e il 2013, in date prossime a quelle delle udienze in cui Mariani testimonia, da Berlusconi partono due bonifici da 7mila euro. Ma è la stessa Agenzia delle Entrate, con un accertamento fiscale successivo, a considerare quel denaro il corrispettivo del lavoro prestato da Mariani come pianista.

E allora difficile considerare quei bonifici il prezzo della corruzione. Mariani, sembrano dire i giudici, mente di sua spontanea volontà. “Il netto contrasto, che è stato rilevato, tra le dichiarazioni testimoniali rese da Mariani Danilo e le circostanze emerse nell’ambito dei procedimenti milanesi – afferma il primo collegio di Siena – definiti con pronunce dotate della forza del giudicato, le quali hanno accertato la riconducibilità alla nozione di prostituzione delle prestazioni di intrattenimento, offerte dalle ospiti femminili delle serate di Arcore, nonché la decisione, quasi paradossale, con cui invece Mariani Danilo ha escluso la natura sessuale di quegli svaghi inducono a ritenere che l’imputato abbia consapevolmente voluto negare circostanze a lui ben note, all’evidente scopo di non pregiudicare il suo rapporto fiduciario con l’ex Presidente del Consiglio, la cui conservazione evidentemente valeva ben più della minaccia costituita dalla sanzione penale”.

Non sarà però facile applicare lo stesso ragionamento nel processo milanese, dove la situazione è in parte diversa. Mariani è l’unico, per esempio, a non ricevere la famosa letterina con cui nel 2013 Berlusconi, quando vengono depositate le motivazioni “relative agli incredibili processi sulle cene in casa mia”, annuncia alle sue amiche di via Olgettina di non poterle più aiutare economicamente. “Seguendo l’impulso della mia coscienza – scriveva il cavaliere – ho continuato a dare a te e alle altre ospiti per lenire gli effetti della devastazione che questi processi hanno causato alla vostra immagine, alla vostra dignità, alla vostra vita”. Tutto ciò, per il pianista di Arcore, non vale. Suonava spesso, veniva pagato dal 2006, non riceve la lettera, continua a riceveva denaro anche in seguito.

