giustiziami

Cronache e non solo dal Tribunale di Milano

Se Kabobo nella sentenza diventa un danno per Expo

Expo è una creatura fragile e anche un omicidio del 2013 può nuocere gravemente alla sua salute. Non un omicidio qualunque, certo: Adam Kabobo, ghanese, massacrò a colpi di piccone tre passanti in una tetra alba milanese di gennaio, la personificazione del terribile ‘uomo nero’ negli incubi dei bambini.

Ora, nelle motivazioni alla sua condanna a 20 anni di carcere, i giudici della Corte d’Appello riconoscono al Comune di Milano un risarcimento per il danno d’immagine che avrebbe subito dall’eccidio. “La diffusione della notizia – si legge nel documento – ha prodotto comprensibile e intenso allarme nella cittadinanza con conseguente danno per l’Amministrazione comunale, sia con riferimento all’azzeramento degli effetti auspicati in conseguenza della costosa attività  di promozione dell’immagine della città, anche all’estero, sia sotto il profilo della verificata inefficienza dell’attivita’ di lotta alla violenza predisposta dal Comune a tutela degli abitanti della zona, teatro degli omicidi”.

I legali di Kabobo, nel sostenere contro il verdetto di primo grado che Palazzo Marino non aveva subito alcun danno d’immagine, avevano fatto fatto cenno nel ricorso in appello alla “visibilità internazionale di Milano, sede dell’Expo 2015″. Solo che secondo loro tutori dell’ordine e della sicurezza sarebbero la Questura e il Prefetto, non tanto Palazzo Marino.

Per i giudici però il  “grande clamore mediatico sui giornali e sulle reti televisive, anche straniere, dell’omicidio di 3 cittadini milanesi colpiti a picconate in piena città” ha danneggiato proprio il Comune, impegnato a promuovere l’immagine della città in vista dell’Esposizione Universale. (manuela d’alessandro)


 

Kabobo, schizofrenico anche perché emarginato
Così il gup spiega la condanna a 20 anni

“Non si può dire che la malattia ‘abbia agito al posto’ dell’imputato” Adam Kabobo. Non c’era una mano immaginaria a guidarlo, costringendolo a uccidere tre persone a colpi di piccone. Quella mano non c’era neppure nella sua testa confusa. E se per “il sentire comune” il comportamento del giovane ghanese potrebbe essere considerato pura “follia”, non si può parlare di “automatismo della malattia”. Almeno così ritiene il gup di Milano Manuela Scudieri, che ha condannato Kabobo a 20 anni di carcere (più misura di sicurezza) in rito abbreviato, riconoscendogli una parziale incapacità di intendere.

E però, le cose non sono così semplici, il magistrato non può far finta che Kabobo, difeso dagli avvocati Benedetto Ciccarone e Francesca Colasuonno, fosse un cittadino come tutti gli altri, interamente imputabile per il suo comportamento violento, anzi “efferato”. Non può farlo, e infatti è chiamato a decidere sulla base di perizie specialistiche e del complesso degli atti di indagine, non delle dichiarazioni dei politici, non delle interviste rilasciate dagli avvocati, come altrove si vorrebbe.

E allora, la “condizione di emarginazione sociale e culturale” di Adam Kabobo, scrive il gup, è stata “valutata quale concausa della patologia mentale riscontrata, nel riconoscimento della seminfermità mentale”. La “condizione di stress derivante dalla lotta per la sopravvivenza ha inciso sulla patologia” di Adam Kabobo, “aggravando la sintomatologia delirante e allucinatoria e la comprensione cognitiva”. Il giudice condivide la perizia psichiatrica, la quale chiarisce che il ghanese voleva “uccidere e con l’occasione farsi catturare per soddisfare i propri bisogni primari”. Insomma avrebbe ucciso tre persone anche per farsi arrestare, e finire in un carcere italiano, dove notoriamente vitto e alloggio sono da hotel a cinque stelle.

Kabobo ha ucciso tre persone innocenti, senza una ragione comprensibile a noi comuni cittadini. Sulla base di indagini accurate, tenendo conto anche di quanto sostenuto dalle difese e dai legali dei famigliari delle vittime, il giudice ha fatto le sue considerazioni. Matto? Sano? Brutto e cattivo? Adesso l’idea potete farvela anche voi:

motivazioni sentenza kabobo

‘Ergastolo a Kabobo, anzi no 20 anni’
Così Alleanza Nazionale chiede una pena certa

Prima di dare corso ad una manifestazione è sempre meglio mettersi d’accordo su quel che si desidera richiedere. Altrimenti si rischia di non fare proprio una bella figura se, a favore di taccuini e telecamere, un politico invoca l’ergastolo e se la prende con i pm troppo teneri, mentre un altro dello stesso partito, dopo essersi consultato con i cronisti di giudiziaria perché nel merito non era molto ‘sul pezzo’, dice che va bene così, che la richiesta di condanna sembra corretta. E allora perché manifestare e forse, in generale, se proprio si deve, non è meglio aspettare la sentenza?

