giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

NoTav, cade l’accusa di terrorismo….
3 anni 6 mesi per compressore rotto

L’accusa di terrorismo è stata fatta a pezzi dalla corte d’assise di Torino che ha deciso di condannare a “soli” 3 anni e 6 mesi i 4 militanti Notav imputati per l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio del 2013. I giudici hanno dato ragione all’accusa esclusivamente in relazione al danneggiamento all’incendio e alla violenza a pubblico ufficiale.

Si tratta di una sonora sconfitta per i pm Padalino figicciotto berlingueriano e Rinaudo neofascista di Fdi che in aula avevano parlato di “atto di guerra” al fine di supportare l’accusa di aver agito con finalità di terrorismo. Il teorema Caselli esce fortemente ridimensionato se non addirittura azzerato dalla decisione della corte d’assise, anche se 3 anni e 6 mesi per un compressore rotto nel corso dell’azione non sono pochi. Ma bisogna ricordare che il processo è stato sottratto al suo giudice naturale, il tribunale di Torino, dai pm e soprattutto dal gip che decideva il rinvio a giudizio contestando la finalità di terrorismo, cioè l’agitare un fantasma del passato da parte di un professionista dell’emergenza del livello di Caselli, nel frattempo andato in pensione.

La sentenza è in linea con quanto aveva deciso la Cassazione annullando sia pure con rinvio il verdetto del Riesame di Torino sulla sussistenza della finalità di terrorismo. Secondo la Suprema Corte per contestare l’accusa di terrorismo ci vogliono elementi concreti e nel caso specifico la concreta possibilità che le autorità debbano rinunciare alla realizzazione dell’opera.

Del resto gli stessi pm in sede di requisitoria facevano una parziale marcia indietro rispetto all’ipotesi originaria di accusa passando dall’attentato alla vita a quello dell’incolumità fisica di operai e poliziotti. Ma i pm poi giocavano la carta della disperazione alla vigilia della sentenza contestando l’accusa di terrorismo ad altri 3 militanti Notav che a luglio erano stati arrestati per i fatti del 14 maggio 2013. L’ordinanza bis era un chiaro tentativo di influire sul verdetto ormai prossimo, dal momento che conteneva alcune testimonianze rese in aula da appartenenti alle forze di polizia nel processo appena concluso. Erano deposizioni già sotto la valutazione della corte d’asssise e i pm e il gip che con un “copia e incolla” diceva di sì si rendevano protagonisti di un’operazione quantomeno scorretta e inopportuna.

Ai pm comunque il giochetto non è riuscito. La corte d’assise ha detto di no mettendo un punto fermo che ha un significato sicuramente più generale. In questo disgraziato paese è possibile contrastare i progetti di imprese, banche, partiti (in realtà corporazioni), sindacati, appoggiati da giornali e tg, senza dover far fronte all’accusa di terrorismo. Insomma, come aveva ricordato un legale in sede di arringa, un compressore rotto non è parificabile al sequestro Moro.

Sulla sentenza non può non aver pesato il fatto che la più importante delle parti offese indicate dai pm, l’Unione Europea, decideva di non costituirsi parte civile. “Caro cancelliere non siamo interessati a eleggere domicilio in Italia” scriveva un funzionario di Bruxelles alla corte d’assise. E il presidente chiosava: “La commissione non sembra granchè interessata al nostro processo”. Insomma non c’era stata nessuna azione di guerra, nessun ricatto tale da costringere a rinunciare alla realizzazione di un’opera sulla quale adesso persino alcuni  dei principali promotori hanno dei forti dubbi “perchè costa troppo”. Ecco, se ne sono accorti adesso. Dopo aver delegato, come tanti decenni fa, un problema sociale, politico e di modello di sviluppo, alla magistratura. I giudici stavolta non hanno tolto le castagne dal fuoco per conto della politica. Ma, ricordiamolo, 7 ragazzi (i 4 del processo finito oggi e altri 3) stanno in carceri di massima sicurezza(alcuni da un anno), torturati da un 41bis di fatto, a causa di un teorema che una corte d’assise stamattina ha buttato nel cesso(frank cimini)

Notav, pm e gip giocano sporco a pochi giorni dalla sentenza

A pochi giorni dalla sentenza del processo prevista per il 17 dicembre a carico di 4 militanti NoTav che rischiano la condanna a 9 anni e 6 mesi di carcere accusati di aver agito “con finalità di terrorismo” per la rottura di un compressore, i pm e il gip di Torino aggravano la posizione di altri 3 indagati per lo stesso fatto avvenuto il 14 maggio del 2013 al cantiere di Chiomonte. Anche ai 3 già detenuti il gip su richiesta dei pm con una nuova ordinanza di custodia cautelare contesta ora la finalità di terrorismo che l’estate scorsa era stata esclusa.