Steccanella recensisce la Boccassini story

Mi sono letto in soli due giorni le 341 pagine del libro che ha fatto tanto discutere chi invece quel libro non l’ha letto e si è basato su anteprime di stampa quanto mai fuorvianti.
La prima annotazione “a caldo” è che per poter scrivere un’autobiografia che ti viene voglia di leggere tutta d’un fiato, e senza essere un’attrice famosa, un calciatore o un front man di una rock band, bisogna avere vissuto una vita come quella della Boccassini, vita che lei stessa dichiara di essere stata quella che voleva vivere, anche se, aggiunge a pag. 341, il suo racconto “non piacerà a tutti, soprattutto a molti miei colleghi”.
La seconda annotazione sempre “a caldo” è che si tratta di un potentissimo J’accuse senza sconti al mondo della magistratura presso cui ha operato per 40 anni, perché non si salva quasi nessuno, ivi compresi molti miti mediatici che per anni hanno monopolizzato giornali e TV come eroici paladini dell’antimafia o dell’anticorruzione, e che dal racconto di fatti e aneddoti che li hanno personalmente riguardati ne escono davvero a pezzi, come peraltro ex Ministri, Capi della Polizia, Onorevoli e Senatori.
Perché il libro è principalmente un racconto di fatti, dettagliati e difficilmente smentibili, seppure intervallati a considerazioni personali che l’autrice non manca di inserire, anche in questo, le va dato atto, senza ipocrisie o prudenze da galantuomini del ne quid nimis, per citare quella categoria manzoniana tanto invisa al Cardinal Federico.
E’ come se, dopo avere maniacalmente evitato di rilasciare qualsiasi dichiarazione alla stampa, l’ex PM avesse voluto, una volta raggiunta la pensione, togliersi tutti i sassolini accumulati in oltre 40 anni di professione in una volta sola, e non mettere più piede in quel Palazzo dove aveva trascorso gran parte della propria vita.
Ovviamente trattandosi di personaggio viscerale e privo di mezze misure, ma lei di questo non ne fa mistero, sono molti i passaggi del libro che destano perplessità in chi ha diversa sensibilità in tema di devianza, carcere, repressione, forze di polizia e persino gabbie in aula “mi erano del tutto indifferenti ma turbavano i sonni del presidente del tribunale dell’epoca”, scrive a pag. 302.
Come è fuor di dubbio che la sua comprovata conoscenza del fenomeno mafioso non riveli altrettanta autorevolezza laddove si estende a indagini su antagonismi politici, dove si leggono considerazioni più da vulgata come “compagni che sbagliano” “misteri sul sequestro Moro” et similia.
Quelli che lei chiama “danni collaterali” nel capitolo numero 11, per me sono invece gli imputati ingiustamente incarcerati nei tanti blitz (di due di loro ne ho esperienza diretta), a tacer del processo Ruby, la cui nota conclusione viene liquidata in due righe a pag. 306 con “la sentenza fu ribaltata in secondo grado e il presidente del collegio Enrico Tranfa si dimise in aperta polemica con quella decisione. La Cassazione confermò l’assoluzione”.
E così pure, alla fine della lettura del libro, sembra di ricavare la conclusione che in Italia ci siano stati solo un magistrato e un giornalista capaci, Giovanni Falcone e Giuseppe D’Avanzo, il che peraltro personalmente mi trova poco d’accordo nel secondo caso, perché di certo non sento particolare nostalgia delle sue celebri “dieci domande”, ma è indubbio che sulla dottoressa Boccassini queste due persone abbiamo avuto un’influenza anche personale notevole, e che la loro prematura morte, seppur per ragioni diverse, l’abbia segnata nel profondo.
A proposito del criticatissimo racconto del suo rapporto con Falcone, va sottolineato che la Boccassini si limita a dire di averlo amato profondamente lei mentre lui amava la propria moglie, per cui non vedo dove sia l’oltraggio al morto, e del resto oggettivamente non poteva omettere il racconto di un amore che ha segnato a tal punto la sua vita non solo professionale, ma anche privata, da non essere più stato sostituito né in un campo né nell’altro.