E’ successo stamattina davanti al Tribunale di Milano, dove è andato in scena un presidio di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale nel giorno in cui sarebbe potuta arrivare (ma non è arrivata, rinvio al 15 aprile) la sentenza per Adam Kabobo, il ghanese che ha ucciso tre passanti a colpi di piccone lo scorso maggio, ma anche lo schizofrenico paranoide che la Lega pare avere preso a modello di immigrato con cui vedrai che alla fine la giustizia sarà clemente. Quando il pm Isidoro Palma, infatti, nella scorsa udienza ha chiesto per lui 20 anni di reclusione, con l’applicazione dello sconto per il rito abbreviato e il riconoscimento della semi-infermità mentale, è partito repentino il tweet del leader del Carroccio Matteo Salvini per esprimere grande indignazione. E i Fratelli d’Italia, che non volevano essere da meno, si sono ritrovati oggi in corso di Porta Vittoria per un sit-in contro ”l’ingiustizia” di ”tutte quelle sentenze che umiliano le vittime e i loro parenti”. La sentenza nel caso Kabobo, facciamo notare, non c’è ancora stata, ma il capogruppo in Consiglio comunale ed ex vicesindaco, Riccardo De Corato, ci ha tenuto a chiedere ”l’ergastolo” per il ghanese, perché ”se non si dà l’ergastolo a chi ha ammazzato tre persone, a chi lo si dà?”. Evidentemente, però, non si era messo d’accordo, e ciò forse è anche un bene per la genuinità dell’iniziativa, con il deputato ed ex ministro e avvocato, Ignazio La Russa, che prima l’ha presa più alla larga, parlando di ”massima severità per i condannati e certezza delle pene”, e poi ha definito ”adeguata” la richiesta di condanna a 20 anni per Kabobo.

Quando i cronisti si stavano allontanando con i taccuini saturi di dichiarazioni, sono stati, però, raggiunti da La Russa, che nel frattempo era venuto a conoscenza del contrasto interno al partito. ”Voglio precisare che noi ci saremmo aspettati una richiesta di ergastolo, ma in ogni caso non è questo l’argomento della manifestazione”, ha spiegato. E poi ha consultato i cronisti, i quali gli hanno chiarito che il pm, dato il rito abbreviato e la semi-infermità mentale, aveva chiesto il massimo che poteva, 20 anni appunto. ”Allora il magistrato ha correttamente applicato la legge – ha precisato ancora La Russa – Diciamo che sono reati da ergastolo, ma il pm ha applicato bene la legge”. Intanto, ‘fuori onda’ De Corato giustificava la sua più pesante richiesta, precisando a sua volta: ”Sì ma io non sono mica avvocato”. Degna conclusione di un sano dibattito interno al partito. (Roger Ferrari)

Kabobo, siamo sicuri che il carcere sia l’unica cura?

La perizia che si dichiarava “non del tutto in disaccordo” con la possibilità che  Adam Kabobo, responsabile dell’uccisione di 3 persone che lui non aveva mai visto prima a colpi di piccone, venisse scarcerato a causa delle sue condizioni psichiche non è bastata. I giudici del tribunale del riesame di Milano hanno deciso che almeno per il momento la prigione è l’unica cura per il ghanese affetto da schizofrenia paranoide cronica. La perizia firmata dal medico legale Marco Scaglione si era espressa anche per un possibile ricovero in un ospedale psichiatrico-giudiziario dove Kabobo avrebbe potuto essere sottoposto a “tearpie riabilitative” e comunque sarebbe stato guardato a vista per ragioni di sicurezza, a tutela della incolumità sua e di quella delle persone a contatto con lui. Continua a leggere

L’uomo ‘cavia’ in cella con Kabobo che ‘stava meglio’

Va premesso come punto di partenza e dato di fatto, appurato in esclusiva da Giustiziami.it, che quel povero detenuto non aveva il numero di telefono di Anna Maria, Cancellieri ovviamente. Non possiamo sapere, invece, cosa ha pensato quando ha scoperto che avrebbe condiviso una cella di San Vittore con Adam ‘Mada’ Kabobo, il ghanese che lo scorso maggio ha ucciso a colpi di piccone tre passanti a Milano, mentre tre riuscivano a salvarsi. Non avendo telefonate illustri da giocarsi, si sarà rincuorato quando qualcuno, magari di passaggio, gli ha detto ‘guarda che non è proprio matto, stai tranquillo’. Una perizia psichiatrica, d’altronde, solo qualche settimana fa aveva accertato che la persona che gli inquirenti descrivevano come un ‘meteorite’ caduto sulla Terra non era totalmente infermo di mente quando compiva una strage. Continua a leggere