Nella nuova ordinanza si riportano le testimonianze che alcuni appartenenti alle forze di polizia hanno reso nel processo in via di definizione a giorni. La mossa di pm e gip appare quantomeno inopportuna e scorretta perché la loro valutazione non può non rischiare di interferire con la decisione che i giudici della corte d’assise di Torino stanno per adottare sulle presunte responsabilità dei primi 4 militanti finiti in carcere un anno fa, ripetiamo, per lo stesso fatto.

Il gip in riferimento all’azione di Chiomonte scrive di “atto di guerra” facendo un copia e incolla con la richiesta della procura, aggiungendo che si tratta di una minaccia all’integrazione europea. Il giudice non fa alcun accenno che proprio l’Unione Europea indicata dai pm come parte offesa nel processo ai 4 militanti Notav con una missiva di poche righe aveva rifiutato di costituirsi parte civile tanto che il presidente della corte d’assise aveva commentato: “La commissione non sembra granchè interessata a questo processo”. Un funzionario di Bruxelles aveva scritto: “Non intendiamo eleggere domicilio in Italia”.

Ma pm e gip nonostante ciò vanno per la loro strada agitando un fantasma del passato che viene utilizzato al fine di di regolare lo scontro sociale e politico di oggi, arrivando a ignorare la Cassazione che aveva annullato sia pure con rinvio la finalità di terrorismo contestata ai primi 4 arrestati.

Insomma l’accusa contenuta nella nuova ordinanza condivisa da un giudice che dovrebbe essere terzo è la carta truccata giocata dai pm in vista della sentenza del 17 dicembre. E’ in pratica la replica alle arringhe dei difensori uno dei quali aveva sostenuto che esiste differenza tra un compressore rotto e il sequestro Moro. (frank cimini)

 

NoTav, legali a giudice Riesame: astieniti, ti sei già espresso

L’avvocato Eugenio Losco patrocinatore dei  dei tre militanti NoTav in carcere da luglio e ora destinatari di una ordinanza bis per terrorismo ha depositato un invito ad astenersi dal presiedere il collegio del Riesame a carico del giudice Cristina Domaneschi in vista dell’udienza di lunedì 22 dicembre. Il giudice Domaneschi aveva già presieduto il collegio che aveva rigettato il ricorso, sempre in relazione alla finalità di terrorismo per l’azione contro il cantiere di Chiomonte del 14 maggio 2013, degli altri 4 militanti NoTav assolti il 17 dicembre dalla corte d’assise di Torino dal capo di imputazione più grave e condannati a 3 anni e 6 mesi contro la richiesta di 9 anni e 6 mesi dei pm.

Domaneschi inoltre avrebbe dovuto presiedere il collegio del Riesame ancora in relazione alla posizione dei 4 imputati dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio la decisione di confermare la finalità di terrorismo nell’azione di Chiomonte. L’udienza poi non fu celebrata perché le difese rinunciarono al ricorso. Continua a leggere