Mi è piaciuta molto la parte in cui si racconta nel suo privato di donna che fino ad oggi era stato tenuto rigorosamente schiacciato dall’immagine della PM virago alla quale, va detto, nulla ha mai fatto per sottrarsi.
Le sue intense e durature amicizie con persone totalmente estranee all’ambiente del tribunale, il suo rapporto con Napoli, la città dove è cresciuta e si è formata, i figli, i fratelli, la madre, e anche aneddoti divertenti, come l’incontro con Nanni Moretti prima dell’uscita del “Caimano” e in generale la sua passione per il cinema e per la mostra di Venezia, dove confermo personalmente di averla più volte incontrata e che, solare e simpatica, sembrava davvero un’altra persona rispetto a quella che talvolta mi capitava di incontrare in tribunale per ragioni professionali.
Mi è piaciuta anche la parte in cui confessa debolezze e paure, i suoi primi giorni in Sicilia in un albergo orrendo e isolato da tutto, l’uso di orecchini sempre diversi o la scelta di certi abiti a seconda dell’occasione, l’appellativo di “agave” che le riserva lo psicologo Kantzas, e ho trovato fantastico leggere a pag. 300 “sono sempre stata considerata una bella donna (e sono assolutamente d’accordo!) per certe caratteristiche quando ero giovane e per altre quand’ero più adulta”.
Fa anche una certa impressione leggere che indagini che hanno sconvolto il Paese (dalla Dumo Connection alla strage di Capaci e dai processi al cavaliere al processo Infinito che rivelò le infiltrazioni della ‘ndrangehrta in Lombardia) siano state condotte sostanzialmente da lei sola senza grandi apparati “in alto” e con la sola collaborazione fidata di forze di polizia, “il PM è l’avvocato della Polizia”, aveva detto Falcone al momento dell’approvazione del nuovo codice e lei lo ha applicato alla lettera.
Per cui se c’è stato un PM che ha davvero separato la propria carriera da quella di un giudice senza bisogno di grandi riforme è stata lei, che infatti riserva ai giudici, come agli avvocati, un ruolo davvero modesto nel libro, quasi non fossero parti necessarie al processo.
Però questo libro merita di essere letto al di là di quello che si possa pensare di chi l’ha scritto, perché volendo fare un’analogia (ovviamente solo metodologica) con un personaggio più volte nominato nel libro, se Buscetta era stato il primo mafioso a raccontare come funzionava la mafia dal suo interno, l’ex PM Boccassini è il primo magistrato a raccontarci come funziona la magistratura dal suo interno, e tutta, da Milano e Roma e dalla Sicilia a Catanzaro.
La pessima abitudine di “lavare i panni sporchi in famiglia” con lei è saltata tutta d’un colpo non appena ha fatto ritorno a quella che era invece la sua vera famiglia e agli adorati nipotini, ai quali può riservare, lo scrive lei stessa, quelle attenzioni che il suo lavoro aveva sottratto ai figli, e quanto ai recenti “casi” Palamara e Procura di Milano vi lascio intendere quali siamo i lapidari commenti.
Quasi glissa via con malcelato fastidio, visto che lei si era dimessa da ogni corrente a far tempo dal lontano 2010 intuendone le gigantesche falle e subendo per questo l’esclusione da ogni “potere”, come dimostra il dato eclatante che non sia mai stata presa in considerazione per la Commissione antimafia dove pure sono passati (lei non lo scrive ma si intuisce “cani e porci”).
Lei, a differenza di Buscetta ovviamente, non è affatto “pentita” di quello che ha fatto, ma il suo j’accuse non è meno potente, e questo libro rivela coraggio e non, come pure ho letto, voglia di ribalta, quella, se l’avesse voluta, se la sarebbe presa quando migliaia di cronisti assediavano il suo ufficio a qualunque ora del giorno mentre lei li chiudeva fuori dalla porta.
Oppure, facendo una qualsivoglia carriera dirigenziale, come centinaia di suoi colleghi dal curriculum assai meno prestigioso, e invece il libro si chiama stanza numero 30 perché da quella stanza del quarto piano – dove io la incontrai per la prima volta nel 1990 – non si è mai mossa, tranne che per andare tre anni in Sicilia a catturare “gli assassini di Giovanni”.
Avvocato Davide Steccanella

