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“Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pm che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento dove egli rappresenta una parte in causa. E nel dibattimento non deve avere nessun gradi di parentela con il giudice e non deve essere come accade oggi una specie di paragiudice. Avendo formazione e carriere unificate con destinazione e ruoli intercambiabili, giudici e pm in realtà sono indistinguibili gli uni dagli altri”. Queste parole il 3 ottobre del 1991 le disse a Repubblica non Licio Gelli ma Giovanni Falcone, che adesso tutti ricordano e celebrano da morto, dopo in moltissimi casi averlo attaccato da vivo.
Falcone era anche favorevole all’abolizione dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale, un qualcosa che in pratica non esiste ma che serve a coprire le peggiori nefandezze dei magistrati inquirenti come dimostrano alcuni episodi anche recentissimi a cominciare dalla querelle Bruti-Robledo dove il capo dell’ufficio non subisce nemmeno un procedimento disciplinare dopo aver in pratica insabbiato un’inchiesta importante “dimenticando” il relativo fascicolo per sei mesi in un cassetto della procura.
Sempre Falcone aveva molti dubbi sull’efficacia del reato previsto dall’articolo 416 bis, l’associazione di stampo mafioso. Sono tutte circostanze importantissime sulle quali chi lo celebra oggi fa finta di niente. E’ l’antimafia delle parole. Il merito di tale disastro giuridico e culturale è tutto della “sinistra” più forcaiola e reazionaria del mondo. Vide giusto su tutta la linea Sciascia quando parlò di “professionisti dell’antimafia”. Ancora oggi si celebra un Falcone diverso da quello che era. Una truffa politica e culturale che continua nel tempo.
Va anche detto però che siccome nessuno è perfetto, pure Falcone ebbe dei limiti non da poco. Per esempio quando affermò che le dichiarazioni dei “pentiti” non vanno necessariamente riscontrate “perché c’è il libero convincimento del giudice”. Ma qui parliamo di un gap che va al di là di Falcone perché riguarda il dna della Repubblica italiana. Mai è stata avviata una seria riflessione su una legislazione premiale che fu l’inizio della fine dello stato di diritto e che fa danni ancora oggi, con la nuova norma anticorruzione che prevede sconti per chi collabora. “Non bisogna favorire la delazione nemmeno tra scellerati”, era la posizione perfino di Alfredo Rocco, il ministro di Mussolini. Da decenni noi andiamo nella direzione opposta.
Al di là di tutto, Giovanni Falcone rispetto ai suoi eredi di ieri e di oggi era un autentico gigante, un esempio di equilibrio. Se pensiamo che a rivendicare l’eredità del giudice ucciso dalla mafia a Capaci ci sono stati personaggi come Antonio Ingroia che si inventò il reato di “trattativa”, come Ilda Boccassini che fece apparire funzionanti microspie inceppate. E’ la giustizia, bellezza, e noi, pare, non possiamo farci niente. (frank cimini)