Lavoro gratis dei detenuti, ecco perché non ci piace

Il programma di Report ha riproposto un tema che da anni e periodicamente ritorna a galla , quello del lavoro gratuito volontario per i detenuti.
Coloro che sono favorevoli alternano motivazioni caritatevoli , stanno tutto il giorno a guardare il muro, così gli passa il tempo, motivazioni risarcitorie, hanno fatto un danno alla società lo ripaghino così , motivazioni economiche , così si pagano le spese di detenzione.
Tali motivazioni si scontrano con due concetti banali e incontrovertibili:
il lavoro va sempre retribuito, il termine volontario per un soggetto in carcere e’ un non senso.
Detto questo , se vogliamo porre la questione in termini di rieducazione e reinserimento del detenuto, premesso che il lavoro, e’ una parte di un percorso più complesso, proprio la retribuzione, che contribuisce anche al mantenimento del detenuto, e’ condizione che aiuta ad evitare la recidiva.
Per anni abbiamo lodato, giustamente , la legge Simeone, che aiutava la retribuzione dei detenuti , anche grazie a sgravi fiscali per le aziende che li assumevano , come potremmo ancora fare ciò quando le stesse aziende, potranno assumere soggetti senza pagarli ?
Non molto più giustificabile e’ il ragionamento che vorrebbe imporre il lavoro non retribuito per la collettività , come forma sostitutiva di un’attività che il Comune non può svolgere , magari per mancanza di fondi.
In un ottica di libera concorrenza questa forma di attività gratuita rischierebbe di fare fallire altre ditte, imprese; se per esempio le panchine di un  comune  le aggiustassero gratis i detenuti, fallirebbero tutte le ditte che si occupano di questa mansione, con benefici magari per l’Ente pubblico,ma con perdite di posti di lavoro.
Ma al di là degli  aspetti economici quello che va combattuto e’ un concetto che, estremizzato, porta a ritenere legittimi i lavori forzati, cioè quello  che il lavoro possa essere di per se stesso e da solo, forma di risarcimento della società per il reato commesso.
Niente di più sbagliato, i lavori socialmente utili sono altra cosa, ha senso che una persona che ha ferito una persona perché guidava ubriaco, vada a fare una attività risarcitoria in un ospedale dove sono ricoverate persone vittime di incidenti stradali, mentre lo ha molto meno che un rapinatore vada a aggiustare un marciapiede .
Basterebbe forse fare un semplice ragionamento, le persone detenute sono giustappunto persone e tutte le persone che lavorano ogni giorno sono , più o meno , retribuite, perché quelle ristrette non dovrebbero esserlo? (Mirko Mazzali, avvocato e consigliere del Comune di Milano)

NoTav, legale: Un compressore rotto non è il sequestro Moro

“Se le Br sequestrano il presidente della Dc e chiedono la liberazione di 10 detenuti è chiaro che vogliono costringere lo Stato, ma qui stiamo discutendo di tutt’altra storia… il fatto non ha alcun rapporto diretto con le istituzioni”, dice in sede di arringa davanti alla corte d’assise di Torino l’avvocato Novaro, uno dei difensori dei 4 militanti NoTav che per aver rotto un compressore durante un’azione contro un cantiere dell’alta velocità sono accusati di aver agito con finalità di terrorismo.

Il legale contesta che quell’azione sul compressore possa aver avuto la forza di far recedere dalla realizzazione dell’opera e cita la Cassazione che aveva rispedito a Torino gli atti dell’accusa. “Se no il bene giuridico tutelato diventa astratto”, chiosa l’avvocato.

Per far cadere l’accusa relativa alla finalità di “terrorismo”, la difesa sceglie di evocare l’azione più clamorosa della storia italiana per marcare la differenza tra ieri, 36 anni fa, e oggi. E lo fa praticamente costretta dai pm che in sede di requisitoria avevano parlato di “atto di guerra” chiedendo la condanna di ciascun imputato a 9 anni e 6 mesi di reclusione. Una richiesta di pena molto dura, anche se era la stessa procura a fare marcia indietro dal momento che rispetto all’ipotesi originaria non contestava più l’attentato alla vita di operai e poliziotti ma l’attentato all’incolumità fisica.

Le parole dei legali della difesa arrivano a pochi giorni da una circostanza quantomeno inquietante che ha visto la polizia di stato “regalare” a giornali e tg l’immagine della Renault rossa dove il 9 maggio del 1978 venne lasciato il cadavere di Moro, aggiungendo che prossimamente l’auto sarà esposta al pubblico. E’ l’agitare un fantasma del passato che fa compagnia proprio al “teorema Caselli” con cui il processo era stato sottratto al suo giudice naturale, il tribunale, per essere celebrato in corte d’assise al fine di rinnovare ulteriormente la politica dell’emergenza.

Il 17 dicembre ci sarà la sentenza per i 4 militanti NoTav, in carceri di massima sicurezza da quasi un anno, coinvolti in una vicenda giudiziaria dove la più importante delle parti offese indicate dalla procura, l’Unione Europea, rifiutava di costituirsi parte civile. “La commissione non sembra granchè interessata al nostro processo”, chiosava all’avvio delle udienze il presidente della corte. Sembra difficile che si dimentichi la sua acuta osservazione in camera di consiglio (frank cimini)