La battuta choc di Berlusconi su Balotelli che non avete mai ascoltato

Ecco la frase choc di Silvio Berlusconi che finora nessuno vi ha fatto ascoltare con le vostre orecchie. Quella battuta razzista e francamente inattesa, riferita a Mario Balotelli, di cui vi abbiamo parlato quasi due anni fa, quando il video che troverete qui sotto fu depositato agli atti dell’inchiesta Ruby ter. Da allora il catenaccio anti-giornalista messo in atto dalle parti che avevano accesso a questo documento è stato micidiale. Ora qualcosa si è spezzato.

Riteniamo sia doveroso darne conto, considerato il ruolo pubblico che Berlusconi ancora ha, in un momento in cui il tema del razzismo è di lampante attualità. A Mario Balotelli la massima solidarietà per quello che forse non avrebbe voluto sentire e che invece fa ancora tristemente parte dell’armamentario para-umoristico italiano. La scenetta si conclude con Berlusconi che dice a Marysthelle Polanco “tu sei abbronzata, lui invece è proprio negro negro”. Parole che ci fa un certo effetto anche solo trascrivere. Il video lo trovate qui sotto.

Eccolo: berlusconi-balotelli-giustiziami

Video inedito di Berlusconi
“Balotelli negro”, tu Polanco “solo abbronzata”

 

 

Raffaella Fico…Raffaella…”ma quella sta con Balotelli che se la tromberà due tre volte e poi la molla“, dice Marysthelle Polanco a un Silvio Berlusconi stanco, appesantito e spaparanzato su un divano damascato, nella sua villa di Arcore, in maglioncino blu d’ordinanza. L’ex cavaliere interviene sul punto: “Che poi, te lo dico, a me una che va con un negro mi fa schifo”. La Polanco si sente chiamata direttamente in causa: “Papi, ma io sono negra!”. “No tesoro, lascia stare, tu sei abbronzata”. Sorrisino.
Ritratto inedito di Berlusconi che emerge da un video di 27 minuti depositato agli avvocati dalla Procura di Milano e proveniente dalla rogatoria Svizzera condotta nell’ambito dell’inchietsa Ruby ter. Una scenetta che rievoca il famoso “abbronzato” di Obama, ma che rivela un linguaggio fin qui sconosciuto sulla bocca di Silvio Berlusconi. Il quale parla rilassato, in una situazione di grande famigliarità con le sue ospiti, non sapendo di essere ripreso di nascosto dalla soubrette Marysthelle. Oltre a lei, altre due giovani donne, le quali piombano ad Arcore per supplicare di avere un lavoro di rilievo e visibilità nell’azienda del Cavaliere. Come la Fico, oppure come “quella di Sipario” o addirittura come un certo Emilio Fede. “Devi chiamare e dire, lui non fa più il direttore, lo faccio io il direttore del Tg4“, insiste, scherzosa, la Polanco.

Le Olgettine convocate dalla Gdf
Nel mirino lo ‘stipendio di Papi Silvio’

 

Chi ha dato ha dato, ma chi ha avuto viene multato. E lo ‘stipendio di Papi’ rischia di finire nelle mani dello Stato.

Mancano pochi giorni all’udienza preliminare che vedrà Silvio Berlusconi di nuovo imputato (questa volta per corruzione in atti giudiziari) accanto a una ventina delle sue ospiti del bunga bunga arcorino. Proprio in questi giorni, con un tempismo stupefacente, la Guardia di Finanza ha convocato in caserma le ragazze, per la resa dei conti. Quelli veri, da misurare in euro. Nulla di penalmente rilevante, in questo caso, il problema è la legge che disciplina l’utilizzo di contanti. Ricordate la famosa soglia dei mille euro di Mario Monti, poi innalzata a 3mila euro con il discusso provvedimento del governo Renzi? Le ragazze, stando all’indagine Ruby ter di cui la Gdf ha acquisito gli atti, lo avrebbero ampiamente superato, innumerevoli volte. Con buste zeppe di contanti. Per esempio con quella sorta di stipendio da 2mila o 2500 euro al mese ‘confessato’ dalle stesse ragazze in Tribunale e persino dallo stesso Berlusconi, il quale sostenne “la Procura le ha rovinate, io le aiuto“.

Evidentemente la Gdf, che nega le convocazioni (confermate invece a Giustiziami da almeno quattro fonti indipendenti) deve aver portato a termine i suoi calcoli. E non devono essere stati semplici: nel corso degli anni le normative sono cambiate. Tra le convocate (ma nessuna di loro si sarebbe presentata) c’è una giovane che avrebbe ricevuto almeno 147mila euro. Un’altra che ne ha avuti quasi 190mila. Una terza che in contanti, stando alle indagini della Procura, avrebbe ricevuto ‘solo’ 25 mila euro. Sulle restanti frequentatrici di Arcore, non abbiamo conferme. Tutte comunque rischiano di dover sganciare, sotto forma di multa, fino al 40 per cento di quanto ricevuto dall’ex Cavaliere. Cosa che forse Berlusconi non immaginava, ai tempi in cui manteneva le sue predilette, e che forse forse un pochino lo farà arrabbiare…i suoi soldi per le ragazze, girati all’Erario. Che disdetta.

Ah, ci sono due protagonisti della vicenda che per ora non stati ancora convocati: Berlusconi e Ruby.